No, la Lega non è sempre stata a favore del terzo mandato

In passato Salvini ha sostenuto pubblicamente il limite dei due mandati per gli eletti, inclusi quelli in regione
ANSA
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L’11 giugno, in un’intervista con il Corriere della Sera, il leader della Lega Matteo Salvini ha ribadito che è volontà del suo partito eliminare il divieto di un terzo mandato consecutivo per i presidenti di regione. Negli scorsi mesi, in Parlamento la Lega ha provato più volte a eliminare il vincolo, senza però l’appoggio dei suoi alleati di governo. Negli ultimi giorni, Fratelli d’Italia ha aperto a questa possibilità, mentre Forza Italia si dice ancora contraria. 

A sostegno della sua posizione, Salvini ha detto: «Noi da sempre riteniamo che debbano essere i cittadini a scegliere». In realtà la Lega non è sempre stata contraria al limite dei mandati per i rappresentanti eletti, in particolare tra le sue fila.

Quando c’era la Lega Nord

Il divieto di ricoprire tre mandati consecutivi come presidenti di regione è stato imposto con una legge approvata dal Parlamento nel 2004, durante il secondo governo di Silvio Berlusconi, sostenuto all’epoca anche dalla Lega Nord di Umberto Bossi (il partito che nel 2017 ha cambiato nome in Lega). Quella legge attuava quanto previsto dall’articolo 122 della Costituzione – entrato in vigore nel 2001 dopo una riforma costituzionale – in base al quale spetta alle singole regioni, tramite una propria legge, disciplinare il sistema elettorale, i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente della Giunta regionale, dei suoi membri e dei consiglieri regionali.

Il disegno di legge presentato in Senato a gennaio 2003 dal governo Berlusconi, di cui Bossi era ministro per le Riforme istituzionali, proponeva di lasciare alle regioni il potere di inserire nelle loro leggi elettorali un’«eventuale differenziazione della disciplina dell’ineleggibilità nei confronti del presidente della giunta regionale», cioè dei presidenti di regione. Ma durante l’esame alla Camera, dopo un lungo dibattito, fu approvato in aula a larga maggioranza un emendamento che introduceva il limite dei due mandati [1]. Né il resoconto stenografico della seduta né le ricostruzioni giornalistiche dell’epoca segnalano l’opposizione della Lega Nord, che ricordiamo faceva parte della maggioranza (Immagine 1).
Immagine 1. Articolo della Stampa sull’emendamento approvato il 7 ottobre 2003 alla Camera
Immagine 1. Articolo della Stampa sull’emendamento approvato il 7 ottobre 2003 alla Camera

Che cosa diceva Salvini

Salvini è diventato segretario della Lega Nord dal 2013 e negli anni subito successivi non ha chiesto l’eliminazione del vincolo dei due mandati, anzi.

Per esempio, a settembre 2016, durante l’annuale raduno della Lega Nord a Pontida, in provincia di Bergamo, il leader della Lega aveva difeso la necessità di limitare a due mandati tutti gli incarichi politici degli esponenti del suo partito. «Dobbiamo tutti noi essere consapevoli che siamo al servizio del movimento, non in eterno. Ho sentito ieri che i “Giovani Padani” hanno approvato una mozione che chiedeva di portare al congresso perché ci sia un limite, come c’è per i sindaci, per ogni carica elettiva di due mandati anche dentro alla Lega», aveva dichiarato Salvini dal palco di Pontida, nel suo discorso finale della manifestazione. «Secondo me sarà cosa buona e giusta, perché dopo dieci anni penso che si possa lasciare spazio a qualcun altro che potrà prendere il nostro posto a Bruxelles, a Roma o in regione, come fanno i sindaci».
Il leader della Lega aveva motivato così la sua proposta: «Altrimenti magari qualcuno corre il rischio di dedicare la sua attività politica, più che a combattere gli avversari da fuori, a tener fuori dalla porta della sezione eventuali competitori di dentro, che poi possono andare a fare il sindaco, l’assessore o il consigliere comunale». 

