Che cosa non torna negli slogan dei promotori dei referendum

Durante una “maratona” elettorale, i cinque quesiti su cittadinanza e lavoro sono stati riassunti in modo fuorviante
Ansa
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Nelle ultime settimane, i promotori dei referendum su cittadinanza e lavoro dell’8 e 9 giugno hanno organizzato diverse iniziative per sensibilizzare gli elettori al voto. Una di queste si è tenuta il 19 maggio a Roma, dove su un palco si sono alternati vari sostenitori dei quesiti: tra loro, il segretario della CGIL Maurizio Landini, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte, il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, il coportavoce di Europa Verde Angelo Bonelli e il segretario di Più Europa Riccardo Magi. L’evento, definito una “maratona”, è durato oltre quattro ore.

Chi saliva sul palco per intervenire doveva inserire una scheda in cinque finte urne elettorali, ciascuna di un colore diverso e dedicata a uno dei referendum abrogativi. Su ogni urna era riportata una domanda che cercava di riassumere il contenuto del quesito, accompagnata da due riquadri con le risposte “Sì” e “No”. 
Il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte mentre partecipa all'iniziativa a Roma del 19 maggio - Fonte:  Ansa
Il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte mentre partecipa all'iniziativa a Roma del 19 maggio - Fonte: Ansa
Le domande riportate sulle urne, pensate per riassumere in modo semplice i cinque referendum, in diversi casi hanno semplificato troppo il contenuto dei quesiti, rischiando di creare aspettative o interpretazioni scorrette.

Il quesito sui licenziamenti illegittimi

Su un’urna di colore verde chiaro era riportata la domanda: «Vuoi impedire i licenziamenti illegittimi?». Il riferimento è al primo quesito referendario, presente sulla scheda dello stesso colore, che riguarda proprio i licenziamenti illegittimi e il cosiddetto “contratto a tutele crescenti”.

Questo contratto è stato introdotto nel 2015 dal Jobs Act, la riforma del lavoro approvata durante il governo Renzi. Per chi è stato assunto a partire da marzo 2015 in poi, il contratto a tutele crescenti ha eliminato, nella maggior parte dei casi, la possibilità di reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, prevedendo al suo posto un indennizzo economico tra sei e 36 mensilità, calcolato in base all’anzianità di servizio.

Il referendum propone di abrogare il decreto legislativo che ha introdotto questo tipo di contratto. Ma ciò non significa che, con questa modifica, i licenziamenti illegittimi verranno impediti: i datori di lavoro potranno comunque decidere di interrompere un rapporto di lavoro, e sarà sempre un giudice a stabilire se il licenziamento sia legittimo o meno, nel caso in cui il lavoratore faccia ricorso.

In caso di vittoria del Sì, a cambiare sarà il trattamento previsto per i lavoratori ai quali viene riconosciuto un licenziamento senza giusta causa. Si tornerebbe infatti al sistema precedente al contratto a tutele crescenti, cioè alla versione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori modificata nel 2012 dalla legge “Fornero”. Questa legge ha limitato il reintegro – che prima era sempre previsto – lasciando la decisione al giudice. In sintesi, con la vittoria del Sì il reintegro nel posto di lavoro tornerebbe possibile in alcuni casi, e non sarebbe più esclusivamente previsto un risarcimento economico.

Per questo motivo, al netto della modifica proposta, presentare il quesito come se potesse «impedire i licenziamenti illegittimi» è una lettura eccessivamente ottimista, che rischia di essere fuorviante.

Il quesito sui contratti a termine

Su un’urna rossa era riportata la domanda: «Vuoi abolire i contratti precari?». Il riferimento è al terzo quesito referendario, che sarà in realtà presente su una scheda di colore grigio chiaro (e non rossa). Il referendum propone di eliminare la possibilità, oggi prevista per i datori di lavoro, di stipulare contratti a termine della durata massima di dodici mesi senza indicare una causale, cioè senza spiegare le motivazioni specifiche per cui si ricorre a un’assunzione a termine.

Attualmente, infatti, se un contratto a termine supera i 12 mesi, è obbligatorio specificare la causale, per esempio motivando l’assunzione con esigenze tecniche o organizzative. In pratica, se vincessero i Sì al referendum, i datori di lavoro dovrebbero sempre indicare per iscritto una causale per ogni contratto a termine, anche per quelli di breve durata.

Affermare che con la vittoria del Sì si arriverebbe ad «abolire i contratti precari» è dunque un’esagerazione. Il quesito mira a rendere più rigide le regole per l’utilizzo dei contratti a termine, con l’obiettivo di limitarne l’abuso. Secondo chi si oppone al referendum, però, questa modifica rischierebbe di aumentare la conflittualità tra datori di lavoro e lavoratori dipendenti.

