Gli affitti brevi stanno rovinando le città italiane?

A Firenze la nuova sindaca vorrebbe bandire Airbnb dal centro storico, mentre per la ministra Santanchè «la proprietà privata è sacra» e chi possiede una casa può farne ciò che vuole. Abbiamo analizzato le posizioni del dibattito
Ansa
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In questi giorni è in corso un confronto tra la nuova sindaca di Firenze Sara Funaro, eletta con il centrosinistra, e la ministra del Turismo Daniela Santanchè (Fratelli d’Italia) sul tema degli affitti brevi nei centri storici delle città italiane. Di recente infatti Funaro ha dichiarato di voler riproporre una norma per bloccare la possibilità di affittare per brevi periodi gli immobili del centro storico del capoluogo toscano. Questa norma era stata introdotta dal precedente sindaco di Firenze Dario Nardella (centrosinistra), ma il 10 luglio il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) ha decretato la decadenza del provvedimento in seguito all’approvazione di un nuovo Piano operativo per la città.

La norma, nota come “anti-Airbnb”, ha l’obiettivo di ridurre la presenza di case e appartamenti messi in affitto per i turisti sulla piattaforma. Secondo i detrattori di Airbnb, la cui presenza a Firenze è capillare, l’eccesso di immobili riservati ai turisti ha portato conseguenze negative sul benessere dei residenti e delle persone che vorrebbero abitare le case per lunghi periodi. «Regolamentare sì, ma certamente non mortificare la proprietà privata, e la scelta — che deve essere libera — di fare cosa si vuole in casa propria», ha risposto a distanza la ministra Santanchè, secondo cui gli affitti brevi andrebbero parzialmente modificati ma non vietati del tutto.

Al netto delle legittime opinioni politiche, davvero piattaforme come Airbnb stanno danneggiando le città in cui sono presenti? E come possono essere limitati questi eventuali effetti negativi? Proviamo a capirlo.

Residenti vs turisti

Per prima cosa, riassumiamo le posizioni di chi vorrebbe limitare o eliminare del tutto la possibilità di affittare per brevi periodi gli immobili dei centri storici delle città italiane e quella di chi invece vorrebbe mantenere la situazione attuale.

Nell’opinione dei critici, le case in affitto breve non sono di fatto abitate da nessuno, a differenza di quelle di proprietà o di quelle in affitto a lungo termine, e non contribuiscono quindi alla nascita e allo sviluppo di una comunità. I turisti arrivano, dormono qualche notte e se ne vanno. Secondo questa visione quindi, il rischio sarebbe quello di trasformare interi quartieri in aree simili a villaggi turistici o parchi divertimento, a scapito della comunità e di chi vorrebbe abitare in pianta stabile quei luoghi.

Gli affitti brevi, poi, sono particolarmente redditizi: una casa affittata a 100 euro a notte per venti giorni al mese produce un reddito di 2 mila euro, difficilmente raggiungibile con un affitto a lungo termine. Questo ha portato molti proprietari di casa a convertire i loro immobili dagli affitti a lungo a quelli a breve termine. La riduzione dell’offerta di case, unita alla competizione dei prezzi degli affitti brevi, ha fatto aumentare il costo degli affitti in molte città, in particolare quelle turistiche o universitarie. L’esempio più lampante è Milano, che negli ultimi anni si è sempre più imposta come centro economico e universitario e che ha anche aumentato di molto le presenze turistiche. Per esempio, i dati più aggiornati sull’inflazione pubblicati dal Comune di Milano mostrano una crescita del 16 per cento degli affitti reali per abitazione tra maggio 2019 e maggio 2024. L’aumento dei prezzi delle locazioni non è ovviamente solo colpa del fenomeno degli affitti brevi, ma è difficile immaginare che questo non abbia avuto un impatto: sempre a Milano tra il 2018 e il 2023 il numero di annunci su Airbnb, che è solo una delle molte piattaforme per gli affitti brevi, è cresciuto di un terzo secondo un’analisi di OffTopicLab, un laboratorio politico sulla città di Milano che si basa sui dati del portale Inside Airbnb, un progetto che raccoglie dati e informazioni riguardo la diffusione della piattaforma di affitti brevi.

