Il mercato immobiliare si è rotto?

Tra affitti brevi, aree in crisi e città in corsa, comprare casa oggi non significa più la stessa cosa ovunque
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Questo articolo è uscito l’8 maggio nella newsletter Conti in tasca.
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La casa è da sempre una parte fondamentale nella ricchezza delle famiglie italiane: la nostra scarsa alfabetizzazione su tutto ciò che riguarda denaro e investimenti ha fatto sì che molte persone non si fidassero degli strumenti finanziari, preferendo fare degli investimenti reali. Così, l’acquisto di almeno una casa è stato a lungo – e probabilmente è tuttora – una tappa fondamentale nella vita economica di quasi ogni famiglia italiana. Questo ha portato a un mercato immobiliare particolarmente movimentato, con una crescita più o meno costante dei prezzi nel tempo che, di solito, giustificava l’acquisto. Del resto, se acquisto un bene a un prezzo e posso rivenderlo a un prezzo più alto anni dopo, sto facendo un buon investimento, no? Non per forza, ma perlomeno possiamo dire che non ci si perde.

Questa equazione ha funzionato per molto tempo, anche in aree meno densamente popolate e con un’economia meno dinamica. Oggi, però, le cose sono cambiate. Indossiamo i nostri occhiali da economista e proviamo a capire che cosa è successo.

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Da una parte, comprare casa sembra un’impresa impossibile per molti, ma, allo stesso tempo, sembra che chi voglia vendere non riesca a farlo a un buon prezzo. La spiegazione è molto semplice: ci sono alcune aree in cui i prezzi sono in forte crescita e altre in cui invece stanno colando a picco. E le seconde sono molte più delle prime.

Sembra un’ovvietà, ma in realtà è un fenomeno molto utile a comprendere quanto dobbiamo fidarci della media: se ci limitassimo a guardare il dato medio sui prezzi delle case nel nostro Paese, potremmo dare facilmente una risposta alla crisi abitativa: “Non esiste”. Se osserviamo i dati forniti da ISTAT, infatti, vediamo come i prezzi delle case siano in realtà scesi negli ultimi anni. In media, la riduzione è stata intorno al 5 per cento.
Questo primo grafico, però, già fa emergere alcune domande: di che case stiamo parlando? Davvero il valore di ogni casa è calato del 5 per cento rispetto a 15 anni fa? Naturalmente, no. Una prima dimensione che si può considerare è la differenza tra abitazioni esistenti e quelle di nuova costruzione. E, da questo dato, già si vede una forte differenza.
Non sono infatti i prezzi delle case a non crescere, ma solo quelli delle abitazioni già esistenti, che sono calati del 15 per cento. Per le nuove costruzioni, invece, l’aumento è stato del 35 per cento.

Non è un dato che stupisce: se, come abbiamo ipotizzato, esistono delle aree in cui la domanda di case è in crescita, è normale che chi decide di costruire lo faccia proprio in quelle zone in cui le persone stanno provando a comprare. Inoltre, le abitazioni moderne sono decisamente più confortevoli e, di solito, hanno minori costi di gestione grazie all’efficienza energetica.

Quindi, quali sono le zone in cui i prezzi delle case stanno ancora crescendo nonostante la tendenza media in ribasso? Come facilmente intuibile, si tratta soprattutto delle grandi città del Centro e del Nord, che stanno diventando sempre più i poli della crescita economica del nostro Paese. Città come Milano o Bologna, per esempio, hanno registrato un aumento dei prezzi negli ultimi anni. Lo si vede osservando le quotazioni medie su piattaforme come Immobiliare.it. Secondo il loro osservatorio sui prezzi, a inizio 2017 una casa nel Comune di Milano veniva venduta in media a 3.699 euro al metro quadro, mentre oggi la quotazione è salita a 5.481 euro al metro quadro (+48 per cento). A Bologna, l’aumento è stato invece del 36 per cento. Non tutte le città, anche quelle più grandi, stanno però registrando una crescita. È il caso di Genova, in cui i prezzi sulla piattaforma sono calati del 15 per cento negli ultimi otto anni. Anche questo ci permette di fare un’ipotesi: dove la popolazione cresce, crescono anche i prezzi, mentre dove cala (come a Genova), le quotazioni tendono a scendere.

Che cosa fa crescere i prezzi

La domanda di case sta crescendo molto in pochi centri, un fenomeno che sta comportando una carenza di immobili da acquistare. L’aumento dei prezzi, però, non può essere giustificato solo dalla maggiore attrattività della città: la differenza rispetto ad altre aree sembra troppo importante da poter dipendere solo da questo.

Tra le possibili spiegazioni, c’è senza dubbio il fenomeno degli affitti brevi. L’emergere di questa nuova forma di locazione, in molti casi di gran lunga più redditizia dell’affitto a lungo termine, non ha un effetto solo sulla disponibilità di immobili in affitto per studenti e lavoratori, ma anche sui prezzi delle case stesse. Sul mercato, infatti, sono arrivati sempre più soggetti interessati a comprare le case come investimento, con l’idea di convertirli in appartamenti destinati agli affitti brevi. Le logiche di questi soggetti sono ben diverse da quelle di chi deve acquistare casa per abitarci e le prospettive di reddito li spingono a offrire prezzi molto superiori. La leva per frenare questo fenomeno potrebbe essere la tassazione: definire in modo specifico gli appartamenti per gli affitti brevi potrebbe, per esempio, permettere di tassarli di più (oggi godono di una tassazione agevolata, simile a quella per gli affitti a lungo termine), disincentivando la “speculazione” sull’immobiliare.

Soluzioni più drastiche, come il divieto degli affitti brevi, rischierebbero solo di peggiorare la situazione, favorendo la nascita di un mercato irregolare, senza peraltro avere la certezza che le case che fino a quel momento venivano offerte sulle piattaforme vengano convertite ad affitti a lungo termine.

Come si risolve il problema? Non è semplice, ma occorre senza dubbio aumentare l’offerta di case. Costruendo, ma anche spingendo le persone a vendere di più. Sempre attraverso la tassazione, si possono disincentivare le case sfitte, una politica che potrebbe sia aumentare l’offerta di immobili in affitto, sia spingere le persone a vendere case che non utilizzano, aumentando l’offerta sul mercato. Una scelta di questo tipo potrebbe anche ridurre il ricorso al nero, dato che le case affittate senza contratto risulterebbero sfitte e, quindi, subirebbero una maggiore tassazione.

Si tratta solo di alcune delle cause e di alcune delle possibili soluzioni, ma ci mostrano che il fenomeno della crisi abitativa non riguarda tutti, ma solo una parte della popolazione. Questo non significa che non vada ricercata una soluzione, anzi, ma è importante ricordare che le politiche sulla casa non possono limitarsi a un unico intervento, ma vanno disegnate avendo in testa il disegno più grande.
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