Cancellare migliaia di decreti del Re serve a qualcosa?

Finora il governo Meloni ha approvato alcuni provvedimenti per eliminare migliaia di norme approvate anche più di 150 anni fa. In concreto i benefici sono molto pochi
Ansa
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Martedì 27 giugno il governo ha approvato un nuovo disegno di legge presentato dalla ministra per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati per eliminare quasi 6.500 decreti approvati dai re Vittorio Emanuele II e Umberto I tra il 1861 e il 1890, ossia prima della nascita della Repubblica. Il testo non è stato ancora depositato in Parlamento. Questo è il secondo provvedimento approvato dal governo per semplificare il sistema delle leggi italiano: più di un mese fa, il 4 maggio il governo ha dato il via libera a un primo disegno di legge per l’eliminazione di altre svariate migliaia di norme approvate tra il 1861 e il 1871, a cui in seguito ne sono state aggiunte altre. Questo disegno di legge è al momento all’esame della Commissione Affari costituzionali della Camera. 

«In un Paese moderno non c’è spazio per leggi vecchie e ormai superate, l’Italia ha bisogno di un quadro normativo chiaro che garantisca la certezza del diritto», ha scritto su Twitter Casellati dopo l’approvazione del provvedimento. «Entro metà luglio presenterò un terzo disegno di legge per l’abrogazione di altre 10 mila norme relative al periodo 1891-1920 e un quarto provvedimento per cancellare quelle dal 1921 al 1946», ha aggiunto. 

Cancellare i decreti del Re per semplificare il sistema delle leggi in Italia non è comunque sempre utile. «Esiste certamente un problema legato a un eccesso di legislazione nel nostro sistema, ma eliminare norme così vecchie, che il più delle volte risultano di fatto superate e ormai inapplicate, non porta nessun cambiamento rilevante alla vita di un cittadino», ha detto a Pagella Politica il costituzionalista Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale all’Università di Perugia.

Per esempio, tra le norme pre-repubblicane che il governo Meloni ha disposto di cancellare con il primo disegno di legge approvato a maggio, c’è un regio decreto del 1861 che imponeva alle «Finanze dello Stato» di cedere al «sig. Luigi Rinaldi una casa Demaniale nella Città di Rimini». Le case demaniali sono edifici di proprietà dello Stato assegnati per esempio a un funzionario pubblico per svolgere le sue funzioni . Tra le altre, c’è l’approvazione dello statuto della “Società Reale di Napoli” risalente al 1862. Questa società è stata un’accademia culturale, fondata nel 1808 dall’allora Re di Napoli Giuseppe Bonaparte, che in seguito ha cambiato varie volte denominazione e statuto, e che oggi prende il nome di “Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti”. Tra le norme che il governo ha disposto di cancellare con il nuovo disegno di legge approvato martedì 27 giugno c’è invece il regio decreto del 1874 «che aumenta il numero dei fuochisti del Regio lanciasiluri Pietro Micca». La “Pietro Micca” è stata una nave lanciasiluri della marina militare del Regno d’Italia, entrata in funzione nel 1877 e dismessa nel 1893. Questi decreti non hanno dunque di fatto più valore e sono già stati superati da tempo.
Un problema reale

La semplificazione normativa è comunque un problema che ritorna spesso nel dibattito politico italiano. Come abbiamo verificato in un precedente approfondimento, è infatti impossibile sapere con precisione, nemmeno per gli addetti ai lavori, quante sono le leggi al momento in vigore in Italia. Le stime variano parecchio: c’è chi dice siano 10 mila, mentre altri, come l’attuale ministro della Giustizia Carlo Nordio, hanno parlato di 250 mila leggi. Come ha sottolineato di recente una sentenza della Corte costituzionale, a questo problema si aggiunge poi quello dell’eccessiva complicatezza delle norme, in alcuni casi difficili da leggere e da capire. 

