Il governo non ha risolto niente sul voto dei fuorisede

Secondo il ministro Piantedosi la sperimentazione alle europee ha dato scarsi risultati e ora milioni di elettori rischiano di non poter votare ai prossimi referendum
ANSA/FABIO FRUSTACI
ANSA/FABIO FRUSTACI
«Un dato non soddisfacente». Così, durante un question time alla Camera del 12 febbraio, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha definito i risultati del voto degli studenti fuorisede in occasione delle scorse elezioni europee, aggiungendo che non c’è «al momento copertura legislativa per applicare un sistema di voto per gli elettori domiciliati fuori dalla propria residenza». Insomma, sulla questione del diritto di voto dei cittadini fuorisede siamo a punto e capo.

Il sistema elettorale italiano prevede che ogni cittadino sia iscritto alle liste elettorali del comune in cui è residente e solo per le elezioni politiche è previsto il voto per corrispondenza degli italiani all’estero. I cittadini che invece vivono in Italia, e che per vari motivi sono domiciliati in un comune diverso da quello di residenza (i “fuorisede” appunto), sono esclusi dal voto per corrispondenza. Per votare, questi elettori devono per forza tornare a casa oppure spostare la propria residenza nel luogo di domicilio. Secondo i dati più aggiornati, si tratta di circa 4,9 milioni di elettori, tra lavoratori e studenti.

Dopo anni di tentativi andati a vuoto, a marzo 2024 il governo Meloni aveva introdotto un sistema sperimentale per garantire il diritto di voto dei soli studenti fuorisede, e non dei lavoratori, in occasione delle elezioni europee tenutesi poi l’8 e il 9 giugno. Questo sistema era stato introdotto con la conversione in legge del decreto “Elezioni”. Gli studenti interessati a sfruttare questa nuova modalità di voto hanno avuto tempo fino al 5 maggio 2024 per inviare una richiesta al proprio comune di residenza e chiedere di poter votare in un’altra città. Entro il 4 giugno, il Ministero dell’Interno ha poi inviato loro un’attestazione di ammissione al voto con l’indicazione del numero e dell’indirizzo della sezione dove votare. All’epoca, il sistema sperimentale di voto dei fuorisede era stato accolto dalla maggioranza di centrodestra come un grande successo del governo Meloni. 

Durante il question time alla Camera, il deputato di Più Europa Riccardo Magi e la deputata di Azione Valentina Grippo hanno chiesto a Piantedosi se il governo avesse intenzione di replicare un sistema simile per i cinque referendum a cui saranno chiamati a votare gli italiani in una data tra il 15 aprile e il 15 giugno di quest’anno. A questa domanda, Piantedosi ha risposto che il sistema adottato per le europee non ha dato buoni risultati, aggiungendo che il governo non ha per ora iniziative per garantire il voto dei fuorisede ai referendum.

Scarsa partecipazione

Il ministro dell’Interno ha quindi citato i dati diffusi dal suo stesso ministero sul voto degli studenti fuorisede alle europee.

Secondo questi numeri, gli studenti fuorisede che a giugno dello scorso anno hanno fatto richiesta e ottenuto il permesso per votare senza dover rientrare nel proprio comune di residenza sono stati circa 24 mila, pari a solo al 4 per cento dei circa 591 mila studenti fuorisede presenti in Italia. Alle europee, poi, ha effettivamente votato l’80,8 per cento di chi ha potuto beneficiare di questo permesso elettorale, ossia oltre 19 mila studenti fuorisede. Come abbiamo spiegato in passato, la lista più votata dagli studenti fuorisede alle europee era stata quella di Alleanza Verdi-Sinistra, con il 40,4 per cento, seguita dalla lista del Partito Democratico (25,5 per cento) e da quella di Azione (10,2 per cento). Seguono poi il Movimento 5 Stelle (7,8 per cento), la lista “Stati Uniti d’Europa” (7,6 per cento), Fratelli d’Italia (3,4 per cento), Forza Italia (2,3 per cento) e Pace Terra Dignità (1,7 per cento). Con 93 voti, la Lega si è fermata allo 0,5 per cento. 

Al di là delle preferenze di voto, gli studenti fuorisede che hanno fatto richiesta di votare sono stati effettivamente molto pochi.

Il ruolo del sistema di voto

È difficile, se non impossibile, capire come mai così pochi fuorisede abbiano chiesto di votare alle elezioni europee attraverso il sistema sperimentale introdotto dal governo.

