Perché esiste il voto segreto in Parlamento

Ha fatto molto discutere per l’elezione di La Russa a presidente del Senato, ma ha una lunga storia e varie motivazioni
ANSA/GIUSEPPE LAMI
ANSA/GIUSEPPE LAMI
L’elezione di Ignazio La Russa a presidente del Senato ha riportato al centro del dibattito politico il ricorso al voto segreto in Parlamento, previsto tra l’altro anche per l’elezione del presidente della Camera. Il 13 ottobre l’elezione a presidente del senatore di Fratelli d’Italia è infatti avvenuta senza che si conoscessero pubblicamente i voti dei senatori. Quello che sappiamo per certo, però, è che La Russa è stato eletto grazie al voto di almeno 17 senatori che non fanno parte dei partiti di centrodestra, vista l’assenza in aula della maggior parte dei senatori di Forza Italia (qui abbiamo ricostruito, video alla mano, chi potrebbe aver votato per La Russa dall’opposizione).

Al di là di questo caso specifico, qual è la storia dietro alla pratica parlamentare del voto segreto? In quali casi è prevista e, soprattutto, perché?

Un po’ di storia

Nella storia dell’Italia repubblicana, il voto segreto è stato utilizzato per la prima volta nel 1947, durante l’Assemblea costituente, eletta dai cittadini italiani il 2 giugno 1946 con il compito di scrivere la nuova Costituzione della Repubblica. All’epoca, il regolamento dell’Assemblea costituente, che aveva ripreso quello della Camera dei deputati del Regno d’Italia, prevedeva che lo scrutinio segreto fosse obbligatorio per tutte le votazioni finali sui progetti di legge. Per tutte le altre votazioni, invece, si poteva ricorrere allo scrutinio segreto solo se c’era la richiesta di almeno 20 deputati. 

Il 23 aprile 1947 l’Assemblea costituente discusse un emendamento, a firma del deputato socialista Umberto Grilli, che puntava a cancellare dall’articolo 23 del progetto di Costituzione (poi divenuto l’articolo 29 nel testo definitivo) la parola «indissolubile». Fino a quel momento, l’articolo 23 recitava infatti: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio indissolubile».

Durante il dibattito, un gruppo di deputati, tra cui lo stesso Grilli, chiesero che l’emendamento venisse votato a scrutinio segreto, una richiesta che suscitò un’accesa discussione. «All’epoca, all’interno della stessa Assemblea costituente la questione del matrimonio era un tema molto spinoso e divisivo, e i promotori del voto segreto erano convinti che, proprio nel segreto dell’urna, alcuni deputati avrebbero votato secondo coscienza e non secondo le direttive dei propri partiti», ha spiegato a Pagella Politica Alfonso Celotto, professore di Diritto costituzionale all’Università Roma Tre.

Durante la discussione, l’esponente della Democrazia cristiana Giovanni Gronchi, futuro presidente della Repubblica, tra i sostenitori dell’indissolubilità del matrimonio, contestò la richiesta di voto segreto, accusando i deputati che lo avevano richiesto di «non avere il coraggio politico di assumere una posizione». Sul fronte opposto, Palmiro Togliatti, allora segretario del Partito comunista, ribatté: «Noi non vogliamo il divorzio, ma non vogliamo nemmeno che si includa la dichiarazione dell’indissolubilità del matrimonio in questo articolo della Costituzione. Ma la questione è che il regolamento dice che, una volta chiesto il voto segreto, questa richiesta deve avere la precedenza».

Nonostante le polemiche, la votazione si tenne a scrutinio segreto e l’emendamento venne approvato con 194 voti favorevoli e 191 contrari sui 385 presenti, con diversi deputati della Democrazia cristiana che, nel segreto dell’urna, avevano probabilmente votato per la soppressione della parola «indissolubile» dall’articolo riguardante il matrimonio.
Immagine 1. Il titolo di prima pagina de La Stampa del 24 aprile 1947 sul voto riguardante il matrimonio. Fonte: Archivio storico La Stampa
Immagine 1. Il titolo di prima pagina de La Stampa del 24 aprile 1947 sul voto riguardante il matrimonio. Fonte: Archivio storico La Stampa
Negli anni seguenti, il voto segreto ha dato vita ad altre situazioni simili, con la diffusione del fenomeno dei cosiddetti “franchi tiratori”, ossia quei parlamentari che, sfruttando il voto segreto, votano in dissenso rispetto alla linea del proprio partito. Il fenomeno dei “franchi tiratori” si è verificato spesso durante le elezioni del presidente della Repubblica. I casi più celebri di candidati affossati dai “franchi tiratori” sono quelli dell’ex presidente del Senato Franco Marini e dell’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, che, entrambi nel 2013, non ottennero i voti necessari per essere eletti capo dello Stato, nonostante fossero stati presentati come i candidati di un’ampia maggioranza.

Quando è previsto oggi

Il voto segreto per i parlamentari è una pratica che trova giustificazione nella stessa Costituzione. «Il voto segreto per i parlamentari trae giustificazione dallo stesso articolo 48 della Costituzione, che sancisce che il voto politico, quello di noi cittadini, è personale ed eguale, libero e segreto», ha spiegato Celotto. «Per i parlamentari, il voto segreto è poi una garanzia di libertà in più nelle votazioni sulle singole cariche, come il presidente della Repubblica o gli stessi presidenti di Camera e Senato, perché in questo modo un politico non è costretto a votare secondo la linea imposta dal proprio partito». La segretezza del voto è stata pensata, per esempio, anche per prevenire la corruzione e per rendere i parlamentari non ricattabili. 

A oggi, il voto segreto è previsto dalla Costituzione per l’elezione del presidente della Repubblica, che si tiene con il Parlamento in seduta comune, ossia con la Camera e il Senato riuniti insieme, più la presenza di 58 delegati regionali. Il voto segreto è poi previsto dai regolamenti della Camera e del Senato per alcune specifiche votazioni, che riguardano persone o cariche, come per esempio l’elezione del presidente e dei membri dell’Ufficio di presidenza, che dirigono i lavori dell’assemblea. In questo caso, lo scrutinio segreto permette ai parlamentari di esprimersi esclusivamente sulle persone, senza condizionamenti da parte dei partiti ed evita che i presidenti eletti possano fare poi favori a chi li ha votati. 

In più, le camere possono fare ricorso allo scrutinio segreto per le votazioni su proposte di leggi riguardanti i diritti della persona e della famiglia, sulle modifiche al regolamento interno, sull’istituzione di Commissioni parlamentari d’inchiesta, sulle leggi che riguardano organi costituzionali dello Stato, come il presidente della Repubblica. In questi casi, il voto segreto è autorizzato solo se ne viene fatta richiesta da un numero minimo di parlamentari. Alla Camera la richiesta deve essere fatta da almeno 30 deputati, oppure da uno o più gruppi parlamentari che raggiungano questo numero minimo. Al Senato, invece, la soglia minima di senatori per chiedere il voto segreto è 12. 

Lo scrutinio segreto non è consentito nelle votazioni sulla legge di Bilancio e sulle questioni di fiducia poste dal governo. «Sulla questione di fiducia il voto segreto è escluso perché prevale il principio della responsabilità, ossia che ogni parlamentare della maggioranza risponda di fronte al governo del proprio voto, favorevole o contrario», ha chiarito Celotto.

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