La Costituzione vieta davvero di dare armi all’Ucraina per colpire obiettivi in Russia?

Lo sostengono, tra gli altri, i ministri Tajani e Crosetto. Cerchiamo di capire se la loro argomentazione è fondata oppure no
ANSA
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Nei giorni scorsi il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il ministro della Difesa Guido Crosetto e il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini hanno citato la Costituzione per motivare la contrarietà del governo italiano a dare armi all’Ucraina per colpire obiettivi militari in Russia. La fornitura di armi di questo tipo è stata richiesta dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg e finora ha ricevuto il via libera di Paesi come gli Stati Uniti, la Germania e la Francia

«Le armi italiane possono essere usate soltanto all’interno del territorio ucraino per impedire l’avanzata dei russi e quindi per garantire la libertà dell’Ucraina. Noi abbiamo una Costituzione che all’articolo 11 parla molto chiaro: l’Italia ripudia la guerra, noi non possiamo fornire armi per attaccare la Russia in territorio russo», ha detto (min. 08:32) Tajani il 31 maggio ospite a Cinque Mattino su Canale 5. Lo stesso giorno, una posizione identica è stata espressa da Crosetto, in un’intervista con il quotidiano Domani: «Noi forniamo aiuti, anche militari, a una nazione aggredita, per difendersi e riconquistare la sua sovranità violata. La Costituzione, le leggi e la nostra postura internazionale non consentono, a mio avviso, di fare altro». «Fortunatamente la Costituzione italiana ripudia la guerra», ha dichiarato (min. -24:18) Salvini il 5 giugno ospite a Otto e mezzo su La7, aggiungendo che la Lega voterà un nuovo pacchetto di armi solo se avrà la certezza che le armi date all’Ucraina non saranno usate per attaccare i russi.

Ricordiamo che dall’inizio dell’invasione russa, l’Italia ha inviato all’Ucraina otto pacchetti di armi, il cui contenuto è segreto per ragioni di sicurezza. La legge n. 185 del 1990, che regola il commercio degli armamenti, vieta di esportare armi verso Paesi in guerra, ma gli invii di armi all’Ucraina sono stati autorizzati dal Parlamento con tre votazioni, la prima a marzo 2022, la seconda a dicembre 2022 e la terza a febbraio 2024.

Al di là di quanto fatto finora dall’Italia per sostenere militarmente l’Ucraina, quello che dicono Tajani e Crosetto è corretto? Oppure la Costituzione dice una cosa diversa? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Che cosa dice la Costituzione

Partiamo dall’articolo 11 della Costituzione, che qui è utile riportare per intero: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».

La disposizione è ispirata a un’istanza pacifista sia nella prima parte, dove si afferma il ripudio della guerra, sia nella seconda parte, che ammette limitazioni della sovranità finalizzate alla pace e alla giustizia, e consente la partecipazione italiana a organizzazioni come le Nazioni Unite, con il relativo sistema di sicurezza collettiva.

Questa istanza pacifista non vieta, tuttavia, in termini assoluti la partecipazione dell’Italia alla guerra, come alcuni commentatori hanno ripetuto negli ultimi mesi (basti citare l’articolo 78 della Costituzione, che prevede la possibilità per il Parlamento di dichiarare lo «stato di guerra»). 

L’articolo 11, infatti, è formulato in modo da proibire la partecipazione diretta dell’Italia a guerre di carattere offensivo e l’uso di queste ultime come strumento per risolvere «controversie internazionali», vietando anche ogni forma di assistenza – inclusa la fornitura di armi – a Stati che conducano tale tipo di guerre. Sono invece consentite azioni belliche con un carattere difensivo. 

Dall’articolo 11 però non si evince se l’Italia possa partecipare a guerre per la difesa non solo propria, ma anche di altri Stati. La risposta può essere trovata nelle norme di diritto internazionale che regolano l’uso della forza e, in particolare, l’esercizio della legittima difesa. Queste norme sono indirettamente richiamate dallo stesso articolo 11 della Costituzione, con il riferimento alle organizzazioni internazionali che perseguono la pace e la giustizia.

Che cosa dicono le norme internazionali

Innanzitutto va citato l’articolo 5 del Trattato della Nato, che sancisce il principio della difesa collettiva: se un Paese membro della Nato viene attaccato, gli altri Paesi membri sono tenuti a intervenire con tutti i loro mezzi a disposizione, compresi quelli militari. Questa disposizione, però, non entra in gioco nella valutazione della legittimità della fornitura di armi all’Ucraina: quest’ultima non fa parte della Nato. 

«Né si potrebbe invocare di per sé la comune adesione alle Nazioni Unite, dal momento che non vi è stato (…) alcuno specifico intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazione Unite avente a oggetto la difesa dell’Ucraina aggredita», ha sottolineato ad HuffPost Enrico Grosso, professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Torino, in un’intervista del 31 maggio. Per questo motivo non assume rilievo l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che afferma «il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale». 

