Quanto è potente la Corte di giustizia dell’Ue

Di recente ha emesso sentenze sulla transizione di genere, sul calciomercato e sulle bistecche vegane. Perché può farlo? E con quali poteri?
ANSA
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Lo scorso 4 ottobre la Corte di giustizia dell’Unione europea ha emesso alcune sentenze che potrebbero avere ripercussioni significative in diversi settori. Una sentenza ha stabilito che uno Stato membro non può rifiutarsi di riconoscere il cambiamento di nome e di genere legalmente acquisito da una persona in un altro Stato, perché ciò violerebbe i diritti dei cittadini dell’Ue. Un’altra sentenza ha dichiarato che alcune regole della FIFA sui trasferimenti dei calciatori tra club ostacolano la libera circolazione e sono quindi contrarie al diritto europeo, mentre un’altra ancora ha chiarito che gli Stati membri non possono vietare l’uso di termini come “hamburger” o “bistecca” per descrivere prodotti esclusivamente vegetali. 

Ma che cos’è la Corte di giustizia dell’Ue e perché può intervenire su tutti questi temi?

Che cos’è la Corte di giustizia dell’Ue

La Corte di giustizia dell’Ue è l’istituzione a cui è affidata la funzione giudiziaria all’interno dell’Unione europea. In estrema sintesi, il suo compito è garantire che il diritto dell’Ue sia interpretato e applicato correttamente da tutti gli Stati membri e dalle altre istituzioni europee. La Corte di giustizia dell’Ue è suddivisa in due organi, entrambi con sede in Lussemburgo e ciascuno con competenze specifiche: la Corte di giustizia propriamente detta e il Tribunale.

La Corte di giustizia è composta da un giudice per ogni Stato membro, in modo da rappresentare tutti i 27 ordinamenti giuridici nazionali dell’Ue. Tutti questi giudici, però, si riuniscono in seduta plenaria solo in casi eccezionali, mentre più spesso le cause sono affidate a “sezioni” composte da tre o cinque giudici, oppure sono affidate alla “grande sezione”, composta da 15 giudici. La Corte è assistita nel suo lavoro da 11 avvocati generali, che hanno il compito di presentare pareri giuridici sulle cause più complesse: sebbene non siano vincolanti, questi possono orientare il giudizio della Corte e sono pubblicati insieme alle sentenze. Attualmente la giudice italiana presso la Corte di giustizia è Lucia Serena Rossi, prima donna a ricoprire questo ruolo per l’Italia.

Il Tribunale invece è composto da due giudici per ogni Stato membro. I trattati fondativi dell’Ue stabiliscono che alla Corte e al Tribunale si possono affiancare alcuni tribunali specializzati in materie specifiche, ma attualmente non ne è stato istituito nessuno. Nel 2004 era stato creato il Tribunale della funzione pubblica, specializzato nelle controversie tra le istituzioni dell’Ue e i suoi funzionari, ma nel 2016 le sue competenze sono state trasferite al Tribunale.

La nomina dei giudici

I giudici e gli avvocati generali sono nominati dai governi degli Stati membri tra le personalità che offrono tutte le garanzie di competenza e indipendenza, dopo essersi consultati con un comitato che fornisce un parere sull’adeguatezza dei candidati. Questo comitato, previsto dall’articolo 255 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), è composto da sette membri designati dal Consiglio dell’Ue per un periodo di quattro anni. Tra gli attuali componenti, che resteranno in carica fino al 28 febbraio 2026, è inclusa l’ex presidente della Corte costituzionale Silvana Sciarra. 

I giudici e gli avvocati generali durano in carica sei anni e al termine del mandato possono essere rinnovati. Sia i giudici della Corte di giustizia sia quelli del Tribunale eleggono tra di loro un presidente che resta in carica per tre anni, anche questi rinnovabili: l’attuale presidente della Corte di giustizia è il belga Koen Lenaerts, eletto nel 2015 e da allora sempre riconfermato, da ultimo l’8 ottobre 2024.

Chi può rivolgersi alla Corte di giustizia dell’Ue

Alla Corte di giustizia dell’Unione europea possono rivolgersi gli Stati membri, le istituzioni europee, i giudici nazionali, le imprese e anche i singoli cittadini. In base alle caratteristiche delle richieste, i casi possono essere assegnati alla Corte di giustizia oppure al Tribunale.

Le pronunce più comuni riguardano le richieste dei giudici nazionali, che possono interpellare la Corte di giustizia dell’Ue attraverso un “rinvio pregiudiziale” ogni volta in cui, per risolvere una controversia, hanno bisogno di chiarimenti sull’interpretazione di una norma europea. La Corte risponde attraverso una sentenza motivata, di cui il giudice nazionale deve tenere conto per la sua decisione. Generalmente è la Corte di giustizia a occuparsi dei rinvii pregiudiziali, ma di recente la competenza su alcune materie economiche è stata trasferita al Tribunale.

Esempi di pronunce su rinvii pregiudiziali sono le sentenze del 4 ottobre che abbiamo visto prima. Per esempio, nella causa C-4/23 un tribunale romeno aveva chiesto alla Corte di chiarire se il cambio di genere riconosciuto da uno Stato membro a una persona debba essere ritenuto valido in tutti gli altri Paesi dell’Ue. Il caso riguardava un cittadino romeno registrato alla nascita come di sesso femminile, che aveva cambiato nome e genere dopo essersi trasferito nel Regno Unito. Al suo ritorno in Romania, le autorità locali si erano rifiutate di riconoscere il cambiamento senza l’avvio di un procedimento specifico nel Paese. Interpellata dal giudice nazionale, la Corte ha chiarito che il rifiuto di riconoscere il cambio di nome e genere ostacola le libertà di circolazione e soggiorno, che rientrano tra i diritti fondamentali dei cittadini europei.

