Dal 1° gennaio 2020, per effetto della cosiddetta “riforma Bonafede” varata dal precedente governo Lega-M5s (legge n. 3 del 2019, art. 1 co.1 lett. e), in Italia è cambiato il regime della prescrizione penale.
Questa novità ha creato forti contrasti all’interno della maggioranza Pd-M5s-LeU-Italia Viva. In particolare il partito guidato dall’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi ha più volte mostrato una linea contraria a quella del governo, che il 13 febbraio 2020 ha approvato, durante un Consiglio dei ministri, un disegno di legge per apporre delle modifiche alla cosiddetta “legge Bonafede” sulla prescrizione.
Vediamo brevemente qual è l’oggetto del contendere dentro al governo, per poi analizzare il dibattito in corso con sei fact-checking pubblicati nelle ultime settimane.
Di che cosa stiamo parlando, in breve
La novità più rilevante introdotta dalla “legge Bonafede” sulla prescrizione è che lo scorrere di questo istituto, che è una causa di estinzione del reato, dal 1° gennaio 2020 è sospeso dopo la sentenza di primo grado. Quindi se finora la prescrizione poteva sempre sopraggiungere, e vanificare il processo – anche durante il giudizio di Appello o in Cassazione – da inizio anno le cose non stanno più così.
Per completezza facciamo comunque notare che non tutti i reati si prescrivono: quelli più gravi, in particolare se puniti con l’ergastolo, non si prescrivono mai. Questo aspetto non è interessato dalla riforma.
Il disegno di legge approvato dal governo il 13 febbraio propone una sorta di mediazione tra le istanze del Movimento 5 stelle e quelle degli altri membri della maggioranza.
«In materia di prescrizione – si legge in un comunicato stampa del governo – si modifica il Codice penale in modo da prevedere che il corso della prescrizione rimanga sospeso dalla pronunzia della sentenza di condanna di primo grado fino alla data di esecutività della sentenza». Dunque le sentenze di assoluzione in primo grado non portano a una sospensione della prescrizione. Ma non solo.
Si prevede anche, si legge sempre nel comunicato stampa, «che la prescrizione riprenda il suo corso e i periodi di sospensione siano computati, quando la sentenza di appello proscioglie l’imputato». Quindi se l’imputato condannato in primo grado viene assolto in secondo, la prescrizione riprende a scorrere nell’eventuale giudizio di Cassazione, e viene anche conteggiato retroattivamente il tempo in cui è stata sospesa dopo il primo grado.
Questa soluzione non sembra accontentare Italia Viva – i cui ministri non hanno partecipato al Cdm del 13 febbraio – che ha più volte prospettato la possibilità di fare nascere una crisi di governo sul tema.
Una minoranza di processi coinvolti
Il mondo dell’avvocatura, le opposizioni e anche alcuni settori della maggioranza, come abbiamo visto, hanno avuto nelle ultime settimane parole molto dure per questa riforma della prescrizione. Come abbiamo segnalato in una nostra analisi dedicata specificamente a questo aspetto, il suo impatto è però numericamente molto limitato.
Nel 2017 (dati più aggiornati disponibili) sono stati definiti circa un milione di processi. La prescrizione ha portato alla definizione di meno del 13 per cento del totale: ma soprattutto la prescrizione che verrebbe interessata dalla riforma – quindi quella successiva alla conclusione del primo grado di giudizio – ne ha interessati circa il 3 per cento.
Dunque la tanto contestata riforma della prescrizione, una volta a regime, dovrebbe interessare circa un quarto delle prescrizioni e soprattutto appena il 3 per cento del totale dei processi che vengono conclusi ogni anno in Italia.
Una non-anomalia
La riforma della prescrizione avrebbe l’effetto di allineare l’Italia ai principali Paesi europei che hanno un sistema di civil law, cioè il sistema di codici e leggi tipico dell’Europa continentale (contrapposto al sistema di common law che vige nel Regno Unito e negli Usa, dove hanno un valore fondamentale i precedenti giuridici).
