La nuova festa di San Francesco divide anche chi l’ha approvata

In Parlamento il provvedimento è passato quasi all’unanimità, ma tra i suoi sostenitori non mancano perplessità
Ansa
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Quasi tutti i parlamentari – dal centrodestra al centrosinistra – hanno votato a favore della legge che istituisce il 4 ottobre, giorno di San Francesco d’Assisi, come festa nazionale. In quella data, dal prossimo anno, uffici pubblici, scuole e la maggior parte delle attività private resteranno chiusi, come avviene per le altre festività, e i lavoratori avranno diritto a un giorno di riposo retribuito.

Eppure non tutti quelli che hanno votato a favore sono d’accordo con l’iniziativa. «La nuova festa di San Francesco è una cagata», ha detto a Pagella Politica un deputato di Forza Italia – che preferisce restare anonimo – spiegando che la proposta «aveva solo un valore simbolico» ed era «una bandierina piantata da Maurizio Lupi», leader di Noi Moderati.

Parole che smorzano il tono trionfale con cui la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha commentato la nuova festa, accolta «con gioia e soddisfazione». E che non sono isolate.

Tutti d’accordo, o quasi

La proposta di legge per istituire la festa nazionale di San Francesco è stata approvata alla Camera lo scorso 24 settembre con 247 voti favorevoli, otto astenuti e solo due voti contrari, quelli di due deputate di Azione. Pochi giorni dopo, il 1° ottobre, la proposta ha ricevuto l’approvazione finale all’unanimità dalla Commissione Affari costituzionali del Senato, che ha esaminato il testo in sede deliberante. Si tratta di una procedura velocizzata, in cui basta l’esame della commissione parlamentare per l’approvazione, senza il voto dell’aula. 

Finora il 4 ottobre non era un giorno festivo, ma dal 1958 rientrava tra le “solennità civili”: si celebravano San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena, patroni d’Italia, senza la chiusura di scuole e uffici. L’idea di rendere festivo quel giorno è legata all’ottavo centenario della morte di San Francesco, che cadrà nel 2026, ma in Parlamento se ne discute da oltre vent’anni. Con la nuova legge, il 4 ottobre diventa il dodicesimo giorno festivo del calendario italiano, oltre alle domeniche.

Durante le dichiarazioni di voto alla Camera, quasi tutti i parlamentari si sono detti favorevoli a rendere il 4 ottobre festa nazionale. «È un segno, un richiamo fortemente laico a ciò che ci unisce», ha detto Lupi, citando la pace e l’attenzione agli ultimi tra i valori di San Francesco. Per Gianangelo Bof (Lega) il santo «appartiene ai credenti ma anche a chi non crede», mentre Gian Antonio Girelli (Partito Democratico) ha definito San Francesco «la parte migliore di noi come esseri umani e come italiani».

In pochi hanno presentato emendamenti per cambiare la proposta di legge. Per esempio, Matteo Richetti (Azione) voleva spostare la festa «alla prima domenica successiva al 4 ottobre», mentre Alfonso Colucci (Movimento 5 Stelle) proponeva «la prima domenica di ottobre» (entrambe le proposte sono state respinte). Il Movimento 5 Stelle ha comunque votato a favore, mentre i deputati di Azione presenti in aula si sono divisi: quattro si sono astenuti, Richetti non ha partecipato alla votazione, Valentina Grippo ha votato a favore, e le deputate Giulia Pastorella e Federica Onori hanno votato contro. «Avevamo chiesto di celebrare la giornata in una domenica, già festiva. In un momento di conti pubblici stretti mi sembra una questione di opportunità e tempismo», ha detto Pastorella a Pagella Politica.

In realtà, anche alcuni parlamentari che hanno votato a favore hanno confessato a Pagella Politica dubbi sulla festa di San Francesco. «Nella maggioranza c’è un accordo per cui ogni gruppo ha un certo numero di proposte che ha diritto a presentare e far approvare. Noi abbiamo votato a favore di questa proposta perché facciamo parte della stessa coalizione e gli accordi sono questi, ma ha veramente poco senso», ha detto il deputato di Forza Italia, lo stesso che – come abbiamo visto sopra – ha criticato il peso simbolico dell’iniziativa.

Pure tra i parlamentari di opposizione non mancano dubbi. «Capisco le critiche sulla spesa aggiuntiva, ma risponderei che alla fin fine noi del Partito Democratico siamo quelli che chiedono la riduzione della settimana lavorativa a parità di salario. Aggiungendo questa festa abbiamo contribuito a dare ai lavoratori una giornata di lavoro in meno, e più soldi a chi invece quel giorno lavorerà», ha detto a Pagella Politica Girelli, con un un po’ di ironia.

