Il Mes è tornato e rischia di dividere ancora il governo

Questa volta non c’entra la pandemia, ma la riforma del trattato. Sulla sua ratifica, la maggioranza è divisa
ANSA/ ROBERTO MONALDO
ANSA/ ROBERTO MONALDO
Negli ultimi giorni è tornato di attualità nel dibattito politico italiano uno dei temi che da anni divide di più i partiti in Parlamento. Stiamo parlando del Meccanismo europeo di stabilità, meglio noto con la sigla “Mes” o con il nome di “Fondo Salva-stati”. Il Mes è infatti un organismo nato nel 2011 per aiutare con prestiti gli Stati dell’area euro in difficoltà. Con la pandemia di Covid-19, il ricorso al Mes è più volte stato invocato in Italia per raccogliere risorse da destinare alle spese sanitarie, ma ad oggi la linea di credito istituita per questo scopo non è stata ancora richiesta da nessun Paese.

Ora, ad agitare di nuovo la politica italiana, è tornata la riforma del Mes, che già alla fine del 2020 aveva diviso la maggioranza a sostegno del secondo governo guidato da Giuseppe Conte. Perché oggi, a oltre un anno di distanza, si torna a parlare di Mes? E quali sono i rischi per l’esecutivo di Mario Draghi? 

L’annuncio di Franco

Il 23 febbraio il ministro dell’Economia Daniele Franco è intervenuto alla Camera, per rispondere a un’interrogazione del deputato Massimo Ungaro (Italia viva), che ha chiesto al ministro un giudizio del governo sulla riforma del Mes e quando l’Italia ne avrebbe confermato la ratifica.

Tra le altre cose, in aula Franco ha correttamente fatto notare che al momento l’Italia, insieme alla Germania, è l’unico Paese membro del Mes a non aver ancora fatto ratificare dal Parlamento la riforma del trattato, siglata a gennaio 2021 dai Paesi membri dell’organismo. Per questo motivo, «il governo conferma l’intenzione di presentare il disegno di legge di ratifica alle camere», ha annunciato Franco, aggiungendo: «Ratificare l’accordo emendativo del Mes darà seguito agli impegni assunti dall’Italia nei confronti dei partner europei».

Al momento questo disegno di legge non è ancora stato presentato né alla Camera né al Senato, ma il solo annuncio del ministro ha riacceso le divisioni tra i partiti.

Le reazioni dei partiti

Nella maggioranza di governo, il Partito democratico e Italia viva si sono subito schierati a favore della ratifica della riforma del Mes. Il 4 marzo, in un’intervista con la Repubblica, il responsabile economico del Pd Antonio Misiani ha ricordato che la ratifica non può essere più rimandata e che va affrontata: «Presto o tardi il tema si porrà», ha sottolineato Misiani. Il 6 marzo, in un’intervista con La Stampa, il presidente della Commissione Finanze della Camera Luigi Marattin (Iv) ha ribadito che l’Italia è l’unico Paese in Europa a non aver ancora ratificato il trattato (oltre alla Germania, come abbiamo visto), domandandosi: «Vediamo quanto ci vuole prima che lo capiscano tutti».

Il Movimento 5 stelle ha invece assunto una posizione più prudente. Poco dopo l’annuncio del ministro Franco, il leader Giuseppe Conte ha dichiarato che il suo partito appoggerà le modifiche del Mes se «sostenibili». In passato il M5s è stato uno dei partiti che più si è diviso non solo al ricorso al Mes, ma anche alla sua riforma. A dicembre 2020 oltre 40 parlamentari del M5s avevano infatti scritto una lettera all’allora capo reggente Vito Crimi per esprimere la loro contrarietà alla riforma.

All’epoca una forte opposizione alle modifiche del trattato (usando anche argomentazioni fattualmente scorrette) era arrivata dai tre partiti di centrodestra: Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. Oggi però i primi due fanno parte della maggioranza del governo Draghi: un voto contrario al disegno di legge presentato dal governo per la ratifica della riforma rischia di mettere in pericolo la tenuta dell’esecutivo, come avvenuto di recente con la revisione del catasto, contenuta nel disegno di legge delega sulla riforma fiscale.
Al momento non sono ancora chiare le posizioni di Lega e Forza Italia, ma alcune recenti dichiarazioni evidenziano il rischio di divisioni. Il 5 marzo, per esempio, il leader della Lega Matteo Salvini si è chiesto come sia possibile parlare di Mes «nel momento in cui c’è gente che muore sotto le bombe» in Ucraina e «c’è il rischio di un conflitto nucleare». Il 22 febbraio, il capogruppo di Fi alla Camera Paolo Barelli ha dichiarato a Il Foglio che la riforma ha alcuni aspetti positivi, ma contiene ancora lacune sui poteri di controllo nel nuovo Mes.

Fratelli d’Italia ha invece ribadito la sua posizione, già adottata più di un anno. Il 1° marzo, durante un intervento alla Camera, la leader di Fdi Giorgia Meloni ha annunciato che l’opposizione del suo partito alla riforma del Mes «sarà totale».

Le novità principali della riforma

Ma quali sono le modifiche principali contenute nella revisione del trattato firmato il 27 gennaio 2021? 

Una prima novità riguarda il cosiddetto “backstop”, un paracadute finanziario che il nuovo Mes fornirebbe al “Fondo di risoluzione unico” (Fsr), un fondo finanziato dalle banche dei 19 Stati dell’area euro, pensato per risolvere le crisi bancarie. In altri termini, se il Fsr finisce i soldi (un caso comunque estremo), il Mes può prestare le risorse necessarie. 

La riforma punta inoltre a semplificare e rendere più appetibili le linee di credito precauzionali a cui uno Stato può accedere se, in grave difficoltà economica, vuole evitare di finire a rischio di speculazioni finanziarie sui mercati. 

Un’altra novità, tra le più controverse, riguarda la modifica delle cosiddette “clausole di azione collettiva” (Cacs). Se la riforma del trattato diventasse effettiva, i Paesi dell’area euro dovranno avere non più una clausola di azione collettiva (Cac) a maggioranza doppia ma singola. Che cosa significa, in parole semplici? Se un Paese non riesce più a ripagare il proprio debito pubblico, ai detentori dei titoli sarà sufficiente una votazione a maggioranza – e non una doppia votazione come avviene ora – per chiedere la ristrutturazione del debito.

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