Nella causa C-650/22, invece, un giudice belga aveva chiesto alla Corte se le norme della FIFA relative al trasferimento dei calciatori fossero contrarie al diritto europeo, come sostenuto dall’ex giocatore francese Lassana Diarra. La FIFA prevede che nel caso in cui un giocatore risolva un contratto prima della scadenza naturale e senza giusta causa, lui e qualsiasi squadra che intenda ingaggiarlo debbano pagare un’indennità al club di provenienza. Per via di queste norme Diarra, che aveva lasciato il Lokomotiv Mosca prima della scadenza, si era visto negare il trasferimento allo Charleroi, in Belgio. La Corte ha dato ragione al calciatore, stabilendo che queste regole ostacolano la libertà di circolazione dei giocatori e limitano la concorrenza tra i club.

Il terzo caso C-438/23 nasceva da una controversia tra la Francia e alcune associazioni e imprese attive nel settore dell’alimentazione vegana. Un decreto governativo aveva vietato l’utilizzo di termini come “bistecca” o “salsiccia” per riferirsi a prodotti contenenti solo proteine vegetali, ma aziende e associazioni del settore si sono rivolte al Consiglio di Stato francese per chiederne l’annullamento, sottolineando l’incompatibilità con un regolamento europeo in materia. La Corte, interpellata dal giudice francese, ha dato loro ragione stabilendo che uno Stato membro «non può vietare l’uso di termini tradizionalmente associati ai prodotti di origine animale per designare un prodotto contenente proteine vegetali» qualora non abbia previsto per legge una denominazione alternativa specifica.

La Corte di giustizia dell’Ue può intervenire su questi argomenti perché molti aspetti della vita economica, sociale e giuridica rientrano tra le competenze dell’Ue. Ne sono un esempio i diritti fondamentali dei cittadini europei, come la libertà di circolazione e di soggiorno, le norme sulla concorrenza e i regolamenti in materia di protezione dei consumatori. Per garantire il rispetto del diritto europeo in tutti gli Stati membri, i giudici nazionali sono chiamati a collaborare attivamente con la Corte di giustizia dell’Ue, applicando nei casi concreti le norme europee e chiedendo chiarimenti sulla loro interpretazione quando necessario.

Le sentenze della Corte sono vincolanti non solo nei confronti del giudice che ha presentato il ricorso, ma di tutti i giudici che si troveranno di fronte a un’identica situazione.

Gli altri ricorsi

Oltre ai giudici nazionali, alla Corte di giustizia dell’Ue possono ricorrere la Commissione europea o gli Stati membri qualora ritengano che un altro Stato membro non stia rispettando le norme europee. La competenza in questi casi è della Corte di giustizia. Un esempio recente è la decisione della Commissione Ue di sottoporre l’Italia al giudizio della Corte di giustizia dell’Ue per quanto riguarda le condizioni di lavoro degli insegnanti nelle scuole pubbliche. Secondo la Commissione, nonostante i richiami l’Italia sta continuando a ricorrere in modo abusivo a contratti a tempo determinato, oltre a discriminare i docenti precari rispetto ai colleghi assunti a tempo indeterminato. 

È possibile ricorrere alla Corte di giustizia dell’Ue anche per contestare le decisioni di un’istituzione europea, sia nel caso in cui abbia adottato un atto ritenuto illegittimo, sia nel caso in cui si sia rifiutata di agire nonostante fosse stata invitata a farlo. Questi ricorsi possono essere avviati da uno Stato membro, da un’altra istituzione europea, ma anche da aziende o singoli cittadini nel caso di decisioni che li riguardano direttamente. Solitamente al Tribunale spetta il giudizio sui ricorsi presentati da imprese e cittadini, mentre la Corte di giustizia è competente per la maggior parte delle controversie tra Stati membri e istituzioni europee o tra diverse istituzioni europee. 

Un’altra differenza tra i due organi è che le sentenze del Tribunale possono essere impugnate davanti alla Corte di giustizia, che può valutare se le norme siano state applicate correttamente, senza però riesaminare i fatti già accertati dal Tribunale.

Da non confondere

Spesso si tende a confondere la Corte di giustizia dell’Ue con la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che è però un organismo distinto e non fa parte delle istituzioni dell’Ue. La Cedu è l’organo giurisdizionale del Consiglio d’Europa, un’organizzazione internazionale con sede a Strasburgo che comprende 46 Stati, inclusi alcuni Paesi non appartenenti all’Ue, come la Turchia e il Regno Unito. Il compito di questa Corte è garantire il rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, un trattato internazionale firmato a Roma nel 1950 per tutelare i diritti umani e le libertà fondamentali.

Come la Corte di giustizia dell’Ue, la Cedu è composta da un numero di giudici pari a quello degli Stati membri, ma in questo caso il mandato dura nove anni e non è rinnovabile. Alla Cedu possono rivolgersi sia gli Stati, che possono segnalare violazioni della Convenzione da parte di altri Stati firmatari, sia i singoli cittadini, purché dimostrino di essere vittime dirette di una violazione e abbiano esaurito tutti i gradi di giudizio previsti nel proprio ordinamento nazionale.

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