Su Monte dei Paschi Donzelli dà al governo meriti che non ha

La banca ha chiuso il 2023 con un utile di oltre 2 miliardi di euro, frutto soprattutto dell’aumento dei tassi di interesse, criticato dallo stesso deputato di Fratelli d’Italia
ANSA
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Il 7 febbraio il deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli ha festeggiato su X la notizia che la banca Monte dei Paschi di Siena (MPS) ha chiuso il 2023 con utili pari a oltre 2 miliardi di euro. Secondo il responsabile nazionale dell’organizzazione di Fratelli d’Italia, dopo anni negativi, questo risultato sarebbe merito del governo Meloni. 

Nella sua dichiarazione Donzelli ha omesso un’informazione importante e non ha detto qual è stata la causa principale dietro agli utili fatti l’anno scorso dalla banca, le cui azioni sono per il 39 per cento del Ministero dell’Economia e delle Finanze. In breve: come tutte le principali banche italiane, nel 2023 MPS ha aumentato di molto gli utili grazie all’aumento dei tassi di interesse.

Che cosa è successo al Monte dei Paschi

La storia del Monte dei Paschi di Siena, la più antica banca italiana ancora in attività, è stata piuttosto tormentata negli ultimi 13 anni. Nel 2011 la banca chiuse il suo bilancio annuale in perdita di oltre 4 miliardi di euro: da quel momento iniziarono periodi di grande difficoltà. Nel 2012 fu presentato un piano di ristrutturazione della banca, con una serie di misure per riorganizzare il gruppo e farlo tornare in utile. Questo primo tentativo si rivelò però infruttuoso e nel 2014 MPS fu costretta a un aumento di capitale da 5 miliardi di euro.

Con un aumento di capitale si aggiunsero risorse a disposizione della banca. Questo comportò però quella che in gergo tecnico è chiamata una “diluizione”: se possiedo azioni che valgono 50 di una società che ha un capitale di 100, avrò il controllo del 50 per cento della proprietà; se un aumento di capitale porta il capitale a 200, la mia quota scende al 25 per cento. Nel 2014, per mantenere la propria quota di controllo su MPS, ogni azionista avrebbe dovuto investire nell’aumento di capitale per non diluire la percentuale delle azioni possedute. Molti investitori non fecero questa scelta, con il risultato che la proprietà della banca cambiò tra il 2013, quando era posseduta per il 33,5 per cento da Fondazione MPS, e il 2014, quando la maggior parte degli investitori (87,8 per cento) era composta da piccoli investitori, senza un controllo e una gestione univoca.

L’incertezza intorno alla solidità di MPS e alla sua capacità di tornare a generare profitti continuò ad aumentare, portando nel 2016 a un nuovo aumento di capitale. All’appello dell’azienda, però, non risposero abbastanza potenziali azionisti, così non si raggiunse la soglia richiesta per l’aumento di capitale.

A quel punto il governo guidato da Matteo Renzi (Partito Democratico) decise di entrare nel capitale di MPS acquistando il 52 per cento delle azioni, con la quota in mano pubblica che è variata nel tempo, arrivando anche vicina al 70 per cento. Fu istituito un fondo da 20 miliardi di euro per aiutare le banche in difficoltà e, con l’approvazione della Banca centrale europea (BCE), fu fatta una ricapitalizzazione precauzionale di MPS. Nelle intenzioni del governo questi soldi avrebbero permesso alla banca di reggere alle conseguenze negative del piano di ristrutturazione, in attesa di tornare più solida. La ricapitalizzazione permise alla banca di restare in piedi nonostante la sua rapida svalutazione: a novembre 2016, un’azione valeva 416 euro, mentre un anno dopo poteva essere acquistata a 74 euro.

A queste condizioni nessun investitore privato avrebbe sostenuto la banca e così lo Stato ha funzionato da cosiddetto “prestatore di ultima istanza”. Questa espressione si usa per indicare un soggetto talmente solido e autorevole da poter garantire che un istituto non fallisca, anche a costo di rimetterci del denaro per la ricapitalizzazione. Per le banche questo avviene perché non sono normali imprese, ma soggetti fondamentali per il buon andamento dell’economia: le banche garantiscono gli scambi commerciali, prendono a prestito denaro da chi lo vuole investire e lo prestano a chi ne ha bisogno. La scomparsa da un giorno all’altro di una banca ha conseguenze gravissime sull’economia reale, per cui il governo di turno può avere interesse ad aiutare un istituto di credito in difficoltà, se ci sono le condizioni perché questo riesca a riprendersi. In parole semplici, alla fine del 2016 il governo Renzi “scommise” in MPS investendo denaro pubblico nella banca. Questa decisione fu confermata da tutti i governi successivi, che mantennero il controllo pubblico della banca.

