Chi ha vinto il dibattito sulla sanità tra Meloni e Schlein alla Camera?

Abbiamo verificato otto dichiarazioni dal botta e risposta in Aula tra le due leader di partito
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Il 24 gennaio la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha partecipato a un question time alla Camera, in cui ha risposto a dieci domande dei partiti della maggioranza e dell’opposizione. Uno dei confronti più attesi in aula è stato quello con la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, che ha chiesto a Meloni come il suo governo intenda aumentare le risorse per la sanità. Dopo la risposta della presidente del Consiglio, Schlein ha potuto a sua volta replicare. Il question time è uno degli strumenti di controllo del Parlamento nei confronti del governo, importato dal Regno Unito (anche se con modifiche rilevanti).

Secondo alcuni commentatori il “duello” è stato vinto da Meloni, mentre secondo altri ha avuto la meglio la segretaria del PD. Senza entrare nelle valutazioni politiche del confronto tra le due leader di partito, abbiamo verificato otto dichiarazioni (quattro di Meloni, quattro di Schlein) per capire se una delle due è stata più precisa con i fatti e con i numeri.

Il tetto alla spesa per il personale sanitario

Meloni: «Il tetto alla spesa per il personale sanitario è stato introdotto nel 2009 […]. Noi ci troviamo a fare i conti con una situazione che si è stratificata negli ultimi 14 anni»

Schlein: «Non ho citato l’anno in cui è stato adottato quel tetto alla spesa, che si rifà ai livelli del 2004. Ha ragione lei, era il 2009, e sa chi era ministro di quel governo? Lei era ministra di quel governo»

Il tetto alla spesa per il personale sanitario è stato il tema principale su cui si è concentrato il dibattito in aula tra la presidente del Consiglio e la segretaria del Partito Democratico. In breve: secondo Meloni questo tetto è stato introdotto 14 anni fa e quindi è stato ereditato dall’attuale governo. Secondo Schlein, invece, la leader di Fratelli d’Italia ha dimenticato di dire che quel tetto è stato introdotto proprio da un governo di cui lei era ministra. Mettiamo un po’ di ordine tra i fatti.

La legge del 2009 a cui ha fatto riferimento Meloni è la legge di Stabilità per il 2010 (il vecchio nome della legge di Bilancio), approvata alla fine del 2009 dal Parlamento quando in carica c’era il quarto governo Berlusconi. In quel governo Giorgia Meloni, allora giovane esponente del Popolo della Libertà, ricopriva la carica di ministra della Gioventù. Quella legge di Stabilità aveva introdotto (articolo 2, comma 76) il blocco del cosiddetto “turn over” del personale sanitario. Con il termine “turn over” si fa generalmente riferimento alle assunzioni nella pubblica amministrazione in sostituzione del personale andato in pensione. Non solo: quella stessa legge aveva confermato un tetto alla spesa per il personale sanitario introdotto nel 2006 dal secondo governo Prodi, supportato da una coalizione di numerosi partiti di centrosinistra e sinistra.

Come abbiamo già spiegato in passato, per ridurre la spesa pubblica, il governo Prodi aveva stabilito (articolo 1, comma 565) che le spese del personale sanitario non potessero superare nel 2007, 2008 e 2009 «il corrispondente ammontare dell’anno 2004 diminuito dell’1,4 per cento». Questo vincolo di spesa è stato confermato più volte dai governi successivi. 

Sul punto dunque Giorgia Meloni si richiama correttamente al 2009 e a ragione dice che eredita decisioni prese in precedenza – anche se certo si tratta di decisioni che potrebbero essere modificate nel frattempo – mentre Schlein correttamente ricorda che Meloni faceva parte di quel governo (anche se certo non con un ruolo di primo piano).

La spesa sanitaria aumenta o cala?