Come abbiamo infatti segnalato in una nostra analisi dedicata al confronto internazionale, il precedente regime italiano della prescrizione, in vigore fino al 1° gennaio scorso, rappresentava un’anomalia nel panorama europeo.
In Francia, in Germania e in Spagna, la regola è che la prescrizione si interrompa o dopo la sentenza di primo grado o al compimento di determinati atti processuali. Quindi, in concreto, se il processo va avanti – anche lentamente – è materialmente impossibile che sopraggiunga la prescrizione.
Nello specifico, il Paese a cui ci siamo allineati di più è la Germania, come abbiamo spiegato in un approfondimento dello scorso 20 gennaio.
Le sue origini
Ma di chi è la colpa se in Italia la situazione, per quanto riguarda la prescrizione, è stata finora un’anomalia nel panorama europeo?
Secondo un’opinione comune, la colpa è dei partiti che hanno governato in Italia negli ultimi venti anni. La suggestione sarebbe insomma che la colpa è di Berlusconi, che si sarebbe difeso dai processi approfittando del suo ruolo in politica, e del centrosinistra che non avrebbe fatto nulla per impedirglielo.
Come abbiamo verificato nel 2017 a proposito di un’affermazione di Di Battista, questa lettura è però in larga parte scorretta. In primo luogo il regime “anomalo” della prescrizione italiana risale ai tempi del fascismo, e dunque è inesatto attribuire particolari responsabilità alla Seconda Repubblica (anche se è vero che i governi Berlusconi abbiano facilitato ulteriormente le prescrizioni). In secondo luogo negli ultimi anni, in particolare quando è stato al governo il centrosinistra, il regime della prescrizione è stato modificato in senso restrittivo, rendendo più difficile l’estinzione del processo a causa sua.
I fatti alla base delle preoccupazioni
Al di là della polemica politica, c’è almeno un dato incontestabile che viene spesso citato da chi si oppone alla riforma della prescrizione che sarà in vigore dal primo gennaio 2020: l’eccessiva durata dei processi in Italia.
In un Paese in cui già i processi durano molto più del dovuto – l’Italia è stata spesso condannata per questo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – indebolire un meccanismo come la prescrizione, che ha l’effetto di ridurre la mole dei processi e di fissare un termine massimo invalicabile a tutela degli indagati, secondo i critici è sbagliato. Si rischierebbe infatti di lasciare “in ostaggio” della giustizia le persone per un tempo indeterminato.
In una nostra analisi dell’agosto 2019, abbiamo verificato che – in base a dati del 2016 – il nostro Paese è tra i peggiori nell’Unione europea per la durata dei processi penali (che sono comunque quelli con le prestazioni migliori, nel confronto internazionale, rispetto ai procedimenti civili e amministrativi).
Il primo grado dura più in Italia che in qualsiasi altro Paese dell’Unione europea, tranne che a Cipro. Il secondo grado di nuovo vede l’Italia superata, quanto a lunghezza del processo, solamente da Malta (che oltretutto ha solo due gradi di giudizio). Il terzo grado, infine, vede l’Italia terzultima, davanti a Cipro e Irlanda.
Indagati e innocenti
Il 5 gennaio 2020, l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia ha detto che in Italia «il 75 per cento degli indagati risulta innocente». Abbiamo verificato e il dato è corretto.
Secondo una stima del 2017, sommando i circa 100 mila condannati per sola contravvenzione e i 208 mila condannati per almeno un delitto, si ottengono oltre 308 mila condannati a fronte di circa un milione e 150 mila condannati.
Gli innocenti risultano così essere tre su quattro tra gli indagati.
Innocenti e carcere
Il 23 gennaio 2020, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, ospite a Otto e mezzo, ha difeso la sua riforma, dicendo tra le altre cose che «gli innocenti non finiscono in carcere».
