Le disuguaglianze nella sanità italiana in tre grafici

Dai livelli di assistenza al numero di persone che rinunciano alle visite specialistiche, il sistema sanitario nazionale soffre ancora di ampie disparità tra una regione e l’altra
Ansa
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La sanità è uno dei temi su cui le regioni potranno chiedere più autonomia allo Stato in seguito al via libera definitivo del disegno di legge sull’autonomia differenziata, voluto dal governo Meloni. La nuova legge sull’autonomia differenziata, approvata dalla Camera lo scorso 19 giugno, stabilisce le modalità in base alle quali le regioni possono chiedere maggiori poteri al governo centrale in 23 materie, tra cui per l’appunto la tutela della salute. 

In base alla Costituzione, sulla tutela della salute le regioni italiane godono già di un certo grado di autonomia rispetto al governo centrale: la sanità infatti rientra tra le cosiddette “materie concorrenti”, ossia le materie su cui sia le regioni sia lo Stato possono legiferare. Negli anni le varie regioni hanno dunque sviluppato modelli di organizzazione sanitaria diversi, con notevoli disparità tra l’una e l’altra. Abbiamo analizzato queste disuguaglianze in tre grafici.

Quanto sono rispettati i LEA

Un primo modo per valutare i vari sistemi sanitari regionali sono i cosiddetti “livelli essenziali di assistenza” (LEA). Come spiega il sito del Ministero della Salute, i LEA sono stati istituiti per la prima volta nel 2001 e consistono nelle «prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale (tasse)». In altre parole, i LEA sono i servizi che in ambito sanitario devono essere garantiti a tutti i cittadini, a prescindere dalla regioni in cui vivono. 

Nel 2005 è stato creato un Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (abbreviato in “Comitato LEA”) che valuta periodicamente l’erogazione dei servizi sanitari tra le varie regioni. Per farlo il comitato di esperti sottopone ogni anno alle regioni un questionario di oltre 60 pagine che monitora una serie di parametri. Tra questi parametri, quelli che valutano i LEA sono definiti “CORE” e comprendono tre macro-aree: la prevenzione; l’assistenza distrettuale e l’assistenza ospedaliera. Nell’area prevenzione è compreso per esempio il livello di copertura vaccinale nei bambini, nell’area distrettuale la percentuale di prestazioni sanitarie effettuate nei tempi previsti, mentre nell’area ospedaliera il tasso di ricoveri. Confrontando le risposte dei questionari con una serie di valori di riferimento, il Comitato attribuisce a ogni macro-area un voto da 0 a 100, dove il 60 rappresenta la sufficienza. Nell’elaborare questi punteggi viene dato un peso a come cambiano nel tempo e alla variabilità territoriale interna alla regione. 

L’ultima valutazione sui LEA è stata fatta nel 2023 ed era relativa al 2021. In quell’anno due regioni, la Valle d’Aosta e Calabria, erano sotto la sufficienza in tutte e tre le macro-aree, la Sardegna era sotto la sufficienza in due (distrettuale e prevenzione), mentre erano insufficienti in una macro-area la provincia autonoma di Bolzano (prevenzione), il Molise (ospedaliera), la Campania (distrettuale) e la Sicilia (prevenzione). In ognuna delle tre macro-aree i punteggi migliori sono ottenuti da regioni dell’Italia settentrionale: la provincia autonoma di Trento è prima sia nell’area prevenzione (92,5) sia nell’area ospedaliera (96,5), mentre nell’area distrettuale è prima l’Emilia-Romagna (96).