Quando Mattarella difendeva l’astensione ai referendum

Da vicepresidente del Consiglio, disse che «ogni elettore può scegliere cosa fare»: di votare oppure no
Ansa
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Negli ultimi giorni, alcuni promotori dei referendum dell’8 e 9 giugno su cittadinanza e lavoro – tra cui il segretario di Più Europa Riccardo Magi e il sindacato CGIL – hanno letto come un invito alla partecipazione al voto il discorso pronunciato il 25 aprile dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. In quell’occasione, Mattarella ha lanciato un appello a non arrendersi «all’assenteismo dei cittadini dalla cosa pubblica, all’astensionismo degli elettori, a una democrazia a bassa intensità». Secondo Magi e Landini, queste parole andrebbero contrapposte a quelle del presidente del Senato Ignazio La Russa, che ha dichiarato di voler fare «propaganda» a sostegno dell’astensionismo.

Ma davvero Mattarella ha voluto prendere posizione sui referendum? In realtà, il suo discorso non faceva riferimento esplicito al voto di giugno. E da quando è stato eletto presidente della Repubblica, Mattarella non ha mai fatto appelli espliciti per alcun referendum. 

Per capire meglio la sua posizione, può essere utile guardare al passato. Prima di diventare capo dello Stato, Mattarella ha difeso più volte la legittimità per gli elettori di scegliere di non votare ai referendum abrogativi. 

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Il precedente del 1999

Il 18 aprile 1999 si tenne in Italia un referendum abrogativo che voleva modificare la legge elettorale in vigore all’epoca, nota come “legge Mattarella” o Mattarellum. Approvata nel 1993, prendeva il nome del suo relatore, Sergio Mattarella, che nel 1999 ricopriva l’incarico di vicepresidente del Consiglio nel governo di centrosinistra guidato da Massimo D’Alema. 

Il Mattarellum prevedeva che il 75 per cento dei seggi alla Camera dei deputati fosse assegnato con un sistema maggioritario, tramite collegi uninominali (dove veniva eletto il candidato con più voti). Il restante 25 per cento era invece attribuito con un sistema proporzionale, in base alla percentuale di voti ottenuta dalle liste di partito.

Il referendum proponeva di abrogare questa quota proporzionale, introducendo un sistema interamente maggioritario. In pratica, l’obiettivo era assegnare tutti i seggi ai candidati che avessero ottenuto più voti nei rispettivi collegi uninominali.

Il Partito Popolare Italiano (PPI), di cui Mattarella faceva parte, si schierò contro il referendum, invitando agli elettori di astenersi o di votare No. Questa posizione è simile a quella espressa oggi dai partiti che sostengono il governo Meloni rispetto ai referendum su cittadinanza e lavoro.
Lo stesso Mattarella criticò il quesito referendario e i suoi effetti. «Noi siamo favorevoli ad accentuare il maggioritario e il bipolarismo. Ma questo referendum distrugge il maggioritario e il bipolarismo», commentò su La Stampa a gennaio 1999, pochi giorni dopo aver detto al manifesto che il governo era «tranquillo ma non impassibile né inerte» sul tema. 

Secondo l’allora vicepresidente del Consiglio, eventuali modifiche alla legge elettorale avrebbero dovuto essere discusse e approvate in Parlamento, non affidate a una consultazione referendaria. «Il referendum è previsto dal nostro ordinamento, quindi va rispettato», disse Mattarella a febbraio 1999. «Tuttavia, anch’io credo che se si può evitare, nel senso che se si ottengono in Parlamento gli stessi obiettivi che la consultazione popolare si prefigge, è meglio».

Le parole di Mattarella

All’epoca, Mattarella considerava pienamente legittimo che un elettore contrario al referendum potesse scegliere di non votare invece che votare No. «Ogni elettore può scegliere cosa fare: può scegliere di votare, di non votare, di votare Sì e di votare No. È una scelta di ciascuno, una scelta nella quale il governo non può intervenire», dichiarò Mattarella.
Le parole di Mattarella sul referendum abrogativo del 1999 – Fonte: Archivio L’Unità, 12 aprile 1999
Le parole di Mattarella sul referendum abrogativo del 1999 – Fonte: Archivio L’Unità, 12 aprile 1999
Al referendum del 18 aprile 1999 parteciparono circa 24,5 milioni di elettori, il 91,5 per cento dei quali votò Sì. Ma l’affluenza si fermò al 49,6 per cento, poche migliaia di voti sotto il quorum: i risultati del referendum abrogativo non furono considerati validi.
L’apertura de La Stampa del 19 aprile 1999 - Fonte: Archivio storico La Stampa
L’apertura de La Stampa del 19 aprile 1999 - Fonte: Archivio storico La Stampa
Un anno dopo, a maggio 2000, si tennero altri sette referendum, tra cui uno che proponeva di nuovo di eliminare la quota proporzionale dalla legge elettorale alla Camera. Anche in quel caso, però, non fu raggiunto il quorum: votò poco più del 32 per cento degli aventi diritto di voto. 

Nonostante i tentativi di modifica, il Mattarellum rimase in vigore fino al 2005, quando fu sostituito dalla “legge Calderoli” – dal nome del suo relatore, il senatore della Lega e attuale ministro Roberto Calderoli – o Porcellum, così ribattezzata dopo che lo stesso Calderoli la definì «una porcata».
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