La strada di Fitto per Bruxelles è ancora lunga

Il governo italiano ha indicato il ministro per gli Affari europei per il ruolo di commissario Ue, ma sul suo incarico non è ancora detta l’ultima parola
ANSA/ANGELO CARCONI
ANSA/ANGELO CARCONI
Aggiornamento 2 settembre, ore 21:30 – Abbiamo aggiornato l’articolo con i nomi dei candidati commissari indicati da Belgio e Romania.

 

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Venerdì 30 agosto il Consiglio dei ministri ha designato il ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr Raffaele Fitto (Fratelli d’Italia) come candidato italiano al ruolo di commissario europeo. «La nostra scelta ricade su una persona che ha una grandissima esperienza e che ha saputo governare le deleghe che gli sono state affidate in questo governo con ottimi risultati», ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. 

Al di là dei giudizi sull’operato di Fitto nel governo Meloni, la sua nomina come commissario europeo non può ancora essere data per scontata. In seguito alla proposta da parte dei governi nazionali, infatti, i candidati al ruolo di commissario devono superare l’esame del Parlamento europeo, che deve poi approvare la Commissione europea nel suo complesso. Oltre all’impegno europeo e alle competenze tecniche, quest’anno anche l’equilibrio di genere potrebbe giocare un ruolo nell’eventuale promozione o bocciatura dei candidati: attualmente la maggioranza dei profili indicati dai governi nazionali sono uomini, rendendo complicato il raggiungimento della parità di genere chiesto a fine luglio dalla presidente Ursula von der Leyen.

La formazione della Commissione europea

La Commissione europea è il principale organo esecutivo dell’Unione europea ed è composta da 27 membri, uno per ciascun Paese dell’Ue. La formazione della Commissione Ue inizia con l’elezione del presidente: il Consiglio europeo, che riunisce i leader degli Stati membri, indica un candidato che deve poi essere confermato dal Parlamento europeo a maggioranza assoluta. In questo caso, il 27 giugno il Consiglio europeo ha proposto di affidare un secondo mandato alla presidente uscente von der Leyen, che il 18 luglio ha incassato il sostegno della maggioranza dei parlamentari europei (401 su 720 totali). Come previsto dal Trattato sull’Unione europea, la rielezione di von der Leyen tiene conto dei risultati delle elezioni europee tenutesi a giugno: von der Leyen appartiene infatti al Partito Popolare Europeo (PPE), la forza politica che ha ottenuto più seggi all’interno del nuovo Parlamento europeo. 

Per quanto riguarda gli altri membri della commissione, ciascuno Stato membro può proporre al presidente della Commissione uno o più profili idonei a ricoprire il ruolo di commissario. I trattati prevedono che la scelta debba avvenire «in base alla loro competenza generale e al loro impegno europeo e tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza», dal momento che ciascun commissario non rappresenta il proprio Paese, bensì difende gli interessi comuni dell’Ue. In seguito alla sua elezione, von der Leyen ha chiesto agli Stati membri di presentare i propri candidati entro la fine di agosto. L’Italia è stata l’ultima in ordine di tempo a comunicare la propria scelta, seguita soltanto dal Belgio, che non ha ancora comunicato il suo candidato, non rispettando quindi la scadenza. Il Belgio è infatti impegnato nelle trattative per la formazione di un nuovo governo.

A questo punto, nei prossimi giorni la presidente della Commissione incontrerà tutti i candidati per assegnare a ciascuno di loro deleghe specifiche. Per esempio, nella Commissione Ue uscente al commissario italiano Paolo Gentiloni (Partito Democratico) era stato affidata la delega all’Economia, mentre l’olandese Frans Timmermans (Partito del Lavoro) era stato designato come primo vicepresidente della Commissione con delega al Green Deal europeo. Questa fase dovrebbe concludersi entro l’11 settembre, quando von der Leyen è attesa dai presidenti dei gruppi politici del Parlamento europeo per la presentazione della sua nuova squadra.

Le audizioni dei candidati commissari

Dopo questo passaggio, la seconda Commissione europea guidata da von der Leyen non potrà comunque insediarsi immediatamente: ciascun candidato dovrà prima sostenere un esame (detto “audizione”) davanti alla commissione del Parlamento europeo competente nel settore di cui si dovrebbe occupare. Il procedimento delle audizioni non è previsto dai trattati, ma è una prassi consolidatasi nel tempo, ed è dettagliata nel regolamento del Parlamento europeo. Dal momento che la Commissione Ue è soggetta nel suo complesso al voto di approvazione da parte del Parlamento europeo, la valutazione individuale dei candidati può evitare il rischio che l’intera squadra venga respinta a causa delle criticità di solo alcuni dei suoi membri. 

Prima di ogni audizione, la commissione giuridica del Parlamento europeo (detta JURI) esamina la dichiarazione di interessi finanziari presentata da ciascun candidato per confermare l’assenza di conflitti di interesse in relazione al suo futuro portafoglio in seno alla Commissione. Se la commissione giuridica non è soddisfatta può richiedere informazioni supplementari, elaborare raccomandazioni per risolvere l’eventuale conflitto riscontrato o stabilire che il candidato non è idoneo. Nel 2019 la commissione JURI ha bocciato per conflitto d’interesse due candidati, la romena Rovana Plumb e l’ungherese László Trócsányi, prima che potessero accedere alla fase delle audizioni.

