Il 9 dicembre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte renderà in Parlamento le proprie comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), noto anche come fondo Salva-stati. Dopo l’intervento di Conte, è previsto che entrambe le camere approvino le risoluzioni, gli atti con i quali i parlamentari indicano un indirizzo politico al governo.

Nel caso del 9 dicembre, il voto sulle risoluzioni sarà un momento delicato: i parlamentari dovranno formalizzare il proprio appoggio alla linea del governo a favore della riforma del Mes. Al momento, però, persino la maggioranza – e nello specifico il Movimento 5 stelle – non ha una posizione unitaria sul tema.

Vediamo quali sono gli schieramenti in campo.

Di che cosa stiamo parlando

Prima di tutto, è importante chiarire un aspetto: il voto del 9 dicembre (e il dibattito di questi giorni) non riguarda il cosiddetto “Mes sanitario”, ovvero la nuova linea di credito a cui gli stati possono accedere per rispondere alla crisi sanitaria, e di cui si è molto parlato di recente. Il Meccanismo europeo di stabilità, di base, è un organo intergovernativo permanente la cui funzione fondamentale è «concedere, sotto precise condizioni, assistenza finanziaria ai paesi membri che trovino temporanee difficoltà nel finanziarsi sul mercato». Tuttavia, il dibattito sul Mes in Italia è molto politicizzato, come vedremo, e la discussione sulla riforma viene utilizzata anche per rimarcare il punto di vista dei partiti sull’utilizzo del “Mes sanitario”.

La riforma di cui si discuterà al Consiglio europeo della prossima settimana, quindi, riguarda il Mes in generale e comporta cambiamenti significativi nel suo funzionamento, come abbiamo spiegato in una recente analisi. Per semplicità, segnaliamo qui gli aspetti di maggior peso.

Il nuovo Mes fornirebbe un paracadute finanziario, o backstop, al Fondo di risoluzione unico (Fsr), un fondo finanziato dalle banche dei 19 Stati dell’Eurozona pensato per risolvere le crisi bancarie. In altri termini, se il Fsr finisce i soldi (caso estremo), il Mes può prestare le risorse necessarie. La riforma punta inoltre a semplificare e rendere più appetibili le linee di credito precauzionali a cui uno Stato può accedere se, in grave difficoltà economica, vuole evitare di finire a rischio di speculazioni finanziarie sui mercati.

Per questo motivo è stato cancellato il meccanismo del Memorandum of understanding, il protocollo d’intesa che prevedeva precise condizionalità per gli Stati che volessero utilizzare il prestito (come accadde per la Grecia nel 2015). Al posto del Memorandum, la riforma del Mes prevede che lo Stato interessato dal prestito sottoscriva una lettera di intenti, meno impegnativa.

Uno dei punti più controversi è la modifica delle “clausole di azione collettiva” (Cacs): i Paesi dell’Eurozona dal 2022 dovranno avere non più una clausola di azione collettiva (Cac) a maggioranza doppia ma singola. Che cosa significa? Se un Paese non riesce più a ripagare il proprio debito pubblico, ai detentori dei titoli sarà sufficiente una votazione a maggioranza – e non una doppia votazione come avviene ora – per chiedere la ristrutturazione del debito.

Dopo l’accordo del 30 novembre in seno all’Eurogruppo, mancano ancora alcuni passaggi: serve il via libera da parte del Consiglio europeo del 10-11 dicembre, la firma del trattato modificato, prevista per gennaio 2021, e infine la ratifica delle modifiche da parte dei 19 parlamenti nazionali degli Stati della zona euro.

Il Mes nella politica italiana

Prima di parlare delle posizioni dei diversi partiti nei confronti della riforma, è necessario contestualizzare il significato che il fondo Salva-stati ha assunto nella politica italiana. Semplificando, si potrebbe dire che il dibattito sul Mes venga utilizzato dalle forze politiche come linea di demarcazione tra euroscettici ed europeisti.

I detrattori del Mes – tendenzialmente i partiti sovranisti – ritengono che sia l’espressione di un “establishment europeo” pronto a imporre le proprie politiche di austerity agli Stati in difficoltà. Il Meccanismo europeo di stabilità è infatti prevalentemente associato alla vicenda della Grecia che ha beneficiato dei prestiti del fondo Salva-stati nel 2015 a patto di sottostare a dure condizioni per il risanamento dell’economia nazionale. Gli effetti controversi del Mes sull’economia greca sono peraltro stati certificati da un rapporto indipendente curato dall’ex commissario agli Affari economici Joaquin Almunia e presentato al board dello stesso Mes nel giugno 2020. Secondo questo rapporto, il programma di aiuti per la Grecia «ha fallito l’obiettivo di inseguire sistematicamente e con vigore la sostenibilità macroeconomica a lungo termine». In altri termini, ha permesso ai greci di non uscire dall’euro ma ne ha soffocato la crescita economica.

Per questo motivo, il Mes viene utilizzato per rappresentare un’Europa severa e “matrigna”. I partiti più europeisti sostengono che la riforma del fondo Salva-stati punti proprio a correggere questi malfunzionamenti del passato. E soprattutto, per quanto riguarda la linea di credito del Mes in risposta alla crisi sanitaria, chi è a favore dell’utilizzo insiste proprio sul fatto che l’unica condizionalità sia quella di spendere i soldi per le spese sanitarie.

Ma sottolineiamo ancora una volta che in questo caso si sta parlando della riforma del Mes e non del ricorso al prestito per la sanità. Vediamo le posizioni di maggioranza e opposizione sul tema.

