Il 19 maggio, durante una conferenza stampa, il leader della Lega Matteo Salvini ha definito il referendum sulla cittadinanza «il più pericoloso» tra i cinque in programma l’8 e 9 giugno. Secondo Salvini, questo referendum «estenderebbe» la concessione della cittadinanza «in maniera indiscriminata», nonostante l’Italia sia, a suo dire, «il primo Paese europeo per concessioni di cittadinanze ogni anno». Ma i dati confermano davvero questa affermazione?
Secondo le statistiche più recenti di Eurostat, nel 2023 l’Italia ha concesso la cittadinanza a circa 214 mila stranieri residenti. Non è però il numero più alto in Europa: la Spagna, infatti, ha superato l’Italia, con oltre 240 mila cittadinanze concesse. Nel 2022, invece, l’Italia è stata effettivamente il Paese europeo con più nuove cittadinanze, mentre nel 2021 si è classificata quarta, dietro a Spagna, Francia e Germania.
Nel lungo periodo, l’Italia figura spesso tra i primi posti, ma non è sempre al primo. Come mostra il grafico, tra il 2014 e il 2023 l’Italia è stata «il primo Paese europeo per concessioni di cittadinanze» in cinque anni su dieci, non in «ogni anno», come sostiene Salvini. Guardando ancora più indietro, alla fine degli anni Novanta e nei primi anni Duemila, l’Italia occupava posizioni ancora più basse in classifica.
Secondo le statistiche più recenti di Eurostat, nel 2023 l’Italia ha concesso la cittadinanza a circa 214 mila stranieri residenti. Non è però il numero più alto in Europa: la Spagna, infatti, ha superato l’Italia, con oltre 240 mila cittadinanze concesse. Nel 2022, invece, l’Italia è stata effettivamente il Paese europeo con più nuove cittadinanze, mentre nel 2021 si è classificata quarta, dietro a Spagna, Francia e Germania.
Nel lungo periodo, l’Italia figura spesso tra i primi posti, ma non è sempre al primo. Come mostra il grafico, tra il 2014 e il 2023 l’Italia è stata «il primo Paese europeo per concessioni di cittadinanze» in cinque anni su dieci, non in «ogni anno», come sostiene Salvini. Guardando ancora più indietro, alla fine degli anni Novanta e nei primi anni Duemila, l’Italia occupava posizioni ancora più basse in classifica.