Nel 2018 la banca tornò a registrare un utile e da tempo dà segnali di ripresa. Uno di questi è il risultato del 2023, con gli oltre 2 miliardi di euro di utile netto, ossia la differenza tra i ricavi e tutti i costi, comprese le tasse.

Che cosa ha fatto il governo Meloni

Veniamo così alla tesi di Donzelli, che ha dato al governo Meloni i meriti dei risultati raggiunti da MPS, parlando nello specifico in una nota della «nuova governance della banca senese». 

Alla fine di ottobre 2022 – dopo pochi giorni dall’insediamento del governo Meloni – c’è stato un ulteriore aumento di capitale di MPS, coperto per due terzi dallo Stato. Questo aumento era già stato comunque deciso nelle settimane prima che Meloni diventasse presidente del Consiglio. 

Ad aprile 2023 il consiglio di amministrazione di MPS è stato rinnovato e Nicola Maione è stato nominato come nuovo amministratore delegato della banca. Maione non è un nome nuovo in MPS: è nel consiglio di amministrazione della banca dal 2017, nominato dall’allora ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan. 

Infine, a novembre dell’anno scorso, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha avviato una procedura per cedere circa il 20 per cento delle quote di MPS, scendendo al 39 per cento attuale.

Perché è aumentato l’utile di MPS

Di chi è dunque il merito della crescita dell’utile registrata l’anno scorso da MPS? Al di là delle legittime critiche sulla gestione recente della banca, un ruolo lo hanno avuto i piani di ristrutturazione avviati negli scorsi anni. Ma nel 2023 ha fatto la differenza il contesto economico, particolarmente favorevole per tutte le banche italiane, non solo per MPS. Con l’aumento dei tassi di interesse, avviato a luglio 2022 dalla BCE, è cresciuto anche il margine di interesse delle banche, ossia la differenza tra gli interessi che le banche incassano dai prestiti concessi e gli interessi che pagano ai loro clienti per i soldi versati nei conti o in altri tipi di investimento. Questo aumento ha portato a risultati straordinari per tutte le principali banche italiane: per esempio Intesa Sanpaolo ha chiuso il 2023 con un utile netto di 7,7 miliardi di euro (+76 per cento rispetto all’anno prima), Unicredit con un utile di 8,6 miliardi (oltre il 50 per cento in più rispetto al 2022). Secondo una stima del Sole 24 Ore, l’anno scorso le prime cinque banche quotate in borsa hanno registrato utili superiori a 20 miliardi di euro. 

La stessa MPS ha confermato che gli ottimi risultati del 2023 dipendono soprattutto dalle condizioni positive per il settore bancario italiano ed europeo. In un comunicato stampa pubblicato il 7 febbraio, la banca fa riferimento al «maggior contributo del comparto commerciale, che ha beneficiato, fra l’altro, di maggiori interessi attivi», alla «maggiore contribuzione del portafoglio titoli, in conseguenza di maggiori rendimenti (a causa degli aumenti dei tassi, ndr)» e al «maggiore apporto derivante dai rapporti con banche», una dinamica «da ricondurre alle decisioni di politica monetaria di BCE». Negli scorsi mesi la politica monetaria della BCE e l’aumento dei tassi d’interesse sono stati criticati più volte da esponenti del governo Meloni e dei partiti che lo sostengono, compreso Donzelli

I risultati registrati da MPS hanno permesso alla banca di distribuire per la prima volta in 13 anni un dividendo agli azionisti, in anticipo di due anni rispetto ai piani di recupero. Il dividendo è una quota dell’utile che una società dà ai suoi soci come premio per il possesso delle azioni. 

Questo è un risultato positivo ed è vero che porterà un introito alle casse dello Stato: circa 120 milioni di euro, considerando che oggi il Ministero dell’Economia e delle Finanze possiede il 39,2 per cento della banca. Ma non ci sono elementi che indichino che questo miglioramento sia dovuto a un cambio di passo imposto dal governo Meloni che, anzi, ha continuato quanto iniziato nel 2017 su raccomandazione delle istituzioni europee e internazionali, a partire dalla BCE.

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