L’ex presidente del Consiglio e leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, il 1° dicembre ha scritto su Facebook – spiazzando in parte il suo stesso partito – che non sosterrà la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), noto anche come fondo salva-Stati, quando il 9 del mese il Parlamento sarà chiamato a votare l’autorizzazione al governo a dare il proprio sì alle modifiche.

Secondo Berlusconi sono due i principali motivi di preoccupazione legati alla riforma. Primo, che le decisioni sull’utilizzo del fondo saranno prese a maggioranza dagli Stati e quindi «i soldi versati dall’Italia potranno essere utilizzati altrove anche contro la volontà italiana». Secondo, che sul fondo «il Parlamento europeo non avrà alcun potere di controllo e la Commissione europea sarà chiamata a svolgere un ruolo puramente notarile».

La prima affermazione è del tutto sbagliata e la seconda è quantomeno una forte esagerazione della realtà. Andiamo a vedere i dettagli.

La riforma nel complesso

Si è tornato a parlare della riforma del Mes dopo che che l’Eurogruppo (la riunione dei ministri dell’Economia dei Paesi dell’area euro) ha trovato un accordo il 30 novembre. Di questa riforma si discute da oltre un anno, da prima cioè che arrivasse la pandemia di Covid-19, ma nel 2019 si era arenata proprio a causa della contrarietà dell’Italia.

Come avevamo scritto in una precedente analisi, sono cinque le principali novità che introdurrebbe la riforma del Mes. Questa riforma è una questione distinta dall’introduzione di un nuovo strumento del Mes per rispondere alla crisi causata dall’epidemia di Covid-19, il Pandemic crisis support, di cui si è molto parlato di recente.

La prima novità è la possibilità che il Mes faccia da “backstop” rispetto al Fondo di risoluzione unico (Fsr), un fondo finanziato dalle banche dei 19 Stati dell’Eurozona che ha l’obiettivo di risolvere le crisi bancarie. Se il Fsr finisce i soldi, in parole povere, il Mes può prestare le risorse necessarie. In questo modo si vogliono scoraggiare eventuali speculazioni sulle banche: sapendo che in caso di crisi c’è un ente disposto a prestare ingenti quantità di denaro, diventa più rischioso scommettere su eventuali fallimenti.

La seconda novità è che il Mes avrà un ruolo più forte in futuro, quando si tratterà di fornire programmi di assistenza agli Stati in difficoltà. Terza, viene rivisto l’insieme di strumenti che ha a disposizione il Mes per intervenire in soccorso di un Paese in difficoltà. Quarta, il Mes potrà fare da mediatore tra Stati e investitori privati qualora fosse necessaria la ristrutturazione di un debito pubblico. Quinta, i titoli del debito pubblico dei Paesi dell’area euro dal 2022 dovranno avere non più una clausola di azione collettiva (Cac) a maggioranza doppia ma singola. Cioè se un Paese non riesce più a ripagare il proprio debito pubblico e si rende necessaria una ristrutturazione del debito stesso, sarà sufficiente una votazione a maggioranza di tutti i detentori dei titoli del debito pubblico. Non sarà quindi più necessaria, come avviene adesso, una doppia votazione che richieda sia una maggioranza di questo tipo sia una maggioranza in ogni singola sottocategoria dei titoli stessi (ad esempio titoli triennali, quinquennali, decennali e via dicendo).

Dopo l’accordo del 30 novembre in seno all’Eurogruppo, che passaggi mancano ancora perché questa riformi entra in vigore? Per prima cosa serve il via libera da parte del Consiglio europeo del 10-11 dicembre (quello per cui il governo italiano chiederà il 9 dicembre l’autorizzazione al Parlamento per dire sì alla riforma), quindi la firma del trattato modificato – prevista per gennaio 2021 – e infine la ratifica delle modifiche da parte dei 19 parlamenti nazionali degli Stati della zona euro.

Vediamo allora di capire se sono fondate le preoccupazioni di Berlusconi.

I meccanismi di voto del Mes non cambiano

Dalla bozza del testo riformato (ancora non ufficiale e suscettibile di variazioni), come dai resoconti dei contenuti della riforma che danno sia il Mes stesso sia la Banca d’Italia, non ci risulta che ci sia nessuna modifica sostanziale su come vengono prese le decisioni sull’utilizzo del fondo.

Per quanto riguarda la decisione che il Mes faccia da backstop al Fsr, sul sito del Mes stesso si legge che questa sarà normalmente presa di «comune accordo» (cioè senza voti contrari) e, solo in caso di urgenza, con una maggioranza qualificata dell’85 per cento delle quote (i voti sono ponderati in base a quanto capitale ha sottoscritto il singolo Stato). Come abbiamo scritto in passato, l’Italia è uno dei tre Paesi – insieme a Francia e Germania – che avendo sottoscritto una quota superiore al 15 per cento (17,8 nel caso del nostro Paese) ha di fatto un diritto di veto anche in questo caso.

