La politica in Italia è sempre più una cosa da vecchi

L’affluenza alle elezioni è in calo costante, così come l’interesse degli italiani verso la politica, soprattutto tra i giovani
ANSA / Nicola Fossella
ANSA / Nicola Fossella
Da anni ormai ogni volta che gli italiani sono chiamati a votare si registrano record negativi sull’affluenza, che è costantemente in calo in tutte le tornate elettorali principali. Alle elezioni europee dell’anno scorso per la prima volta nella storia repubblicana ha votato meno del 50 per cento degli elettori, un risultato mai così basso. Le elezioni politiche del 2022, quelle che hanno sancito la vittoria della coalizione di centrodestra tuttora al governo, hanno registrato l’affluenza più bassa di sempre tra tutte le elezioni politiche dei grandi Paesi Ue: due anni fa infatti ha votato meno del 64 per cento degli aventi diritto, un dato imparagonabile rispetto al 94 per cento registrato in media tra gli anni Cinquanta e Sessanta.

Per giustificare questo calo dell’affluenza spesso si critica la classe politica, accusandola di non sapere comunicare al Paese. Inoltre, le recenti crisi economiche globali e alcuni mutamenti degli equilibri internazionali hanno ridimensionato l’importanza della politica nazionale agli occhi degli elettori, che sembrano essersi progressivamente disaffezionati all’argomento.

Misurare quanto ci interessa la politica non è semplice, ma Istat ogni anno dal 2001 pubblica un’indagine in cui analizza le abitudini degli italiani e tra le domande che pone agli intervistati ce ne sono diverse che riguardano la politica. Abbiamo selezionato i risultati principali e abbiamo avuto l’ennesima conferma del fatto che in Italia la politica è ormai, purtroppo, una cosa da vecchi.

La partecipazione alla vita politica

Partiamo dalla politica “attiva”, ossia quella di cui i cittadini fanno esperienza in prima persona. Su questo aspetto, l’Istat ha indagato in particolare sulla partecipazione ai comizi e alle manifestazioni pubbliche.

Nel 2001 il 6,2 per cento delle persone sopra i 14 anni aveva [1] partecipato ad almeno un comizio nell’ultimo anno. Nel 2023 questa percentuale è scesa al 2,8 per cento, meno della metà. Ad aver partecipato a un corteo nel 2001 era stato il 4,9 per cento degli italiani, con un picco del 6,8 nel 2003, mentre nel 2023 il dato è sceso al 2,9 per cento. Dunque, la partecipazione politica in prima persona, seppur già piuttosto bassa vent’anni fa, si è dimezzata negli ultimi anni. 

Certo, si potrebbe obiettare che nel 2001 i social network non esistevano e internet si usava ancora poco, quindi questo tipo di raduni erano molto più importanti rispetto ad oggi per dare un’idea di collettività agli elettori. In realtà però questi fattori contano fino a un certo punto, visto che anche esperienze “passive” come l’ascolto di un dibattito politico in televisione sono sempre meno diffuse tra gli italiani. Nel 2001 il 23,1 per cento della popolazione sopra i 14 anni aveva ascoltato un dibattito nei dodici mesi precedenti, arrivando a un picco del 27 per cento nel 2013. Adesso lo fa solo l’11,1 per cento. Negli ultimi dieci anni c’è quindi un evidente calo non solo della partecipazione diretta, ma anche dell’ascolto di un dibattito politico. Tra il 2013 e il 2023, l’unico anno in cui si è registrato un aumento rispetto a quello precedente è stato il 2018. Come il 2013, però, anche il 2018 è stato un anno in cui si sono tenute le elezioni politiche.

Questo fenomeno si può spiegare in parte con il fatto che la televisione è meno vista che in passato, ma non è solo questo, dato che la percentuale di persone che guarda la televisione quotidianamente è scesa tra 2001 e 2023 del 15 per cento, mentre quella di chi ha ascoltato almeno un dibattito politico all’anno del 52 per cento. 

I dati Istat mostrano comunque che oggi la politica è seguita soprattutto da persone che hanno posizioni più importanti nel mondo del lavoro. Nel 2023, ultimo anno per cui abbiamo i dati aggiornati, ad ascoltare un dibattito è stato, ad esempio, il 17,3 per cento di dirigenti, imprenditori e liberi professionisti, il 15,4 per cento dei quadri e degli impiegati e il 6,3 per cento degli operai e apprendisti. Tutte le categorie sono in forte calo rispetto al 2001, ma il calo è maggiore tra gli operai rispetto ai dirigenti.