La stessa linea era stata ribadita da Salvini a maggio 2017, dicendo che «mettere il limite al numero dei mandati» era «fondamentale» per avere un «ricambio ed energie nuove». All’epoca, Salvini era parlamentare europeo e aveva confermato che, in coerenza con la propria posizione, la volontà di imporre un limite dei mandati agli eletti della Lega valeva anche per lui, che però era al terzo mandato al Parlamento europeo. 

In generale, Salvini non è stato molto di parola, almeno stando alle parole pronunciate anni fa. Attualmente, oltre che ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, è senatore: lo è stato anche nella precedente legislatura, mentre in altre due legislature è stato deputato. Dunque, Salvini ha già ricoperto quattro mandati da parlamentare, sebbene non pieni.

In più, dopo essere stato eletto segretario della Lega nel 2013, è stato riconfermato nel 2017 e nel 2025: il suo mandato scadrà nel 2029. Se lo ricoprirà fino alla fine, vorrà dire che avrà guidato il partito per 16 anni.

Con il tempo – e con il suo comportamento – il leader della Lega ha dimostrato di aver cambiato idea sulla necessità di “ricambiare” i vertici del partito e delle istituzioni politiche. Per esempio, l’anno scorso Salvini ha ribadito in varie interviste che «in democrazia scelgono i cittadini», e che se vogliono possono rieleggere senza limiti di mandato un sindaco o un presidente di regione che ritengono capace.

Le divisioni nel governo

Da tempo il dibattito sul terzo mandato divide i partiti che sostengono il governo Meloni. A maggio lo stesso governo ha impugnato la legge approvata il mese precedente dal Consiglio provinciale della Provincia autonoma di Trento, che di fatto consente all’attuale presidente Maurizio Fugatti (Lega) di candidarsi per un terzo mandato consecutivo. “Impugnare” significa che il governo Meloni ha scelto di contestare la legge davanti alla Corte Costituzionale, che dovrà stabilire se viola le leggi nazionali o la Costituzione. Il governo aveva già fatto la stessa cosa con la legge elettorale regionale voluta dal presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca (Partito Democratico), per ricandidarsi per un terzo mandato. La legge è stata bocciata dalla Corte Costituzionale. 

Nel 2024 la Lega ha presentato alcuni emendamenti per abolire il limite e permettere così la ricandidatura di due presidenti, esponenti di primo piano del partito: Luca Zaia in Veneto e Massimiliano Fedriga in Friuli-Venezia Giulia. Come già accaduto in passato, per il momento la proposta non ha trovato il sostegno di Fratelli d’Italia. Secondo alcuni osservatori, il partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, forte della crescita nei consensi e del sorpasso sulla Lega, punta infatti a proporre propri candidati nelle regioni del Nord o comunque a sostituire Zaia e Fedriga.
Il 5 giugno il responsabile dell’organizzazione di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli ha aperto alla possibilità di discutere sul terzo mandato. «Abbiamo ribadito che non c’è una preclusione ideologica ad affrontare il tema del terzo mandato se viene posto dalle regioni», ha detto Donzelli. «Noi abbiamo detto che è sbagliato che ciascuna regione scelga il numero dei mandati, deve esserci una riflessione nazionale. È un tema che deve essere affrontato come equilibrio tra poteri».

Per ora, Forza Italia non è d’accordo a introdurre modifiche. Il 10 giugno, in un’intervista con affaritaliani.it, il deputato Raffaele Nevi – portavoce nazionale di Forza Italia – ha dichiarato: «La nostra linea rimane la stessa e non cambia, non siamo favorevoli al terzo mandato. La nostra posizione affonda le sue radici nella nostra storia e in quella della Seconda Repubblica. La legge sui sindaci che prevede massimo due mandati nei comuni grandi ha funzionato garantendo ricambio e alternanza, due caratteristiche fondamentali per garantire qualità nella pubblica amministrazione».

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[1] L’emendamento è il n. 2.5.
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