Anche l’attivazione dei nuovi strumenti previsti per il Mes – si tratta delle linee precauzionali di credito, strumenti già esistenti che vengono però leggermente modificate per rendere più agevole l’accesso agli Stati che abbiano i conti in ordine (per gli altri cambia poco) – non sembra comportare votazioni su criteri diversi da quelli previsti in passato. Dunque la regola per le decisioni finali sulla concessione di prestiti a uno Stato membro resterebbe quella del «comune accordo», che garantisce a tutti un diritto di veto, o in caso di emergenza quella di una maggioranza qualificata dell’85 per cento, che garantisce il diritto di veto a Italia, Francia e Germania.

Abbiamo contattato diversi esperti e funzionari europei, che hanno chiesto di non essere citati, e ci è stato confermato che la riforma non va a modificare le procedure di voto esistenti nel Mes che, come detto, in un modo o nell’altro danno all’Italia un diritto di veto sull’erogazione dei prestiti. Dunque è falso affermare, come fa Berlusconi, che «i soldi versati dall’Italia potranno essere utilizzati altrove anche contro la volontà italiana». Questa ipotesi non esiste.

Veniamo ora alla seconda ragione addotta da Berlusconi per giustificare la sua contrarietà alla riforma del Mes.

Il ruolo di Parlamento europeo e Commissione europea

Per quanto riguarda la preoccupazione di Berlusconi circa il mancato coinvolgimento del Parlamento europeo e il ruolo minoritario della Commissione, la prima osservazione da fare è che – a livello generale – la natura di strumento intergovernativo (cioè gestito dagli Stati nazionali) e non comunitario (cioè sottomesso a Commissione e Parlamento europeo) del Mes, non è una novità. Anche in assenza della riforma il Parlamento europeo non viene coinvolto nelle decisioni del Mes e la Commissione ha un ruolo di supporto, che sembra esagerato definire «puramente notarile».

Ad esempio, infatti, la Commissione viene incaricata dal Mes (in base all’articolo 13 del trattato che istituisce il Mes) di fare diverse fondamentali valutazioni sulla situazione economica di un Paese che chieda un prestito al fondo, e successivamente di negoziare col Paese in questione un protocollo d’intesa che precisi le condizioni a cui viene fornita l’assistenza finanziaria.

La riforma, spiega la Banca d’Italia rispondendo a una domanda sul tema,«non accresce i poteri del Mes ma prevede un suo ruolo attivo nella gestione delle crisi e nel processo che conduce all’erogazione dell’assistenza finanziaria, così come nel successivo monitoraggio». Dunque il Mes «affianca, non sostituisce la Commissione europea. Le modalità di cooperazione tra le due istituzioni saranno definite in un accordo che verrà sottoscritto quando le modifiche al Trattato entreranno in vigore».

Sono già state fornite alcune indicazioni sul contenuto di questo accordo, da un’intesa di massima raggiunta tra le due istituzioni nel 2018. In base a questa, il Mes collaborerà con la Commissione nella valutazione della sostenibilità del debito pubblico degli Stati che chiedono prestiti, nello stabilire le loro necessità finanziarie, i rischi per la stabilità e le condizioni (le riforme) che verranno imposte in cambio del prestito. A ognuna delle due istituzioni sono affidati alcuni passaggi chiave in ciascuna operazione.

Dunque possiamo dire che se è vero che la Commissione europea verrà affiancata dal Mes in diverse funzioni collegate all’utilizzo del Mes, è decisamente esagerato sostenere che la riforma riduca il suo ruolo a un qualcosa di «puramente notarile».

Il verdetto

Silvio Berlusconi il 1° dicembre ha motivato la sua decisione di schierare Forza Italia sul “no” alla riforma del Mes con due principali preoccupazioni: che le decisioni sull’utilizzo delle risorse verranno prese a maggioranza dagli Stati, con la possibilità che l’Italia subisca decisioni che non condivide, e che le istituzioni comunitarie Parlamento e Commissione europea non abbiano, rispettivamente, alcun ruolo o un ruolo «puramente notarile».

La prima preoccupazione è del tutto infondata: la riforma del Mes non modifica i suoi meccanismi decisionali e dunque per le principali decisioni circa la concessione dei prestiti agli Stati vale sempre il criterio del «comune accordo», che garantisce a tutti un diritto di veto, o in caso di emergenza quella di una maggioranza qualificata dell’85 per cento, che garantisce il diritto di veto a Italia, Francia e Germania.

La seconda preoccupazione ha un qualche fondamento nel maggior ruolo che il Mes avrà in diverse decisioni che riguardano gli Stati che fanno richiesta di un prestito, ma non è vero che la Commissione sia ridotta ad avere un ruolo «puramente notarile», cioè di prendere atto delle decisioni assunte dal Mes. Secondo i contenuti di un accordo preliminare sul punto, alla Commissione restano in capo diverse fondamentali funzioni. Per quanto riguarda infine il Parlamento europeo, il suo mancato coinvolgimento nel funzionamento del Mes non è una novità. Il Mes nasce infatti come uno strumento intergovernativo, cioè gestito dagli Stati membri in prima battuta, e non comunitario.

Nel complesso, Berlusconi si merita dunque un “Pinocchio andante”.