Il quesito sulla cittadinanza

«Vuoi dimezzare l’attesa per la cittadinanza?». Questa era la domanda riportata su un’urna arancione e fa riferimento al quinto quesito referendario, che si voterà su una scheda di colore giallo. In questo caso, pur essendo formulata in modo generico, la sintesi del quesito fatta dai promotori è quella più vicina al contenuto effettivo.

Oggi, un cittadino straniero adulto proveniente da un Paese extra-Ue deve risiedere legalmente in Italia per almeno dieci anni prima di poter richiedere la cittadinanza italiana. Il referendum propone di dimezzare questo requisito, portandolo da dieci a cinque anni.

Il dimezzamento non riguarda tutti gli stranieri – come potrebbe far pensare la formulazione sull’urna – ma solo gli extracomunitari maggiorenni. Anche in caso di vittoria del Sì, resteranno in vigore gli altri requisiti previsti per ottenere la cittadinanza italiana, tra cui il possesso di un certo reddito e la conoscenza della lingua italiana.

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Il quesito sulla sicurezza sul lavoro

L’urna viola presente sul palco della “maratona” riportava la domanda: «Vuoi fermare le morti sul lavoro?». Anche questa formulazione, per come è scritta, rischia di risultare fuorviante.

Il quarto quesito referendario, che sarà votato su una scheda di colore rosso, riguarda la responsabilità in caso di incidenti sul lavoro.  Attualmente, nei casi di appalto o subappalto, le aziende committenti non sono responsabili per gli infortuni sul lavoro o le malattie professionali che derivano da rischi specifici dell’attività svolta dalle imprese appaltatrici o subappaltatrici. In altre parole, la responsabilità per questi eventi ricade solo sull’impresa che esegue il lavoro, non su quella che lo ha commissionato.

Il referendum vuole eliminare questa eccezione. Se vincessero i Sì, anche le aziende committenti potrebbero essere ritenute responsabili per danni legati ai rischi specifici dell’attività appaltata. Si estenderebbe così la cosiddetta “responsabilità solidale”, già prevista in altri ambiti, anche alla sicurezza sul lavoro nei contesti di appalto e subappalto.

L’obiettivo del Sì è quello di aumentare la sicurezza sul lavoro, poiché l’estensione della responsabilità solidale dei committenti potrebbe incentivare maggiori controlli e precauzioni da parte di tutti gli attori coinvolti nella catena di appalto. In più, la responsabilità estesa potrebbe spingere i committenti a selezionare appaltatori più sicuri e a monitorare meglio le condizioni di lavoro, riducendo così il numero di infortuni.

Riassumere tutto questo con la domanda «Vuoi fermare le morti sul lavoro?» rischia però di essere poco preciso per chi sostiene il referendum. Infatti, anche in caso di approvazione, gli infortuni sul lavoro – compresi quelli mortali – non sparirebbero. Una frase così generica potrebbe essere usata per promuovere qualunque intervento sulla sicurezza, da quelli più incisivi alle modifiche minime e prive di effetti reali.

Il quesito sui risarcimenti per i licenziamenti

Infine, un discorso simile vale per la domanda riportata sull’urna blu: «Vuoi un equo risarcimento?». Questa fa riferimento al secondo quesito referendario, che si voterà su una scheda di colore arancione. Il quesito riguarda i licenziamenti e i relativi risarcimenti nelle piccole imprese con meno di 15 dipendenti.

Il quesito chiede di eliminare i limiti massimi di risarcimento oggi previsti in caso di licenziamento senza giusta causa nelle piccole imprese. Attualmente, un lavoratore licenziato senza una motivazione valida ha diritto a un’indennità economica che può arrivare fino a sei mensilità di stipendio. Questo tetto può salire a dieci mensilità se il lavoratore ha più di dieci anni di anzianità, e a quattordici se ha lavorato per più di vent’anni, ma solo se l’azienda ha più di quindici dipendenti. Il referendum propone di cancellare questi tetti, lasciando al giudice la possibilità di stabilire liberamente l’ammontare del risarcimento in base alla singola situazione. 

In caso di vittoria dei Sì, il risarcimento non sarebbe più vincolato a un massimo stabilito per legge, ma deciso di volta in volta. Secondo i favorevoli, eliminando il tetto massimo, si eviterebbero risarcimenti inadeguati per chi ha subìto un danno economico grave e sarebbe possibile analizzare nello specifico ogni situazione, tenendo in considerazione variabili diverse, come la situazione economica del datore di lavoro.

Non è detto però che il risarcimento deciso dal giudice, e non più sulla base di limiti prestabiliti, sarà sempre percepito dai lavoratori licenziati come “equo”. Secondo i contrari al referendum, infatti, il superamento dei limiti massimi non garantirebbe per i lavoratori licenziati risarcimenti necessariamente più alti, dato che tutto dipenderebbe dalla valutazione del giudice.

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