I vantaggi degli affitti brevi

L’aumento dell’offerta di appartamenti in affitto per i turisti ha comunque comportato dei vantaggi, a partire dalla discesa dei prezzi per andare in vacanza. Quando l’unico servizio di alloggio e ospitalità era rappresentato dagli alberghi o quasi, c’erano a disposizione molti meno posti letto e questo faceva lievitare i prezzi. L’arrivo delle piattaforme ha fatto sì che le persone avessero a disposizione un’alternativa e questo aumento della concorrenza ha fatto calare i prezzi delle altre strutture ricettive, aumentando a volte anche la qualità media dei servizi, sia per gli affitti brevi sia per le strutture alberghiere. 

Uno studio del National Bureau of Economic Research (Nber), uno dei più importanti centri studi sull’economia negli Stati Uniti, ha stimato un beneficio medio di 41 dollari per notte per il consumatore americano nel 2014 grazie alla presenza di Airbnb, sia per l’aumento di offerta di alloggi a prezzi più bassi, sia per le riduzioni di prezzo degli hotel dovute alla concorrenza di Airbnb. L’aumento della concorrenza quindi ha di fatto costretto gli alberghi ad abbassare i prezzi e questo ha avuto un impatto positivo sui consumatori, considerando il larghissimo uso che si fa di queste piattaforme.

Inoltre, Airbnb e altre piattaforme simili hanno messo in atto progetti per valorizzare luoghi che prima non offrivano servizi ricettivi, come piccoli borghi o località remote. Per esempio, nel 2017 Airbnb ha lanciato il piano “Borghi italiani”, che insieme all’Associazione nazionale dei comuni italiani e al Ministero della Cultura ha promosso la valorizzazione di oltre 40 borghi italiani, sul modello di quanto fatto nel borgo storico di Civita di Bagnoregio (in provincia di Viterbo), dove la collaborazione tra il comune e la piattaforma ha permesso la riqualificazione di un edificio comunale, poi messo in affitto sullo stesso portale di Airbnb. 

C’è infine un vantaggio per i proprietari di casa, che hanno potuto convertire appartamenti che prima venivano affittati solo a lungo termine in un’attività più redditizia, anche se più impegnativa nella gestione quotidiana. Lo stesso studio del Nber ha stimato un beneficio di 26 dollari a notte per gli host che hanno usato Airbnb anziché affittare la casa con altri metodi. Affittare per brevi periodi riduce il rischio che si presentino alcuni problemi tipici dei proprietari di casa, come l’occupazione dell’immobile o il suo danneggiamento, sia perché la casa può essere controllata personalmente dal proprietario più spesso, sia perché quasi tutte le piattaforme includono nei loro servizi un’assicurazione.

Gli effetti negativi

Al netto di questi vantaggi, la diffusione di Airbnb nelle città italiane ha creato dei problemi ai residenti in termini di vivibilità dei luoghi. La conversione di migliaia di appartamenti in Airbnb ha trasformato intere zone della città in “quartieri dormitorio”, in cui le comunità si sono ristrette, mentre rimangono pochi posti letto i cui inquilini cambiano ogni giorno o quasi. Questa tendenza è suggerita per esempio dall’evoluzione della popolazione del primo municipio di Roma, che copre buona parte del centro storico. Il bollettino statistico del Comune mostra come tra il 2016 e il 2021 la popolazione del primo municipio sia calata di più del 5 per cento, tra i cali più significativi rispetto alle altre zone della città. Al contrario, le uniche due zone in cui è aumentata la popolazione sono più periferiche, ossia il nono municipio, che corrisponde a grandi linee al quartiere EUR, e il settimo, nell’area sud-est della città. Come avevamo già raccontato in passato, il calo della popolazione nel primo municipio di Roma può essere stato causato proprio dall’aumento degli affitti brevi. Basti pensare che al 15 luglio 2024, secondo i dati raccolti nella piattaforma InsideAirbnb, a Roma ci sono oltre 32.200 annunci per affitti su Airbnb, di cui oltre il 50 per cento si trovano [1] nel primo municipio.
Immagine 1. La diffusione degli affitti tramite Airbnb nel centro storico di Roma – Fonte: InsideAirbnb
Immagine 1. La diffusione degli affitti tramite Airbnb nel centro storico di Roma – Fonte: InsideAirbnb
Insomma, gli affitti brevi hanno peggiorato il fenomeno dell’overtourism, ossia la situazione in cui l’arrivo dei turisti in una città ne modifica profondamente gli spazi e il funzionamento, peggiorando la vivibilità per i residenti. Succede in centri più piccoli, come le Cinque Terre, ma anche in città più grandi, come Venezia, fino per l’appunto a metropoli come Roma e Milano. La foto qui sotto mostra l’evoluzione degli annunci per appartamenti su Airbnb a Milano tra il 2010 e il 2023, ed è evidente la crescita notevole degli ultimi anni.
Immagine 2. Evoluzione degli annunci pubblicati su Airbnb a Milano tra il 2010 e il 2023 – Fonte: OffTopicLab.
Immagine 2. Evoluzione degli annunci pubblicati su Airbnb a Milano tra il 2010 e il 2023 – Fonte: OffTopicLab.
C’è poi un’altra ricaduta negativa, che è il forte effetto sui prezzi degli affitti. Come abbiamo detto, la convenienza del modello Airbnb per i proprietari di casa ha spinto moltissime persone a convertire un appartamento da affitto di lungo periodo a uno di breve.

