Questo articolo è una sintesi dei due capitoli “I referendum sul Jobs Act” e “Gli altri referendum sul lavoro”, contenuti nella Guida di Pagella Politica ai referendum su cittadinanza e lavoro. Scopri qui come riceverla gratis.
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L’8 e 9 giugno si voteranno cinque referendum abrogativi: uno riguarda la legge sulla concessione della cittadinanza italiana, gli altri quattro propongono di modificare regole del mercato del lavoro, alcune delle quali introdotte dal Jobs Act. Quest’ultima è la riforma del lavoro approvata tra il 2014 e il 2016 dal governo Renzi.
Ti spiega in modo chiaro e semplice:
• che cosa chiedono i cinque referendum abrogativi su cittadinanza e lavoro;
• le ragioni di chi è a favore e di chi è contrario;
• le posizioni dei partiti;
• e come funziona il voto, anche per chi vive fuorisede.
Gli elettori riceveranno quattro schede di colore diverso per votare ai quattro referendum sul lavoro. Se si è d’accordo con l’eliminazione della norma oggetto del quesito, bisogna votare Sì. Se si è contrari, bisogna votare No.
I fac-simile dei quattro referendum sul lavoro – Fonte: Ministero dell’Interno
Il quesito n. 1 è sulla scheda verde chiaro, e riguarda il cosiddetto “contratto a tutele crescenti” e i licenziamenti illegittimi (qui il fac-simile). Per gli assunti da marzo 2015, il contratto a tutele crescenti ha eliminato la possibilità del reintegro nella maggior parte dei casi di licenziamento illegittimo, prevedendo solo un indennizzo economico compreso tra sei e 36 mensilità, calcolato in base all’anzianità di servizio. Se il referendum venisse approvato e il decreto fosse abrogato, per i contratti di lavoro a tempo indeterminato si tornerebbe al sistema precedente: quello dell’articolo 18 così come modificato dalla “legge Fornero”. In alcuni casi, quindi, tornerebbe possibile il reintegro nel posto di lavoro, e non soltanto un risarcimento economico.
Il quesito n. 2 è sulla scheda arancione e riguarda i licenziamenti, e i relativi risarcimenti, nelle piccole imprese (qui il fac-simile). Chiede di eliminare i limiti massimi di risarcimento oggi previsti in caso di licenziamento senza giusta causa nelle piccole imprese. Il referendum propone di lasciare al giudice la possibilità di stabilire liberamente l’ammontare del risarcimento in base alla singola situazione.
Il quesito n. 3 è sulla scheda grigia e riguarda i contratti a termine (qui il fac-simile). Il referendum propone di eliminare la possibilità attualmente prevista per i datori di lavoro di stipulare contratti a termine della durata massima di dodici mesi senza dover indicare una motivazione precisa.
Infine, il quesito n. 4 è sulla scheda rossa e riguarda la responsabilità in caso di incidenti sul lavoro (qui il fac-simile). Attualmente, nei casi di appalto o subappalto, le aziende committenti non sono responsabili per gli infortuni sul lavoro o le malattie professionali che derivano da rischi specifici dell’attività svolta dalle imprese appaltatrici o subappaltatrici. In altre parole, la responsabilità per questi eventi ricade solo sull’impresa che esegue il lavoro, non su quella che lo ha commissionato. Il referendum vuole eliminare questa eccezione. Se vincesse il Sì, anche le aziende committenti potrebbero essere ritenute responsabili per danni legati ai rischi specifici dell’attività appaltata
Le ragioni del Sì e del No
Chi sostiene il Sì ai quattro referendum sul lavoro ritiene che l’attuale quadro normativo favorisca uno squilibrio nei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori, contribuendo a rendere più diffusa la precarietà e più difficile l’accesso a un impiego stabile e sicuro. Secondo i promotori, serve rafforzare le tutele, sia contro i licenziamenti ingiustificati, sia in materia di sicurezza. Abrogare alcune delle regole introdotte negli ultimi anni – in particolare dal Jobs Act – sarebbe, secondo questa visione, un modo per restituire dignità al lavoro, favorire l’innovazione nelle imprese e garantire un maggiore equilibrio contrattuale. L’obiettivo non è solo quello di correggere norme tecniche, ma di invertire una tendenza più ampia che ha reso il lavoro meno protetto, più frammentato e meno centrale nelle politiche pubbliche.
Chi è per il No, invece, ritiene che le norme oggi in vigore abbiano già trovato un punto di equilibrio tra flessibilità e tutele, e che modificarle tramite referendum rischi di produrre effetti controproducenti. Secondo i critici, il ritorno a regole più rigide non aumenterebbe la qualità del lavoro, ma renderebbe più difficile assumere, soprattutto nelle piccole imprese, e aumenterebbe il contenzioso nei tribunali. C’è poi chi sottolinea che la materia del lavoro è complessa e richiede interventi organici, non abrogazioni parziali. In questo senso, si teme che i quesiti referendari non siano lo strumento migliore per affrontare temi così tecnici e delicati, e che un’eventuale vittoria del Sì finirebbe per lasciare irrisolti molti problemi strutturali del mercato del lavoro italiano.
Questo articolo è una sintesi dei due capitoli “I referendum sul Jobs Act” e “Gli altri referendum sul lavoro”, contenuti nella Guida di Pagella Politica ai referendum su cittadinanza e lavoro. Scopri qui come riceverla gratis.
Si dice che l’economia ormai sia diventata più importante della politica: in questa newsletter Massimo Taddei prova a vedere se è vero. Qui un esempio.
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