Se il parere è positivo, il commissario è esaminato dalle commissioni parlamentari (una o più di una) competenti per le materie di cui ha ricevuto la delega. L’esame si compone di una fase scritta e una orale. Nella parte scritta ciascun candidato deve rispondere a due domande generali sull’impegno europeo e sulla gestione del portafoglio, a cui si aggiungono alcune domande settoriali elaborate dalle commissioni competenti in materia. Le risposte ai quesiti, insieme al curriculum del candidato, sono pubblicate sul sito del Parlamento europeo prima dell’esame orale. Quest’ultimo, che costituisce l’audizione vera e propria, è a sua volta pubblico e viene trasmesso in diretta. La sua durata è di circa tre ore, in cui il candidato commissario rilascia una dichiarazione iniziale e successivamente risponde alle domande dei deputati. 

La valutazione del commissario avviene invece a porte chiuse: i rappresentanti di ciascun gruppo politico all’interno della commissione (i “coordinatori”) possono approvare o respingere un candidato all’unanimità, oppure approvarlo “a larga maggioranza” se rappresentano almeno due terzi dei membri della commissione. Se la maggioranza dei due terzi non viene raggiunta, i coordinatori possono richiedere ulteriori informazioni ed eventualmente una nuova audizione di un’ora e mezza. Se di nuovo la maggioranza dei due terzi non viene raggiunta, i membri delle commissioni sono chiamati a votare sull’idoneità del candidato a diventare membro della Commissione e sulla sua adeguatezza per il portafoglio assegnato. Nel 2019 la candidata francese Sylvie Goulard è stata bocciata dalle commissioni parlamentari che l’avevano esaminata: dopo la richiesta di una seconda audizione è stata indetta una votazione in cui la maggioranza dei deputati si è espressa negativamente, costringendo il presidente francese Emmanuel Macron a proporre un nome diverso alla presidente von der Leyen (quello di Thierry Breton, oggi ricandidato).

Al termine delle audizioni, la Commissione europea si presenta in Parlamento per il voto di approvazione complessivo. Sulla base di questa approvazione, la Commissione è ufficialmente nominata dal Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata, e può entrare in carica. Se nessun candidato venisse respinto durante le audizioni, la nuova Commissione potrebbe insediarsi il 1° novembre. In caso contrario, la data più probabile sarebbe il 1° dicembre (come già accaduto nel 2019). Nella peggiore delle ipotesi, cioè se diverse audizioni avessero esito negativo, la nuova Commissione entrerebbe in carica il 1° gennaio 2025.

Squilibri di genere

Il Regolamento del Parlamento europeo esplicita che la parità di genere rientra tra i criteri di valutazione della Commissione: «Il Parlamento presta particolare attenzione all’equilibrio di genere e può esprimersi sulla distribuzione dei portafogli da parte del presidente eletto». Questo tema era stato sollevato dalla stessa von der Leyen, che nella lettera inviata ai governi dopo la sua elezione aveva chiesto di nominare due candidati per il ruolo di commissario, un uomo e una donna, per facilitare il raggiungimento dell’equilibrio di genere. Nelle intenzioni della presidente solo i Paesi che avessero confermato il commissario uscente sarebbero stati esentati dalla doppia candidatura. Tuttavia, la maggioranza dei governi ha disatteso questa richiesta: solo la Bulgaria ha indicato due nomi (Ekaterina Zaharieva e Julian Popov), mentre tutti gli altri hanno proposto un unico candidato, il più delle volte di sesso maschile.
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Al netto del Belgio (ancora senza candidato) e della Bulgaria, la nuova Commissione sarebbe costituita da 18 uomini e sette donne (72 per cento contro 28 per cento). Per fare un confronto, all’insediamento della prima Commissione von der Leyen nel 2019 il collegio era composto da 15 uomini e 12 donne, mentre nel 2020 si è raggiunto l’equilibrio (14 a 13) quando il commissario irlandese Phil Hogan è stato sostituito dalla connazionale Mairead McGuinness. Guardando nel dettaglio la lista degli attuali candidati, tra gli otto membri uscenti riconfermati dai rispettivi governi nazionali solo due sono donne (una è von der Leyen stessa), mentre tra le 17 nuove proposte le donne sono cinque. Tra queste è inclusa la futura Alta rappresentante per gli affari esteri, l’estone Kaja Kallas, il cui nome è stato proposto dal Consiglio europeo.

Sebbene nei trattati fondativi non ci siano vincoli che impediscono l’insediamento di una Commissione nettamente sbilanciata, è probabile che von der Leyen e il Parlamento europeo cercheranno di colmare il divario di genere. Secondo il sito Politico.eu, la presidente potrebbe spingere alcuni governi a cambiare in corsa il proprio candidato, promettendo deleghe più importanti alle commissarie rispetto ai colleghi uomini. In alternativa, von der Leyen potrebbe chiedere agli Stati membri di proporre nomi femminili nel caso in cui i candidati già indicati non superino l’esame del Parlamento europeo. Quest’ultimo, da parte sua, potrebbe forzare un riequilibrio subordinando l’approvazione della Commissione al rispetto della parità di genere, criterio già presente nel regolamento per le audizioni.

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