Le cose però non stanno così: ogni anno, per come funziona il sistema giudiziario italiano, diverse persone possono essere incarcerate come misura cautelare, per poi risultare essere non colpevoli al termine del processo. In questo caso si parla di “ingiusta detenzione” e a chi l’ha subita lo Stato deve un risarcimento.
Nel 2018 oltre 1.300 casi di “custodia cautelare” (una percentuale molto bassa sul totale) hanno coinvolto persone rivelatesi essere poi innocenti.
Dal 1992 al 30 settembre 2018 si stima poi che le ingiuste detenzioni abbiano riguardato almeno 27.200 persone, più di mille all’anno.
Dal 1991 al 30 settembre 2018, infine, 144 persone sono state riconosciute innocenti dopo un processo di revisione (vittime quindi di un “errore giudiziario”).
Renzi ha cambiato idea sulla prescrizione?
Infine, nelle ultime settimane il Movimento 5 stelle ha accusato più volte Renzi di aver cambiato idea sulla prescrizione.
Secondo il M5s, nel 2014 l’ex presidente del Consiglio – oggi contrario alla riforma Bonafede sul blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio – era a favore di una modifica della prescrizione.
A sostegno di questa tesi, il Movimento ha pubblicato un video con due spezzoni di discorsi di Renzi, uno risalente al 20 novembre 2014, e l’altro al 2 febbraio 2020. È vero che nel 2014 l’allora governo Renzi, con ministro della Giustizia Andrea Orlando, aveva proposto una riforma della giustizia che prevedeva una sospensione della prescrizione per un determinato periodo di tempo, cosa poi accaduta con l’approvazione della riforma nel 2017, ma da questo non se ne evince che Renzi fosse a favore di una norma simile a quella difesa dal M5s.
Alcuni esponenti del Pd (di cui Renzi era segretario all’epoca) proposero emendamenti per fermare la prescrizione dopo il primo grado di giudizio – in linea con quanto fatto anni dopo dal governo Lega-M5s – ma alla fine prevalse un’altra proposta: quella di sospendere il corso della prescrizione «per un tempo non superiore a un anno e sei mesi» dopo il termine per il deposito della motivazione sia della sentenza di condanna in primo grado sia di quella di secondo grado.
In conclusione
La riforma della prescrizione che è entrata in vigore il 1° gennaio 2020, che determina la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, interesserà una esigua minoranza dei processi che si concludono ogni anno in Italia: secondo le nostre stime, circa il 3 per cento del totale.
Inoltre avrà l’effetto di sanare l’anomalia del sistema italiano in vigore prima della riforma: tutti gli altri principali Paesi europei (in particolare la Germania) hanno un regime della prescrizione più simile a quello creato dalla riforma che a quello precedente.
Questa anomalia, come abbiamo visto, non è tanto figlia degli anni di Berlusconi al governo quanto del fascismo, quando fu varato l’impianto della prescrizione poi arrivato – con diverse modifiche, ma non sostanziali – fino alla fine del 2019.
È però vero che, a differenza degli altri Paesi europei citati in precedenza, l’Italia abbia un grave problema di eccessiva durata dei processi.
È poi vero che circa il 75 per cento degli indagati risulti essere innocente mentre non è vero che gli innocenti non finiscano in carcere: i dati sugli errori giudiziari e sulle ingiuste detenzioni dicono il contrario.
Infine, non è vero, come lascia intendere il M5s, che Renzi ha cambiato idea sulla prescrizione: nel 2014 aveva espresso la volontà di «cambiare le regole del gioco sulla prescrizione», cosa poi avvenuta nel 2017 con la “riforma Orlando” (ministro del governo Renzi), che però ha introdotto una modifica alla prescrizione meno radicale di quella poi approvata dal governo Lega-M5s ed entrata in vigore il 1° gennaio 2020.
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