Ai referendum i registri elettorali continueranno a essere divisi tra maschi e femmine

Un emendamento al decreto “Elezioni” ha eliminato la distinzione per genere nelle liste elettorali, di cui si discute da anni, ma ci sono alcuni problemi
ANSA
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In Italia, quando si va a votare ai seggi, gli elettori sono divisi in due liste: quella dei maschi e quella delle femmine. Da anni si discute della possibilità di eliminare questa distinzione perché, secondo alcuni, discrimina le persone che non si riconoscono nel genere maschile e femminile, e che potrebbero rinunciare al voto per non dover identificare pubblicamente il proprio genere. 

Fino a oggi, tutti i tentativi per eliminare la distinzione nelle liste non hanno avuto successo, ma le cose presto cambieranno. Il decreto “Elezioni”, con cui il governo ha introdotto la possibilità di votare ai fuorisede ai referendum dell’8 e 9 giugno, è stato modificato dal Parlamento proprio per cancellare la divisione per generi nelle liste elettorali. Questa novità, però, non sarà già valida ai referendum e la sua effettiva applicazione presenta almeno due problemi.

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Di che cosa stiamo parlando

Le liste (o registri) elettorali sono gli elenchi in cui ogni comune italiano tiene traccia di tutti i cittadini maggiorenni, iscritti all’anagrafe della popolazione o all’anagrafe dei residenti all’estero, che hanno diritto di voto. Le liste elettorali sono suddivise in liste sezionali, che comprendono tutti i cittadini che abitano in una determinata zona del comune e che quindi votano nello stesso seggio e nella stessa sezione elettorale. La distinzione tra liste elettorali e liste sezionali è importante per capire i problemi legati al nuovo decreto “Elezioni”. Su questo ci torneremo più avanti.

La divisione per genere delle liste è stata introdotta per la prima volta nel 1° febbraio 1945,  da un decreto con cui il governo di Ivanoe Bonomi ha esteso per la prima volta il diritto di voto alle donne, ed è stata poi confermata negli anni successivi. Secondo le regole attualmente in vigore, contenute in un decreto del presidente della Repubblica del 1967, le liste elettorali devono essere distinte tra uomini e donne, e riportare nome e cognome dell’iscritto, il luogo e la data di nascita, gli estremi dell’atto di nascita e per le donne sposate anche il cognome del marito. Fino al 2003, le liste elettorali dovevano contenere anche il titolo di studio e la professione degli iscritti, ma quest’ultimi sono stati eliminati durante il secondo governo Berlusconi.

L’emendamento al decreto “Elezioni”

Lo scorso 13 marzo, il governo Meloni ha approvato un decreto-legge con cui ha permesso il voto dei fuorisede, in via sperimentale, ai prossimi referendum su cittadinanza e lavoro. Il decreto “Elezioni” è stato approvato al Senato il 16 aprile e ora è all’esame della Commissione Affari Costituzionali della Camera, dove il 7 maggio la maggioranza di centrodestra ha bocciato tutti gli emendamenti dei partiti all’opposizione.

Fonti parlamentari hanno confermato a Pagella Politica che il decreto “Elezioni” arriverà in aula alla Camera la prossima settimana, e sarà convertito in legge definitivamente entro la scadenza del 18 maggio. I decreti-legge, lo ricordiamo, dopo essere stati approvati dal governo sono subito efficaci, ma devono essere convertiti in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, altrimenti il decreto decade.

Durante l’esame in Commissione Affari costituzionali al Senato, è stato introdotto un emendamento al decreto che è intervenuto proprio sulla questione delle liste elettorali. L’emendamento – firmato da Alleanza Verdi-Sinistra, Forza Italia e Fratelli d’Italia – modifica l’articolo 5 del già citato decreto del presidente della Repubblica del 1967, eliminando la distinzione tra maschi e femmine nelle liste elettorali e l’indicazione del cognome del marito per le donne coniugate.

Le questioni aperte

La modifica introdotta al decreto “Elezioni” presenta però almeno due problemi.

Innanzitutto, fonti del Ministero dell’Interno hanno confermato a Pagella Politica che la modifica riguarda solo le liste elettorali generali, ma non le liste sezionali. Questo dettaglio è importante perché, come anticipato, le liste elettorali generali sono gli elenchi dei cittadini aventi diritto al voto che possiedono i comuni, mentre le liste sezionali sono i registri presenti in concreto nei seggi. In altre parole, il decreto “Elezioni” obbliga i comuni a unire le liste elettorali generali tra donne e uomini in loro possesso, ma non è automatico che siano aggiornate anche le liste sezionali, ossia quelle presenti ai seggi. 

L’articolo 37 del decreto del presidente della Repubblica del 1967 prevede infatti che le liste sezionali debbano essere compilate «distintamente per sesso», cioè distinte tra uomini e donne. Il decreto “Elezioni” non ha modificato questo articolo, ma solo quello relativo alle liste elettorali generali. Per questo, l’unione dei registri elettorali nei seggi non sarà automatica e, con tutta probabilità, sarà necessario che il governo o il Parlamento intervenga per modificare la norma sulle liste sezionali, facendo in modo che anche nei seggi i registri siano unici tra maschi e femmine. 

L’altra questione aperta riguarda i tempi di aggiornamento delle liste elettorali. Inizialmente, l’emendamento sulle liste elettorali prevedeva che gli Uffici elettorali dei comuni aggiornassero i registri elettorali entro 60 giorni dalla conversione del decreto-legge, ma poi questa previsione è stata eliminata e non è chiaro al momento quando avverrà l’aggiornamento delle liste secondo le nuove regole. In ogni caso, fonti del Ministero dell’Interno hanno confermato a Pagella Politica che ai referendum dell’8 e 9 giugno i registri elettorali continueranno a essere divisi tra maschi e femmine.

In passato, per risolvere la questione della distinzione tra uomini e donne ai seggi, sono state presentate alcune proposte di legge con altre soluzioni. Per esempio, ad aprile 2022 le deputate del Partito Democratico Giuditta Pini e Angela Schirò avevano proposto di eliminare la distinzione tra uomini e donne nelle liste elettorali, prevedendo invece l’inserimento del codice fiscale accanto al nome e al cognome dell’elettore, per identificare con sicurezza ogni elettore ed elettrice che si reca ai seggi. La proposta, però, non è mai stata esaminata.
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