«Per semplificare il nostro sistema normativo bisognerebbe innanzitutto evitare di approvare nuove norme che si aggiungono a quelle già esistenti su una stessa materia, complicandone così l’applicazione», ha detto Volpi. Questo si scontra con le intenzioni dei partiti che sostengono il governo Meloni, che in questi mesi hanno presentato in Parlamento diverse proposte di legge per introdurre nuovi reati nell’ordinamento italiano. Ad aprile lo stesso governo ha approvato un disegno di legge per sanzionare chi imbratta o distrugge beni paesaggistici e culturali, al momento all’esame della Commissione Giustizia al Senato. Il provvedimento ha l’obiettivo di inasprire le sanzioni contro gli attivisti del clima, che negli ultimi mesi hanno imbrattato con una vernice lavabile alcuni monumenti ed edifici pubblici. Già oggi, però, chi imbratta opere d’arte o monumenti rischia pene di vario genere, tra cui il carcere. In altre parole, il nuovo provvedimento del governo aggiunge nuove norme ad altre già esistenti sullo stesso tema.

Le semplificazioni del passato

Al di là del progetto portato avanti dal governo Meloni, i principali tentativi di semplificare il sistema delle leggi sono stati fatti tra il 2005 e il 2010. Nel 2005, durante il secondo governo guidato da Silvio Berlusconi, è stato fatto un tentativo per monitorare e sfoltire il numero di leggi in vigore in Italia, con il cosiddetto “Taglia-leggi”. Il meccanismo del “Taglia-leggi” era diviso in tre fasi: eseguire una ricognizione delle leggi in vigore, in modo da conoscerne il numero e gli ambiti di applicazione; eliminare le norme emanate prima del 1970, mantenendo solo quelle considerate realmente utili; e riordinare tutto il corpo normativo, semplificandone l’organizzazione e accorpando i provvedimenti con materia simile. Tra il 2008 e il 2010 l’allora ministro per la Semplificazione normativa del quarto governo Berlusconi, Roberto Calderoli, ha approvato vari provvedimenti per eliminare le norme considerate inutilizzate, alcune delle quali hanno fatto discutere. 

Per esempio, con un decreto legislativo approvato a dicembre 2010, Calderoli ha cancellato il regio decreto del 1866 che stabiliva l’annessione delle «Provincie della Venezia (ndr, il Veneto) e quella di Mantova» al Regno d’Italia. La scelta di Calderoli ha fatto discutere perché diversi osservatori si sono domandati se la cancellazione del decreto fosse stata un errore e se avesse potuto comportare in maniera implicita l’indipendenza del Veneto dall’Italia. Dal canto suo Calderoli ha rivendicato la cancellazione dell’atto, sostenendo che non avrebbe comportato nessun effetto sulla conformazione della Repubblica italiana. All’epoca questo è stato confermato anche da diversi costituzionalisti, che hanno criticato il metodo usato dal ministro per semplificare il sistema delle leggi italiano. «La confusione è a monte e nasce dal modo in cui è stato concepito il decreto per tagliare le leggi. Se il regio decreto che annetteva il Veneto al Regno d’Italia era inutile perché superato dalla Costituzione, non aveva senso abrogarlo visto che non era in contrasto con nessuna norma. Con l’abrogazione invece si solleva la questione se serva o meno. Comunque non ci saranno conseguenze», aveva detto il costituzionalista Valerio Onida. 

Il tentativo di Calderoli di semplificare il sistema legislativo italiano è stato al centro di un’accesa discussione anche per l’enfasi con cui ha portato avanti il progetto. A marzo del 2010, nel piazzale della Caserma dei Vigili del Fuoco di Roma, Calderoli aveva dato fuoco a un muro di carta alto 16 metri con le norme cancellate fino a quel momento con il “Taglia-leggi”.
Tornando al presente, i disegni di legge del governo Meloni che cancellano le norme di epoca monarchica non sono ancora stati approvati in via definitiva. Per diventare legge a tutti gli effetti dovranno ottenere il via libera sia della Camera sia del Senato nello stesso testo.

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