Altre forze politiche, invece, sono state più combattute. «Per noi non è stato un voto semplice: siamo coscienti che ci sono altre questioni più grosse da affrontare e su questo non abbiamo risparmiato le nostre critiche, anzi. Come gruppo parlamentare abbiamo fatto un’assemblea interna prima di decidere per il sì», ha detto a Pagella Politica la deputata del Movimento 5 Stelle Carmela Auriemma. «Ma San Francesco è sempre stato un punto di riferimento per il movimento, non a caso siamo nati proprio il 4 ottobre. Votare contro la proposta sarebbe stato un po’ come rinnegare le nostre radici».

In generale, quasi tutti i partiti hanno esaltato l’importanza di San Francesco per la cultura e l’identità nazionale, sottolineando il valore dell’anniversario. Dietro le quinte però l’entusiasmo è stato molto minore, anche perché la legge arriva in un momento in cui diversi Paesi europei stanno riducendo le feste nazionali per ragioni economiche e di produttività.

Una festa che pesa sul PIL

Quando si parla di festività nazionali, una delle questioni più dibattute riguarda i loro costi, sia diretti sia indiretti. 

Nelle giornate festive i dipendenti pubblici sono esentati dal lavoro, ma chi deve comunque prestare servizio ha diritto a una retribuzione maggiorata. Per questo la nuova legge sulla festa di San Francesco prevede uno stanziamento di 10,7 milioni di euro l’anno, destinato a coprire i costi in più a partire dal 2027 (nel 2026 il 4 ottobre cadrà di domenica). Di questa cifra, quasi due milioni andranno a forze dell’ordine e vigili del fuoco, mentre i restanti 9 milioni circa serviranno a coprire i costi per i lavoratori del Servizio sanitario nazionale, come medici e infermieri degli ospedali pubblici.

Per il settore privato il quadro è più complesso. Un giorno di chiusura in più per aziende e industrie può incidere sulla produttività del lavoro, un indicatore strettamente legato alla crescita economica. In Italia la produttività è cresciuta poco negli ultimi vent’anni rispetto agli altri grandi Paesi europei, e il numero di ore lavorate influisce anche sul Prodotto interno lordo (PIL). 

Una curiosità: in passato, la stessa Meloni ha riconosciuto l’esistenza di questo problema, quando proponeva di introdurre come giornata festiva il 4 novembre, data che commemora la fine della Prima guerra mondiale per l’Italia. «Voi sapete che ogni volta che si parla di inserire una festa nazionale, c’è un problema legato alla produttività, c’è un problema di costo di questi eventi», aveva dichiarato Meloni nel 2018, durante una conferenza stampa di Fratelli d’Italia. «Io se dovessi scegliere tra questa e altre feste, preferirei questa: è un momento unificante, è il momento che celebra i sacrifici dei nostri nonni per liberare Trento e Trieste, per renderci la nazione che siamo. Per me sicuramente avrebbe molto più senso di altre ricorrenze». In questa legislatura il Parlamento ha ripristinato il 4 novembre come data ufficiale per celebrare la Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate, senza però renderla nuovamente un giorno festivo.

In ogni caso, stimare con precisione l’impatto economico di un giorno festivo in più non è semplice, ma alcuni studi offrono indicazioni utili. Una ricerca del 2021, condotta su oltre 200 Paesi, ha stimato che una riduzione dell’1 per cento del monte ore lavorate può ridurre il PIL dello 0,2 per cento. Applicando questo rapporto all’Italia, una nuova festa nazionale potrebbe abbassare il PIL di circa lo 0,08 per cento, cioè 1,75 miliardi di euro l’anno. Una stima in linea con un report della Banca centrale europea del 2004, secondo cui un giorno di lavoro in più o in meno modifica il PIL tra lo 0,05 e lo 0,1 per cento.

Proprio alla luce di questi dati, alcuni Paesi europei hanno ridotto o proposto di ridurre i giorni festivi. Nel 2023 la Danimarca ha abolito una festa nazionale di maggio, quest’anno la Slovacchia ne ha cancellata una a novembre, e in Francia l’ex primo ministro François Bayrou aveva suggerito di eliminarne due per contenere il deficit pubblico, proposta poi respinta. Anche l’ex presidente statunitense Donald Trump aveva criticato i «troppi giorni non lavorativi», sostenendo che costassero «miliardi di dollari» all’economia americana.

Il dibattito resta però aperto. Diversi economisti ritengono che eliminare le festività non sia un modo efficace per aumentare la produttività, oggi più legata agli investimenti tecnologici che alle ore lavorate. Al contrario, le feste nazionali possono contribuire al benessere dei lavoratori e, indirettamente, migliorare la loro produttività.

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