Meloni: «Abbiamo portato il Fondo sanitario ai massimi storici, anni del Covid compresi»

Schlein: «La verità è che la spesa sanitaria, che si calcola in tutto il mondo sul Pil, sta scendendo, secondo i vostri numeri, ai livelli precedenti alla pandemia»

Da mesi ormai il governo Meloni è accusato di aver tagliato le risorse alla sanità, mentre vari esponenti del governo si sono difesi dicendo che mai come oggi ci sono stati così tanti soldi a disposizione del Servizio sanitario nazionale. Come spesso succede, la «verità» – invocata da Schlein in aula – sta un po’ nel mezzo tra queste due posizioni: in sostanza Meloni fa riferimento ai numeri assoluti e Schlein a quelli in relazione al Prodotto interno lordo.

Partiamo dalle ultime cifre decise per il finanziamento al Servizio sanitario nazionale. La legge di Bilancio per il 2024 ha stanziato per questa voce di spesa 3 miliardi di euro in più per quest’anno, 4 miliardi per il 2025 e 4,2 miliardi per il 2026. L’Ufficio parlamentare di Bilancio, un organismo indipendente che vigila sui conti pubblici italiani, ha calcolato che il finanziamento complessivo per la sanità, considerando anche gli stanziamenti precedenti, arriverà a 134 miliardi di euro nel 2024, a 135,4 miliardi nel 2025 e 135,7 miliardi nel 2026. 

È vero che in valore assoluto questi numeri sono i più alti mai raggiunti. Ma la cifra assoluta del finanziamento al Servizio sanitario nazionale è in crescita costante da vent’anni, con rare eccezioni. E in alcuni anni ci sono stati aumenti anche più alti di quelli introdotti dal governo Meloni. 

Questi numeri sono espressi in termini nominali, non reali, quindi non tengono conto dell’inflazione. Se si considera l’aumento medio dei prezzi, cresciuti molto negli ultimi due anni, gli incrementi decisi dal governo Meloni – seppur consistenti – sono meno ingenti rispetto ad alcuni aumenti approvati in passato.
Schlein ha replicato a Meloni proprio dicendo che il valore della spesa sanitaria sta calando in rapporto al Prodotto interno lordo (Pil). È vero: nel 2022 la spesa sanitaria aveva raggiunto un valore pari al 6,7 per cento del Pil, percentuale scesa al 6,6 per cento nel 2023, al 6,4 per cento nel 2024 e 2025 e al 6,3 per cento nel 2026. 

In questo campo comunque il Partito Democratico non ha meriti straordinari da rivendicare. Anche nel 2021 il governo Draghi, supportato dal PD e con Roberto Speranza ministro della Salute, aveva previsto un calo della spesa sanitaria in rapporto al Pil negli anni successivi. All’epoca Speranza era il segretario di Articolo 1, ma a giugno 2023 questo partito si è sciolto ed è confluito proprio nel PD di Schlein. 

Nel 2020 e nel 2021, a causa della pandemia di Covid-19, la spesa sanitaria è cresciuta parecchio in valori assoluti e in rapporto al Pil ha superato il 7 per cento. In quei due anni, però, il Pil aveva sofferto la crisi economica: calando il valore del denominatore, ossia quello del Pil, è aumentato automaticamente il rapporto. Basti pensare che nel 2020 il Pil italiano è calato quasi del 9 per cento rispetto al 2019.

La carenza di infermieri

Schlein: «Mancano almeno 70 mila infermieri»

Negli anni varie associazioni di categoria e istituti hanno provato a quantificare la carenza di infermieri in Italia. A gennaio 2023 abbiamo scritto un’analisi proprio su questo tema.

All’epoca la Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche (Fnopi) stimava che nel nostro Paese servissero circa 63.500 infermieri in più, un numero vicino a quello indicato da Schlein. Questa cifra era stata calcolata sulla base di alcuni dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), che ogni anno valuta la situazione sanitaria di tutti i Paesi membri dell’organizzazione.

