Perché il nuovo Codice della strada è finito davanti alla Corte Costituzionale

I giudici dovranno stabilire se l’articolo che punisce la guida dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti vìola tre articoli della Costituzione
ANSA/LUCA ZENNARO
ANSA/LUCA ZENNARO
Dopo mesi di critiche e polemiche, ora è ufficiale: la Corte Costituzionale dovrà stabilire se la riforma del Codice della strada, voluta dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, sia incostituzionale. In particolare, la Corte dovrà decidere se le nuove regole sulla guida dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti violano o meno la Costituzione.

Lo scorso 8 aprile, la giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale di Pordenone, Milena Granata, ha accolto una richiesta della Procura e ha trasmesso alla Corte Costituzionale una questione di legittimità costituzionale sul nuovo articolo 187 del Codice della strada. Secondo questa norma, se la saliva, il sangue o le urine di un guidatore risultano positive a sostanze stupefacenti, il guidatore può essere punito, indipendentemente dal fatto che si trovi effettivamente in uno «stato di alterazione psicofisica», come invece prevedeva il vecchio testo.

In altre parole, la precedente versione del Codice puniva soltanto i comportamenti che compromettevano la sicurezza stradale, partendo dal presupposto che solo l’alterazione psicofisica potesse creare pericoli. Le nuove regole, invece, puniscono chiunque abbia assunto sostanze alteranti, senza più la necessità di dimostrare che queste abbiano minato le capacità psicomotorie di un guidatore.

La Corte Costituzionale dovrà valutare se il nuovo Codice della strada vìola tre articoli della Costituzione. Ma prima di entrare nei dettagli, è utile ricostruire come si è arrivati a questo punto.

I fatti

La riforma del Codice della strada è entrata in vigore il 14 dicembre 2024. Dieci giorni dopo, il 24 dicembre, una donna ha causato un incidente andando a sbattere contro un altro veicolo mentre guidava. Nella memoria del pubblico ministero – il magistrato che coordina le indagini e sostiene l’accusa nella giustizia penale – si legge che, una volta in ospedale, la donna ha dichiarato di «aver assunto tre gocce di ansiolitico “EN”» e di «assumere con regolarità il farmaco “Tachidol”» per trattare una patologia cronica. Il primo contiene “delorazepam”, il secondo “codeina”, un oppiaceo.

Le analisi tossicologiche sulle urine della donna hanno evidenziato una positività agli oppiacei, mentre quelle sul sangue hanno dato esito negativo. Va ricordato che le sostanze stupefacenti restano rilevabili nelle urine anche a distanza di giorni, mentre nel sangue scompaiono più rapidamente, entro un massimo di tre giorni.

Il pubblico ministero ha ritenuto che la semplice positività agli oppiacei fosse sufficiente a fondare la responsabilità penale della donna, in base al nuovo articolo 187 del Codice della strada. Ma lo stesso pubblico ministero ha sollevato dubbi di costituzionalità, chiedendo alla GIP di chiamare in causa la Corte Costituzionale. La richiesta è stata accolta dalla GIP, che – ricordiamo – nella giustizia penale valuta preliminarmente la correttezza e la fondatezza delle richieste del pubblico ministero, decidendo per esempio su archiviazioni, misure cautelari o rinvii a giudizio.
Pagella Politica

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I profili di incostituzionalità

La GIP di Pordenone ha ipotizzato che il nuovo articolo 187 del Codice della strada violi il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, secondo cui «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge». Secondo la giudice, la riforma vìola questo principio «sulla base di tre profili: ragionevolezza, proporzionalità e uguaglianza».

Le nuove regole sarebbero irragionevoli e sproporzionate rispetto all’obiettivo di tutelare la sicurezza stradale e l’«incolumità dei suoi utenti», perché puniscono anche chi, pur risultando positivo ai test, non presenta alcuna alterazione psicofisica e quindi non rappresenta un pericolo alla guida. 

