Musk dimostra di non conoscere il diritto italiano e quello europeo

Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha risposto ai commenti del proprietario di X contro i giudici 
ANSA
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In questi giorni stanno facendo discutere alcuni commenti che l’imprenditore statunitense Elon Musk ha scritto sul social network X, di cui è proprietario, a proposito della mancata convalida del trattenimento dei migranti portati in Albania disposta dal Tribunale di Roma. 

Per quanto legittimi, questi commenti – come vedremo – mostrano una scarsa conoscenza di come funzionano il diritto italiano e il diritto dell’Unione europea.

Le parole di Musk e la replica di Mattarella

Il dibattito è iniziato il 12 novembre, quando Musk ha scritto su X: «Questi giudici se ne devono andare», in riferimento alla decisione dei giudici del Tribunale di Roma di far riportare in Italia i migranti detenuti in Albania. Poche ore dopo, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato in un comunicato stampa che l’Italia «sa badare a sé stessa nel rispetto della sua Costituzione», aggiungendo: «Chiunque, particolarmente se, come annunziato, in procinto di assumere un importante ruolo di governo in un Paese amico e alleato, deve rispettarne la sovranità e non può attribuirsi il compito di impartirle prescrizioni». Sebbene non sia citato esplicitamente, il riferimento è proprio a Musk, che è stato nominato dal neoeletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump a capo di un nuovo dipartimento sull’efficienza governativa. 

A oggi la presidente del Consiglio Giorgia Meloni non ha ancora commentato ufficialmente le uscite di Musk, che attraverso il suo collaboratore italiano Andrea Stroppa ha dichiarato di rispettare Mattarella e la Costituzione italiana, ma che «continuerà a esprimere liberamente le proprie opinioni».

Al di là degli aspetti diplomatici e politici, la tesi di Musk per cui ci sarebbe qualcosa di dittatoriale nelle decisioni dei giudici italiani di non convalidare il trattenimento dei migranti in Albania è priva di fondamento.

Due principi più uno

Per capire la vicenda specifica che riguarda i migranti trasferiti nei centri costruiti dall’Italia in Albania, bisogna prima fare chiarezza su due principi generali del diritto.

Il primo principio riguarda il primato del diritto europeo sul diritto nazionale. In caso di conflitto, le norme dell’Unione europea prevalgono sulle norme dei 27 Stati membri dell’Ue. Se così non fosse, sarebbe impossibile garantire un’applicazione uniforme del diritto comunitario nei vari Paesi.
Il secondo principio da tenere a mente è collegato al primo e riguarda l’efficacia diretta del diritto europeo, per cui si può invocare direttamente l’applicazione di una norma europea davanti a una giurisdizione nazionale. In parole semplici, è il giudice nazionale che è chiamato ad applicare direttamente le norme europee, senza bisogno di coinvolgere le istituzioni europee. Se il giudice nazionale ha un dubbio sull’interpretazione di una norma europea, può sospendere il giudizio in corso e rinviare la questione alla Corte di giustizia dell’Ue perché faccia chiarezza (questo strumento si chiama “rinvio pregiudiziale”).

A questi due principi si aggiunge un corollario: al pari delle norme europee, le sentenze della Corte di giustizia dell’Ue hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale. Detto altrimenti, gli Stati membri e le istituzioni dell’Ue devono rispettare e applicare le sentenze della Corte di giustizia dell’Ue, garantendo l’uniformità del diritto europeo.

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Il caso Albania, tappa per tappa

Il 18 ottobre e l’11 novembre la Sezione Immigrazione del Tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento di alcuni migranti, provenienti da Egitto e Bangladesh, portati dalle autorità italiane nei centri costruiti in Albania. Vediamo come i principi visti sopra si applicano alle decisioni dei giudici.

In breve, l’accordo firmato dal governo italiano e dal governo albanese, ratificato dai parlamenti dei due Paesi, prevede che alcuni dei migranti soccorsi dalle navi militari italiane nel Mar Mediterraneo possano essere trasportati nei centri costruiti dall’Italia in Albania. Nello specifico, possono essere portati in Albania gli uomini senza vulnerabilità evidenti, provenienti dai Paesi considerati “sicuri” dall’Italia. In Albania la richiesta di asilo di questi migranti è esaminata con la “procedura accelerata di frontiera”, che è più veloce rispetto alla procedura ordinaria e ha percentuali di accoglimento della richiesta d’asilo più basse.