Un indizio potrebbe però arrivare dallo stesso metodo di voto. Alle europee, infatti, non tutti gli studenti fuorisede potevano votare nel comune in cui vivono per motivi di studio. Il decreto “Elezioni” aveva stabilito due modalità di voto per gli studenti fuorisede: tra questi, hanno potuto votare nel comune dove vivono per motivi di studio solo quelli il cui comune appartiene alla stessa circoscrizione elettorale del comune di residenza; al contrario, se il comune era fuori dalla circoscrizione di residenza, gli studenti dovevano per forza spostarsi a votare nel capoluogo di regione del comune dove vivono temporaneamente. Le circoscrizioni sono le porzioni di territorio, che di solito comprendono più regioni, in cui è suddivisa l’Italia in occasione delle elezioni politiche. 

In pratica, alle europee uno studente residente a Bressanone, in Trentino Alto-Adige, che abita a Bologna per frequentare l’università, ha potuto votare a Bologna perché il Trentino Alto-Adige e l’Emilia-Romagna si trovano nella stessa circoscrizione elettorale, quella dell’Italia Nord-Est. Al contrario, una persona residente a Palermo che abita per motivi di studio a Pavia, non ha potuto votare a Pavia alle elezioni europee, ma a Milano, capoluogo regionale della Lombardia. Palermo e Pavia sono infatti in due circoscrizioni diverse, rispettivamente in quella Nord-Ovest e in quella Insulare. Secondo le nostre verifiche, solo 2.568 studenti fuorisede sui circa 24 mila che avevano fatto richiesta hanno avuto la certezza di votare nel comune in cui vivono effettivamente. Gli altri, circa il 90 per cento, hanno dovuto spostarsi a votare nel capoluogo di regione, se già non ci vivono per studiare.

Dunque, se avessero voluto votare, diversi studenti fuorisede avrebbero dovuto comunque spostarsi in un altro comune rispetto a quello in cui vivono. Non è escluso che questo possa essere stato un fattore che ha disincentivato la partecipazione.

La proposta ferma al Senato

In ogni caso, nel question time Piantedosi ha aggiunto che l’unica strada percorribile al momento per garantire il diritto di voto dei fuorisede è quella parlamentare. 

Il ministro dell’Interno ha fatto riferimento alla proposta di legge approvata dalla Camera il 4 luglio 2023 e ora all’esame del Senato. Anche in questo caso, però, Piantedosi non l’ha detta tutta. Il testo in questione era nato da cinque proposte di legge dei partiti all’opposizione: una a firma dei deputati Magi e Benedetto Della Vedova (Più Europa), una di Grippo (Azione), una della deputata Marianna Madia (Partito democratico), una della deputata Luana Zanella (Alleanza Verdi-Sinistra) e una di Emma Pavanelli (Movimento 5 stelle). Durante l’esame alla Camera, però, la maggioranza di centrodestra ha di fatto riscritto quel testo, trasformandolo con un emendamento in un proposta di legge delega al governo. Con questa sorta di “escamotage”, la maggioranza ha smontato la proposta di legge originaria dando sostanzialmente al governo il compito di regolare il voto per i fuorisede. Come abbiamo spiegato in passato, non è stata la prima volta che il centrodestra ha utilizzato questo metodo per fermare le proposte delle opposizioni. Una strategia simile era stata usata per bloccare la proposta di legge delle opposizioni per introdurre in Italia il salario minimo orario.
Il nuovo testo sui fuorisede, quello contenuto nella proposta di delega, è composto da un solo articolo e affida al governo due compiti: regolare l’esercizio del diritto di voto degli elettori fuorisede in un comune diverso da quello di residenza; e ridefinire le tariffe agevolate per i trasporti in favore degli elettori che si recano a votare nel comune di residenza. Il problema però è che la proposta di legge delega dovrà essere approvata da entrambi i rami del Parlamento nello stesso testo. E successivamente il governo avrà un anno e mezzo di tempo per approvare i decreti legislativi necessari per attuare le misure. In pratica, non è detto che il governo farà in tempo ad approvare i decreti legislativi prima dei referendum che si terranno in primavera. Tanto più se si considera che l’esame della proposta di legge delega è fermo in Commissione Affari costituzionali al Senato da ormai un anno, ossia dal 20 febbraio 2024. 

Ricapitolando: sul problema dei fuorisede il governo non ha risolto nulla. Il sistema sperimentato alle elezioni europee si è dimostrato poco soddisfacente, ma per ammissione dello stesso ministro dell’Interno Piantedosi non ci sono per ora altre iniziative sul tema, se non la proposta di legge bloccata da oltre un anno al Senato.

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