Se determinare l’andamento demografico delle varie zone di Roma o la concentrazione di annunci su piattaforme digitali per affitti e breve termine è relativamente semplice, individuare le singole motivazioni che spingono i cittadini a scegliere di abitare in una zona piuttosto che in un’altra, in centro invece che in periferia, è di certo più complesso.
Diversi fattori, però, fanno pensare che le piattaforme per affitti brevi facilitino lo spopolamento del centro storico nelle grandi città turistiche.
Nel report “La ‘Airbnbificazione’ delle città: gli effetti a Roma tra centro e periferia” pubblicato nel 2017, Celata afferma che il rapido sviluppo di AirBnB
ha contribuito al progressivo spopolamento dei quartieri turistici, sostituendo i residenti fissi con affittuari a breve termine.
Questo può avvenire in due modi. In primo luogo, i proprietari che già affittavano i propri immobili con contratti a lungo termine possono decidere che l’affitto su periodi più contenuti, di poche settimane o anche pochi giorni, effettuato tramite le piattaforme turistiche è effettivamente più redditizio. Di conseguenza, le case precedentemente abitate da famiglie o individui per lunghi periodi di tempo si trasformano in “case vacanze” o affittacamere.
Secondo il sito di settore Immobiliare.it, ad aprile 2021 il prezzo medio per l’affitto di un immobile nelle zone Trastevere e Testaccio
era di 17,50 euro al metro quadro. Affittando un immaginario appartamento di 60 metri quadri sarebbe quindi possibile avere un’entrata lorda di circa 1.050 euro al mese, cioè 35 euro a notte. Allo stesso tempo, su AirBnB appartamenti
delle stesse dimensioni costano tra i 50 e gli 80 euro a notte (a maggio 2021).
Un’ovvia conseguenza dell’aumento di annunci per affitti a breve termine è la diminuzione di spazi abitativi destinati a residenti fissi o, comunque, ad affitti di lungo termine, che porta necessariamente a una diminuzione della popolazione locale. «Ogni appartamento su AirBnB corrisponde a un appartamento sottratto alla residenzialità a lungo termine. A Roma oggi ci sono 30 mila annunci su AirBnB, di cui la maggior parte sono appartamenti interi: il problema è evidente» ha detto Celata a
Pagella Politica.
In secondo luogo, AirBnB aiuta indirettamente la crescita della domanda per alloggi a breve termine, un elemento che a sua volta fa aumentare i prezzi degli immobili e il costo della vita. Questo arriva anche a costringere i residenti a trasferirsi in zone meno battute e quindi più economiche.
È una conseguenza del fenomeno della gentrificazione, il processo con cui quartieri un tempo popolari hanno acquisito un carattere sempre più elitario, facendo salire di conseguenza il costo della vita. Ne è un chiaro esempio il quartiere Isola di Milano: prettamente residenziale e periferico fino a pochi anni fa, grazie a diversi progetti di riqualificazione urbanistica – come la
costruzione della vicina piazza Gae Aulenti e
l’attivazione della linea 5 della metropolitana – è diventato oggi una meta turistica
citata anche dal
New York Times. Destino simile per la zona San Lorenzo di Roma, che
è stata al centro di un ampio progetto urbano, o Testaccio, nei pressi di Trastevere.
Al momento non sono disponibili studi specifici su Roma, ma la correlazione tra aumento degli annunci per affitti brevi tramite piattaforme simili a AirBnBe aumento dei prezzi nel mercato immobiliare
è stata dimostrata in altre città. Uno studio del 2017
ha per esempio rilevato che a Boston (Stati Uniti) all’aumentare del numero di annunci presenti su AirBnb ha corrisposto anche un aumento sui prezzi degli immobili.
Provare in maniera definitiva la presenza di una relazione causale tra il successo di piattaforme per affitti brevi e lo spopolamento del centro storico di Roma è pressoché impossibile. In ogni caso però – come evidenziato da Celata e Romano nel loro studio più recente – la connessione temporale e il rapporto di proporzionalità inversa tra i due fenomeni (all’aumentare degli annunci su AirBnB corrisponde una progressiva diminuzione dei residenti) rendono la connessione piuttosto probabile. Anche qui dunque i dati sembrano supportare la tesi di Calenda.