Perché ai referendum sarà difficile raggiungere il quorum

C’entrano la crescente astensione, il voto degli italiani all’estero e il peso dei partiti contrari
ANSA
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Il dibattito sui referendum abrogativi su cittadinanza e lavoro dell’8 e 9 giugno sta entrando nel vivo. L’attenzione, però, non si sta concentrando tanto sul contenuto dei cinque quesiti, quanto sulla partecipazione al voto. I partiti che sostengono il governo Meloni si oppongono ai referendum e stanno invitando gli elettori a non recarsi alle urne, un appello che ha suscitato forti critiche da parte delle opposizioni e dei promotori dei referendum. Dato che i referendum sono abrogativi, è previsto il raggiungimento del quorum: per essere validi, deve votare la maggioranza degli aventi diritto di voto.

Ma perché, a oggi, sembra così difficile raggiungere questo obiettivo? I dati ci aiutano a capire: pesano la crescente disaffezione verso la politica, il comportamento degli elettori italiani all’estero e il ruolo dei partiti contrari ai referendum.

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L’astensione in crescita

Nella storia repubblicana, in Italia si sono tenute diciotto tornate di referendum abrogativi, dal 1974 al 2022: in nove casi non è stato raggiunto il quorum. I primi a fallire, in ordine cronologico, sono stati i referendum del 1990 su caccia e pesticidi; gli ultimi sono stati quelli del 2022 sulla giustizia, promossi dalla Lega di Matteo Salvini e dal Partito Radicale, ai quali ha partecipato solo il 21 per cento degli aventi diritto.

A partire dagli anni Novanta, è diventata una prassi per i partiti contrari ai referendum invitare all’astensione, piuttosto che a votare No. Famoso è il caso del 1991, quando l’ex presidente del Consiglio Bettino Craxi disse agli elettori: «Andate al mare», invece di votare ai referendum sulla legge elettorale.

Chi è contrario a un referendum può contare sul fatto che una parte dell’elettorato già normalmente non va a votare. Questo fenomeno si è accentuato negli ultimi anni, a causa della crescente disaffezione verso la politica. Basti pensare che alle elezioni europee del 2024 ha votato solo il 48 per cento degli elettori, mentre alle elezioni politiche del 2022 il 64 per cento. In entrambi i casi si è trattato delle affluenze più basse mai registrate per l’elezione del Parlamento europeo e di quello italiano.
Storicamente, i referendum hanno sempre avuto un’affluenza più bassa rispetto alle elezioni politiche o europee che li hanno preceduti. In media, ai referendum l’affluenza è pari al 59 per cento di quella registrata alle elezioni politiche precedenti e al 63 per cento rispetto alle precedenti elezioni europee [1]. Se si considerano solo i referendum dal 1990 in poi – da quando è più diffusa la strategia dell’astensione – la media dell’affluenza scende: è pari al 49 per cento rispetto alle politiche precedenti, e al 58 per cento rispetto alle europee.

L’ultimo referendum che ha raggiunto il quorum è stato quello del 2011 su nucleare e acqua pubblica, con un’affluenza del 55 per cento: questa percentuale è pari al 70 per cento dei votanti alle politiche del 2008 e all’83 per cento delle europee del 2009.

Secondo le nostre stime, applicando gli stessi rapporti ai prossimi referendum è probabile che voterà circa il 30 per cento degli elettori, una percentuale non sufficiente a raggiungere il quorum. Nello scenario più ottimistico, l’affluenza si fermerebbe tra il 31 e il 38 per cento, ben lontana dal 50 per cento più uno necessario a rendere validi i risultati. 

Se i prossimi referendum ottenessero lo stesso rapporto tra affluenza e votanti alle elezioni registrato nel 2011 – quando i temi erano molto sentiti e l’opposizione era riuscita a compattarsi contro il governo Berlusconi – a giugno si arriverebbe comunque a un’affluenza inferiore al 45 per cento, più bassa del quorum.

Gli italiani all’estero

Anche se non è il fattore principale, il voto degli italiani all’estero contribuisce ad abbassare l’affluenza ai referendum. Nel 2001, la cosiddetta “legge Tremaglia” – dal nome del ministro Mirko Tremaglia – ha permesso agli italiani residenti all’estero di votare per posta. 

A partire dai referendum del 2003, i primi con il voto per corrispondenza, l’affluenza degli italiani all’estero non ha mai superato il 23 per cento, nemmeno nel 2011.

Nel frattempo, il numero di italiani residenti all’estero e iscritti alle liste elettorali è cresciuto: nel 2003 erano 2,4 milioni (il 4,6 per cento sul totale degli aventi diritto di voto), diventati 4,7 milioni nel 2022 (circa il 9 per cento). L’aumento di questa quota e la loro bassa partecipazione al voto sono due elementi che, nel complesso, contribuiscono a far scendere l’affluenza complessiva ai referendum.
Dato che gli elettori all’estero partecipano poco al voto, ma rappresentano una quota crescente sul totale, la loro scarsa affluenza incide negativamente sulla media nazionale, contribuendo a rendere più difficile il raggiungimento del quorum.

Il peso dei partiti contrari

L’astensione è influenzata anche dal consenso dei partiti che si oppongono ai referendum e che invitano esplicitamente gli elettori a non votare.

Oggi Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia – i tre principali partiti di governo contrari ai referendum – raccolgono insieme il sostegno di quasi il 50 per cento degli elettori, una quota superiore alla percentuale di voti ottenuta alle elezioni politiche del 2022. Secondo i sondaggi, questo consenso è stabile da circa due anni e mezzo, e le opposizioni non sembrano in grado di eroderlo.

A sostenere i referendum dell’8 e 9 giugno sono soprattutto alcuni partiti all’opposizione, come il Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra. Ma non riuscendo a guadagnare terreno rispetto ai partiti al governo, è difficile che riescano a mobilitare una parte sufficiente dell’elettorato.

Nel complesso, superare il quorum è diventato sempre più difficile, anche per via di una quota crescente di cittadini disinteressati alla politica. Questo disimpegno non si misura solo con il calo dell’affluenza alle urne, ma si riflette anche nella scarsa partecipazione alla vita pubblica e nella ridotta frequenza con cui si parla di politica tra amici e familiari.

Senza una netta inversione di tendenza nella partecipazione alle elezioni politiche e nell’interesse generale per la politica, è improbabile che un referendum riesca a raggiungere il quorum, soprattutto quando riguarda temi complessi e in apparenza poco immediati, come la cittadinanza e il mercato del lavoro.

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[1] Nel confronto con le elezioni europee non si tiene conto dei referendum del 1974 e del 1978 perché le prime elezioni per il Parlamento europeo si sono tenute nel 1979.
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