Il punto su cui l’attuazione del progetto del governo si è complicata nelle aule dei tribunali riguarda proprio la qualificazione dei Paesi “sicuri”. Lo scorso 4 ottobre, infatti, la Corte di giustizia dell’Ue ha stabilito che, in base alle norme europee, un Paese può essere classificato come sicuro da uno Stato membro solo se questa sicurezza è garantita in modo generale e uniforme in tutto il suo territorio. 

Immaginiamo un Paese in cui il 99 per cento della popolazione è di religione X e in cui il restante 1 per cento, di religione Y, è perseguitato e discriminato. In base alla sentenza dei giudici europei, di regola quel Paese è da considerarsi sicuro per i migranti che provengono da lì e che sono di religione X, mentre non è sicuro per i migranti di religione Y.

Il 18 ottobre i giudici del Tribunale di Roma hanno stabilito che i primi migranti portati in Albania non provenivano da Paesi che potessero essere considerati “sicuri” in base alla sentenza della Corte di giustizia dell’Ue del 4 ottobre. Pochi giorni dopo, il 24 ottobre, è entrato in vigore un nuovo decreto-legge del governo Meloni, in cui ha specificato per legge quali sono i 19 Paesi considerati “sicuri” dall’Italia (nella lista precedente, contenuta in un decreto del Ministero degli Esteri, i Paesi sicuri erano 22). Tra questi Paesi, ci sono anche Bangladesh ed Egitto, da cui provengono i migranti per cui il Tribunale di Roma non ha disposto la convalida del trattenimento in Albania. 

Come detto, la legge italiana non avrebbe effetto se fosse in contrasto con le norme comunitarie o le decisioni della Corte di giustizia dell’Ue. E questo contrasto avrebbe potuto essere rilevato direttamente dai giudici italiani, che avrebbero potuto così disapplicare le norme italiane. Con una nuova ordinanza, l’11 novembre i giudici del Tribunale di Roma hanno invece chiesto alla Corte di giustizia dell’Ue di chiarire se e come il nuovo decreto-legge sui Paesi sicuri sia compatibile con le norme europee, oggetto della sentenza del 4 ottobre. 

Le decisioni del Tribunale di Roma oltretutto non sostengono la tesi secondo cui ora i rimpatri dei migranti sarebbero bloccati: come ha spiegato lo stesso tribunale, i migranti portati in Albania non possono essere sottoposti alla procedura accelerata di frontiera, ma se in Italia, al termine della procedura ordinaria, la loro richiesta d’asilo fosse respinta, potrebbero comunque essere rimpatriati.

Tiriamo le somme

Dunque, i commenti di Musk contro i giudici italiani sono arrivati durante l’attesa di un nuovo pronunciamento della Corte di giustizia dell’Ue. A differenza di quanto ha dichiarato dall’imprenditore statunitense, secondo cui in Italia ci sarebbe una sorta di dittatura dei giudici, il Tribunale di Roma ha applicato le norme nel rispetto del diritto italiano ed europeo. Anzi, si potrebbe anche sostenere che i giudici chiamati in causa siano stati prudenti nelle loro decisioni: avrebbero potuto disapplicare il nuovo decreto-legge del governo, considerandolo incompatibile con il diritto comunitario, ma non l’hanno fatto, chiedendo – come detto – che sia la Corte di giustizia dell’Ue a esprimersi.

Avrebbe invece natura autocratica e illiberale l’altra teoria, implicitamente difesa da Musk, secondo cui i governi votati dalla maggioranza degli elettori hanno il diritto di prendere qualsiasi decisione, senza incontrare limiti fissati dal diritto. I limiti posti dalla Costituzione e dagli ordinamenti sovranazionali, in particolare quello europeo, hanno tra i loro scopi quello di tutelare i diritti fondamentali di tutti, minoranze incluse, dalla “dittatura” della maggioranza.

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