Secondo uno studio dell’Università della Pennsylvania su dati statunitensi, in media un aumento dell’1 per cento del numero di appartamenti in affitto breve in un’area porta a una crescita dello 0,018 per cento del costo degli affitti. Il dato però riguarda l’intero territorio degli Stati Uniti, mentre è più interessante osservare l’impatto delle piattaforme sui singoli centri più grandi. Per esempio, nel 2018 l’ufficio del revisore dei conti della città di New York ha stimato che un aumento di 1 punto percentuale degli annunci su Airbnb in un quartiere della città statunitense faccia crescere dell’1,58 per cento i prezzi degli affitti in quella zona.

A Barcellona, città che di recente ha annunciato uno stop agli affitti brevi a partire dal 2029, si stima che la crescita degli annunci su Airbnb nel 2016 abbia fatto aumentare in media i prezzi degli affitti dell’1,9 per cento in un solo anno, mentre nei quartieri in cui Airbnb è più diffuso l’aumento è stato addirittura del 7 per cento.

Per l’Italia invece gli studi scientifici a disposizione sono pochi. Tra questi, c’è un report pubblicato a luglio del 2023 dal think tank Tortuga, che si occupa di analisi economiche e sociali. Lo studio mostra come, in media, a un aumento dell’1 per cento della presenza di annunci di Airbnb in una zona specifica dell’Italia, si verificherebbe in media un aumento del 6,7 per cento dei prezzi delle case e del 5,7 per cento per gli affitti.

Come regolare le piattaforme

Limitare gli effetti negativi di questo fenomeno mantenendo quelli positivi non è affatto semplice. C’è chi propone di bandire del tutto la possibilità di affittare appartamenti a breve termine, come è stato deciso a New York e come si vorrebbe fare a Barcellona. Questa mossa rischia però di avere un impatto negativo sul turismo e soprattutto sui consumatori, che potrebbero vedere i prezzi delle strutture ricettive tornare a crescere a causa della riduzione dell’offerta.

Un divieto generale avrebbe inoltre forti effetti distributivi: l’effetto sarebbe infatti quello di premiare i proprietari delle strutture alberghiere tradizionali, che sarebbero le uniche a poter sfruttare il mercato degli alloggi turistici. Lo stesso accadrebbe nel caso in cui si decidesse di fermare l’apertura di nuovi Airbnb, come si è pensato di fare a Firenze: in quel caso, sarebbero avvantaggiati tutti coloro che avevano un appartamento sulle piattaforme già prima del divieto, mentre altri che non lo possedevano non potrebbero più accedere al mercato. 

Insomma, l’imposizione di blocchi totali o parziali agli affitti brevi comporta conseguenze non indifferenti, che qualunque scelta sul tema impone di affrontare.

 

[1] Nel menù “filter by” selezionare la voce “I Centro Storico”

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