Il governo non ha ancora mantenuto l’impegno di ridurre le commissioni sul Pos

Entro marzo un tavolo tecnico avrebbe dovuto trovare un accordo con le banche e i circuiti di pagamento, ma tre mesi dopo la scadenza l’intesa non è ancora stata raggiunta
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
Aggiornamento 28 giugno, ore 17 – Abbiamo aggiunto nell’articolo quanto comunicatoci dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, secondo cui «è in corso di definizione una soluzione che permetterà di ridurre i costi delle transazioni elettroniche di pagamento fino a 30 euro».

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Lo scorso autunno, durante l’esame della legge di Bilancio per il 2023, il governo Meloni aveva proposto di introdurre una soglia di 60 euro sotto la quale i commercianti potevano rifiutare di accettare i pagamenti elettronici senza rischiare di essere sanzionati. Dopo le critiche della Commissione europea il governo aveva ritirato la proposta, lasciando in vigore l’obbligo di accettare i pagamenti elettronici per tutti gli importi. In cambio aveva però promesso di individuare in breve tempo una soluzione alternativa per ridurre le commissioni. Soluzione che non è ancora stata trovata, nonostante siano già passati sei mesi.

Il tavolo tecnico in legge di Bilancio

L’articolo 1, comma 386, della legge di Bilancio per il 2023 ha stabilito che entro l’inizio di marzo di quest’anno il Ministero dell’Economia e delle Finanze doveva istituire un «tavolo permanente» per trovare soluzioni per «mitigare l’incidenza dei costi delle transazioni elettroniche di valore fino a 30 euro» a carico dei commercianti e dei lavoratori autonomi con ricavi non superiori a 400 mila euro. Ricordiamo che per l’utilizzo del Pos (un acronimo dall’inglese point of sale, “punto di vendita”), i commercianti sono tenuti a pagare spese fisiche, legate per esempio all’acquisto del dispositivo e alla sua installazione, e le commissioni, che in genere consistono in una percentuale sulla transazione.

In base al comma 387, se il tavolo tecnico non avesse trovato entro la fine di marzo 2023 «un livello dei costi equo e trasparente», le banche e i gestori dei circuiti di pagamento avrebbero dovuto versare un «contributo straordinario» pari al 50 per cento degli utili fatti proprio con le commissioni sulle transazioni inferiori ai 30 euro. I soldi ricavati da questa sorta di tassa avrebbero dovuto finanziare un fondo destinato a misure per «contenere l’incidenza dei costi» a carico dei commercianti, sempre con ricavi non superiori ai 400 mila euro, nelle transazioni di importo inferiore ai 30 euro. Detta in parole semplici: con la legge di Bilancio per il 2023, il governo aveva dato tre mesi di tempo agli addetti ai lavori per trovare un accordo per contenere i costi delle commissioni, pena il pagamento di un contributo straordinario.

A sei mesi dall’approvazione della legge di Bilancio, il piano proposto dal governo Meloni non ha ancora funzionato. Il tavolo tecnico è stato istituito il 3 marzo presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e tra i suoi membri ci sono rappresentanti della Banca d’Italia, dell’Agenzia delle Entrate, dell’Associazione bancaria italiana, dell’Associazione italiana prestatori servizi di pagamento, di Confcommercio, di Confesercenti, di Confartigianato, del Ministero delle Imprese e del Made in Italy e dell’Agenzia per l’Italia Digitale. 

«Negli scorsi mesi il tavolo tecnico si è riunito varie volte e, per quanto ci riguarda, un’intesa di massima è stata raggiunta, ma non è ancora stata sottoscritta da tutti i membri che hanno partecipato al confronto: siamo in una situazione di stand-by», ha spiegato a Pagella Politica Mauro Bussoni, segretario generale di Confesercenti. «L’obiettivo è azzerare le commissioni entro una certa soglia, con una riduzione dei costi fino ai 30 euro. L’accordo dovrebbe avere una durata tra i 9 e i 12 mesi, con un monitoraggio dei risultati raggiunti. Auspichiamo che il tavolo istituito dal governo raggiunga un accordo al più presto». Alcune settimane fa, il 7 giugno, il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli ha detto nella relazione all’assemblea generale: «C’è il tema della moneta elettronica. Siamo da sempre a favore! Ma bisogna abbassare i costi del Pos! Una maggiore trasparenza delle commissioni sarebbe utile».

«Il lavoro del tavolo Pos si avvia alla conclusione in un clima di fattiva collaborazione tra le associazioni e i soggetti interessati in quanto è in corso di definizione una soluzione che permetterà di ridurre i costi delle transazioni elettroniche di pagamento fino a 30 euro», ha comunicato a Pagella Politica l’ufficio stampa del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

A fine marzo Il Sole 24 Ore ha spiegato che «non esistono sistemi automatici per individuare i soggetti presso i quali sono passate le transazioni sotto i 30 euro e quante ne sono state fatte». E che quindi il contributo straordinario non è potuto scattare in automatico: «Va messo in piedi un meccanismo di monitoraggio, probabilmente basato sul contributo volontario degli operatori, che forniscono al ministero o a un soggetto preposto questo tipo di dati», ha sottolineato il quotidiano.

Un percorso accidentato

L’introduzione dell’obbligo di accettare i pagamenti elettronici ha una lunga storia e ha riguardato otto governi, se si conta anche quello di Giorgia Meloni. Il primo tentativo per rendere obbligatoria l’accettazione dei pagamenti elettronici è stato fatto nel 2012 dal governo Monti, ma nel 2014 il governo Letta ha stabilito che l’obbligo valesse solo per le transazioni sopra i 30 euro. L’obbligo entrò effettivamente in vigore il 30 giugno 2014, ma non si trattava di un vero e proprio obbligo, quanto piuttosto di un onere, perché non era prevista alcuna sanzione. Nel 2016 il governo Renzi ridusse la soglia dei pagamenti a 5 euro e stabilì che l’obbligo sarebbe potuto venir meno in caso di «oggettiva impossibilità tecnica». I decreti ministeriali per definire nei dettagli quando sussisteva questa «oggettiva impossibilità tecnica» non furono però approvati. Il governo Gentiloni provò poi a introdurre sanzioni per chi non accettava pagamenti elettronici, ma la norma fu bocciata dal Consiglio di Stato, secondo cui la sanzione era legittima, ma poteva essere imposta solo tramite una vera e propria legge e non con un decreto ministeriale. Il secondo governo Conte aveva discusso la possibilità di stabilire definitivamente l’obbligo, che è stato poi introdotto dal governo Draghi.
Lo scorso dicembre abbiamo spiegato in un approfondimento che l’Italia era l’unico grande Paese dell’Unione europea a obbligare i commercianti ad accettare i pagamenti elettronici. In Francia e Germania i commercianti possono rifiutare le carte, mentre in Spagna l’obbligo vale sopra i 30 euro.

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