La maggioranza

Il problema principale è proprio la divisione interna alla maggioranza. Il Partito democratico è sostanzialmente a favore della riforma (e anche all’utilizzo della linea di credito per la sanità). Il 30 novembre, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (Pd) ha sottolineato in audizione davanti alle commissioni congiunte di Camera e Senato che le decisioni del Consiglio europeo del 10-11 dicembre «riguardano unicamente la riforma del Mes e l’introduzione anticipata sul common backstop e la valutazione dei rischi e queste non investono in alcun modo l’utilizzo del Mes, è cosa distinta dalla scelta se utilizzarlo o meno».

Nel Movimento 5 stelle – il partito di maggioranza relativa – il tema della riforma sta invece causando un certo nervosismo. Formalmente, il capo politico Vito Crimi ha scritto in una nota stampa del 30 novembre che «la riforma del Mes e il suo utilizzo, l’eventualità di farvi ricorso, sono due elementi totalmente distinti» e dunque i Cinquestelle non avrebbero adottato «un approccio ostruzionistico» e non avrebbero impedito «l’approvazione delle modifiche al trattato, rispetto alle quali pure non mancano i rilievi, così da consentire ad altri paesi l’eventuale ricorso allo strumento».

Nei fatti, il reggente è stato smentito il 2 dicembre dalla lettera firmata da più di quaranta fra deputati e senatori “dissidenti”, che chiedono ai vertici del Movimento di esprimersi con un netto no sulla riforma del fondo Salva-stati. Semplificando gli aspetti più tecnici, nella lettera (qui pubblicata dal Foglio), i parlamentari firmatari giudicano insufficiente la riforma del Mes («non si registra alcun avanzamento sul completamento dell’Unione bancaria») e ritengono che questo sia particolarmente rischioso davanti alla «volontà di quasi metà del Parlamento di accedere al Mes rendendo de facto questo strumento più vicino al nostro paese».

Il rischio che il 9 dicembre la maggioranza non abbia i numeri per appoggiare la riforma del Mes in queste ore fa persino temere una crisi di governo.

L’opposizione

Nessun dubbio sulla chiara opposizione di Lega e Fratelli d’Italia alla riforma del Mes. Il 2 dicembre il segretario della Lega Matteo Salvini ha detto che la riforma del fondo Salva-stati «riesce a peggiorare un trattato già negativo perché divide l’Europa in buoni e cattivi, in paesi di serie A e B», aggiungendo che per «i signori di Bruxelles gli italiani sono di serie B» e «se ad aver bisogno fossimo noi dovremmo sottostare alla troika modello Grecia». Il 25 novembre, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha definito la riforma «un’eurofollia», che porterà a una «supertroika onnipotente».

Ha invece rappresentato una sorpresa la scelta di Silvio Berlusconi di allineare Forza Italia – da sempre più europeista nel campo del centrodestra – alle posizioni degli alleati e dire no alla riforma del Mes. L’ex presidente del Consiglio ha spiegato la decisione con due motivazioni: «le decisioni sull’utilizzo del fondo verranno prese a maggioranza dagli Stati» e «il Fondo sarà europeo solo nella forma perché il Parlamento europeo non avrà alcun potere di controllo e la Commissione europea sarà chiamata a svolgere un ruolo puramente notarile». Ma come abbiamo visto in una recente analisi la prima motivazione è sbagliata, in base alle regole e ai trattati in vigore, e la seconda è fortemente esagerata.

Al di là delle questioni di merito, il punto è anche in questo caso politico. Il 26 novembre, Lega e Fratelli d’Italia hanno votato con la maggioranza a favore dello scostamento di bilancio, trascinati dalla spinta di Silvio Berlusconi. Al contrario, sulla riforma del Mes, è stato Matteo Salvini a minacciare la rottura nel caso in cui Forza Italia avesse dato il proprio voto favorevole.

La forzatura non è piaciuta a tutti all’interno di Forza Italia. Secondo i retroscena, il 9 dicembre una parte dei parlamentari azzurri (non è chiaro quanti) potrebbe persino spingersi a votare in senso contrario alle indicazioni del fondatore e dare comunque il proprio ok alla riforma del Mes.

In conclusione

Il 9 dicembre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si presenterà in Parlamento per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità, noto come fondo Salva-stati. Dopo l’intervento di Conte, è previsto che entrambe le camere approvino le risoluzioni, gli atti con i quali i parlamentari indicano un indirizzo politico al governo.

L’esito di questa votazione non è affatto scontato. Nella maggioranza, il Movimento 5 stelle non ha ancora una posizione unitaria sulla riforma. Il 2 dicembre, oltre quaranta parlamentari “dissidenti” hanno scritto ai vertici per richiedere un netto no al Mes, a partire dalle modifiche al Trattato che saranno al centro del Consiglio europeo dell’11 dicembre. Se questo malcontento non dovesse rientrare entro il voto del 9 dicembre, la maggioranza rischierebbe di non avere i numeri per approvare la propria risoluzione.

All’opposizione, Lega e Fratelli d’Italia portano avanti un no granitico a tutto ciò che riguarda il Mes, dalla riforma alla linea di credito per la sanità. Per evitare la rottura con gli alleati, anche Silvio Berlusconi ha annunciato il voto contrario di Forza Italia dopo le comunicazioni del 9 dicembre. All’interno di Forza Italia, da sempre il partito più europeista del centrodestra, non tutti i parlamentari potrebbero seguire le indicazioni del presidente.