Può invece essere richiamato l’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite, che stabilisce il principio per cui gli Stati membri «devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite». L’invio di armi a un Paese che è stato aggredito e necessita di reagire a un attacco armato, come l’Ucraina, non costituisce un uso della forza vietato dal citato articolo 2: pertanto, nonostante tale forma di sostegno a fini difensivi non sia espressamente prevista dall’articolo 11 della Costituzione, essa può ritenersi consentita.

Non contrastano questa conclusione gli obblighi di neutralità derivanti dall’articolo 6 della XIII Convenzione dell’Aia del 1907, in base al quale «è vietata la consegna, a qualunque titolo sia, fatta direttamente o indirettamente da un potenza neutrale a una potenza belligerante, di navi da guerra, di munizioni o di qualsiasi materiale di guerra». Questi obblighi sono oggi ritenuti da molti inconciliabili con il sistema di sicurezza collettiva instaurato con le Nazioni Unite e con le alleanze regionali, che prevedono un dovere di assistenza reciproca cogente per gli Stati membri. È vero che il divieto di fornitura di materiale bellico alle parti belligeranti è uno dei corollari della neutralità, ma l’invio di armi all’Ucraina non costituirebbe necessariamente una lesione di questo principio. Per esempio secondo Pierfrancesco Rossi, professore di Diritto internazionale alla Luiss, l’invio di armi può essere giustificato come una «contromisura collettiva», ossia messa in atto da parte della larga maggioranza dei membri della comunità internazionale, in risposta alla violazione da parte della Russia di una norma cogente di diritto internazionale.

Dunque, l’articolo 11 della Costituzione, interpretato sulla base della normativa internazionale, non sembra vietare l’uso della forza bellica per prestare assistenza a un Paese attaccato che eserciti una legittima difesa, e non contiene nemmeno paletti sull’uso di queste armi da parte del Paese che le riceve.

Il Trattato sul commercio delle armi

Specifici vincoli sull’uso delle armi da parte del Paese destinatario derivano invece dal Trattato sul commercio delle armi, adottato dall’Assemblea Generale dell’Onu il 2 aprile 2013 ed entrato in vigore il 24 dicembre 2014. Questo tratto si applica anche nel caso di trasferimento di armamenti a titolo gratuito, com’è il caso dell’Italia con l’Ucraina. 

L’articolo 6 di questo trattato vieta a uno Stato di esportare armi se sa che saranno usate per violare le Convenzioni di Ginevra (per esempio per commettere un genocidio o crimini contro l’umanità). L’articolo 7 impone poi l’obbligo di esercitare una procedura di valutazione per determinare se le armi potranno essere utilizzate per commettere o facilitare gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e dei regimi internazionali di diritti umani, atti illeciti ai sensi delle convenzioni internazionali relative al terrorismo o alla criminalità transnazionale organizzata. Come detto, sui decreti del governo italiano che hanno disposto la consegna di materiale bellico all’Ucraina vige il segreto, per cui non si sa né quali armi siano state cedute all’Ucraina né in base a quali procedure sia stato accertato che il loro uso non violi il diritto internazionale.

Armi solo in territorio ucraino?

Nessuna delle precise condizioni poste dalla legge all’uso delle armi trasferite riguarda il fatto che questo uso debba avvenire solo nel territorio dello Stato aggredito, e non invece sul suolo dello Stato aggressore. A queste condizioni si aggiunge il rispetto del principio di proporzionalità, che vieta attacchi che provochino danni sproporzionati alla popolazione civile o a obiettivi civili in rapporto al vantaggio militare diretto e concreto che ci si attende.

Ciò non impedisce che ogni Stato possa comunque porre restrizioni all’uso delle armi trasferite a un Paese per consentirgli la legittima difesa. Per quanto riguarda l’Italia, dev’essere tuttavia chiaro che si tratta di restrizioni che attengono alla sfera della discrezionalità politica, non trovando base giuridica della citata disposizione costituzionale o in altre norme sovranazionali.

Non si può «brandire l’articolo 11 [della Costituzione, ndr] per differenziare l’atteggiamento italiano a seconda dell’uso che, poi, il Paese aggredito in difesa del quale l’Italia abbia deciso di accorrere ritenga di fare di quelle armi», ha spiegato il costituzionalista Grosso ad HuffPost. «Una volta accettata una lettura della norma costituzionale in base alla quale la fornitura bellica sarebbe legittima, perché il Paese cui le armi vengono fornite è vittima di un’aggressione, il fatto che quella fornitura sia materialmente utilizzata entro il territorio del Paese aggredito ovvero sul suolo del paese aggressore mi sembra davvero irrilevante sul piano giuridico». 

Secondo Grosso, deve essere il Paese aggredito a scegliere, «in base alla sua strategia militare», se è opportuno attaccare il Paese aggressore sul suo territorio. «È del tutto ovvio che, per impedire un bombardamento su Kharkiv, l’Ucraina possa legittimamente attaccare le basi di partenza da cui decollano i bombardieri. Ciò non fa certo venir meno la natura “difensiva” dell’uso di quelle armi», ha aggiunto il costituzionalista. Dunque, secondo questa lettura, le armi possono essere usate dagli ucraini anche in territorio russo, sempre a condizione che Kiev si attenga ai citati principi del diritto internazionale.

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