Anche la Corte dei Conti si è espressa sul tema a novembre 2022. Secondo la Corte dei Conti il personale infermieristico italiano è «pesantemente sottodimensionato» in molte aree del Paese, soprattutto se confrontato con la situazione in altri Stati europei. L’analisi della Corte dei Conti ha preso in considerazione lo «standard internazionale 1:3 per il personale infermieristico», quello secondo cui per ogni medico attivo sarebbe bene ci fossero almeno tre infermieri attivi. Sulla base dei dati Istat, la Corte dei Conti ha calcolato nel 2020 «una carenza di infermieri di circa 65 mila unità».

È bene precisare che, confrontando i dati a livello internazionale, si fa riferimento a sistemi sanitari molto diversi tra loro. Per esempio la sanità italiana ha poco a che fare con quella degli Stati Uniti, dove il rapporto tra infermieri e popolazione è molto alto, ma dove non esiste un sistema sanitario pubblico universalistico, in cui lo Stato copre gran parte delle cure mediche dei cittadini.

Più soldi ai medici?

Meloni: «Siamo intervenuti con il decreto-legge n. 34 del 2023, poi convertito, con il quale puntiamo progressivamente ad azzerare questo problema [dei “medici gettonisti”, ndR], riconoscendo maggiori indennità, prestazioni aggiuntive, benefici pensionistici ai lavoratori del comparto e a chi lavora nel pronto soccorso»

Qui la presidente del Consiglio ha parlato del fenomeno dei cosiddetti “medici gettonisti”, ossia quei medici che lavorano su chiamata negli ospedali, con compensi spesso più elevati dei medici sotto contratto nelle strutture.

È vero che il decreto-legge citato da Meloni è intervenuto su questo tema. Tra le altre cose, ha stabilito che le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale possono procedere alle esternalizzazioni una sola volta e senza proroga per l’affidamento di servizi medici e infermieristici. Questo può essere fatto solo in caso di effettiva necessità e urgenza e dopo aver verificato che non sia possibile utilizzare il personale già in servizio o nuove assunzioni.

È stata poi aumentata la retribuzione oraria per gli straordinari fatti da medici e infermieri. In questo ambito Meloni ha dunque sostanzialmente ragione.

Il Pnrr e le case della comunità

Schlein: «Non credete nella sanità territoriale, che avete tagliato, anche nel Pnrr, sulle case della comunità»

Qui la segretaria del Partito Democratico ha fatto riferimento alla revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), presentata la scorsa estate dal governo Meloni e approvata a novembre dalla Commissione europea, con alcune modifiche. 

Tra le altre cose, il governo aveva chiesto di cambiare gli obiettivi sulla realizzazione delle cosiddette “case della comunità”, ossia nuove strutture per l’assistenza sanitaria e sociale a livello territoriale. La richiesta era di ridurre il numero di strutture realizzabili da 1.350 a 936 entro i primi sei mesi del 2026. Con le autorità europee si è poi trovato un compromesso: saranno infatti 1.038 le strutture che dovranno essere realizzate dal governo per ottenere una parte dei soldi del Pnrr. 

Secondo Schlein questa riduzione dimostra che il governo non crede nella sanità territoriale. Al di là di questa legittima opinione politica, il governo ha comunque motivato la riduzione del numero delle case di comunità con l’aumento dei prezzi delle materie prime ed energetiche. I rincari hanno comportato un aumento del costo degli investimenti programmati, in particolare per le opere di edilizia sanitaria.

Il rinnovo dei contratti pubblici

Meloni: «Abbiamo concentrato le risorse destinate al rinnovo dei contratti pubblici proprio sul contratto dei sanitari, impegno per il quale abbiamo investito 2,4 miliardi di euro»

Questa cifra è corretta. È stata annunciata dal ministro della Salute Orazio Schillaci il 17 ottobre 2023, in un’audizione in Senato sul disegno di legge di Bilancio per il 2024. Nelle settimane successive è stata ripresa e confermata, tra gli altri, dalla Corte dei Conti e dell’Ufficio parlamentare di Bilancio nelle loro audizioni in Parlamento.

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