Inoltre, il Codice della strada tratta in modo diverso chi assume sostanze stupefacenti rispetto agli altri conducenti, senza che ci siano elementi che giustifichino una tale disparità. Secondo la GIP, l’eliminazione del requisito dello stato di alterazione non considera «l’incidenza concreta» dell’assunzione «rispetto alla guida». Ritenere «necessaria e sufficiente, ai fini della penale responsabilità, la mera positività del soggetto a una determinata sostanza stupefacente, senza effettuare alcuna indagine sugli effetti di tale dato sulla capacità di guida» implica una conseguenza rilevante. Viene infatti sanzionato anche chi, «non riportando alcuna sintomatologia ricollegabile all’avvenuta assunzione, si pone alla guida senza provocare alcun pericolo di lesione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice».

La violazione del principio di uguaglianza emerge anche dal confronto con altre norme. L’articolo 186 del Codice della strada, che riguarda la guida sotto l’effetto dell’alcol, richiede il superamento di una soglia di 0,8 grammi per litro di sangue per essere puniti penalmente. Gli articoli 589-bis e 590-bis del codice penale, che puniscono rispettivamente l’omicidio e le lesioni stradali o nautiche, richiedono invece la prova di uno «stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psicofisica» dovuta all’assunzione di sostanze per dare una pena più elevata a chi ha commesso questi reati. Invece, per la guida dopo l’assunzione di droghe, basta la semplice positività ai test, senza soglie legali.

Secondo la GIP, il nuovo articolo 187 del Codice della strada rischia poi di violare l’articolo 25, comma 2, della Costituzione, secondo cui «nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto». Da un lato, verrebbe violato il principio di tassatività e determinatezza: la norma «non consente né di selezionare adeguatamente le condotte penalmente rilevanti» né di tracciare chiaramente un’«esatta linea di confine fra l’area di illiceità e quella di liceità penale». Dall’altro lato, sarebbe violato il principio di offensività: punendo condotte che non ledono concretamente la sicurezza stradale, si finirebbe per sanzionare una semplice qualità personale, ossia la positività a sostanze.

Infine, secondo la GIP, il nuovo Codice della strada potrebbe violare anche l’articolo 27, comma 3, della Costituzione, che stabilisce che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». La giudice ha sottolineato che la pena prevista «a fronte di un fatto inoffensivo», cioè la guida quando c’è positività a droghe, ma non alterazione, priverebbe la pena stessa anche della sua finalità rieducativa: una sanzione sproporzionata «non potrà mai essere avvertita come “giusta” dal reo e, conseguentemente, non potrà mai gettare le basi per alcun percorso rieducativo».

La Corte Costituzionale dovrà prima di tutto verificare se la questione sollevata dalla GIP sia ammissibile. Se lo sarà, entrerà nel merito della costituzionalità della norma. Se poi la Corte dovesse dichiararla incostituzionale, la norma cesserebbe di avere efficacia e non potrebbe più essere applicata.

Il tavolo tecnico

Un’ultima osservazione: lo scorso dicembre, il ministro Salvini aveva proposto di creare un tavolo tecnico per esaminare possibili deroghe all’articolo 187 del Codice della strada o introdurre norme interpretative per stabilire i casi di non punibilità. A oggi, il tavolo non risulta essere stato istituito.

A gennaio, replicando a un articolo della Gazzetta dello Sport, Salvini ha detto che «chi assume medicinali prescritti dal proprio dottore, seguendo le indicazioni e le dosi corrette, non ha nulla da temere» «Benzodiazepine, barbiturici, analgesici oppiacei, antistaminici e cannabis terapeutica sono sostanze che da sempre prevedono precise prescrizioni e raccomandazioni prima di mettersi alla guida. Esattamente come in passato», ha dichiarato il leader della Lega. In caso di test positivo, ha aggiunto Salvini, «è previsto un esame di secondo livello in laboratorio che individua esclusivamente gli stupefacenti su cui abbiamo tolleranza zero», e «in caso di sostanze vietate a scopo terapeutico, come la cannabis, sarà sufficiente esibire la documentazione medica». Da un lato, le parole del ministro non eviterebbero un’incriminazione a chi assume determinati medicinali, essendo prive di valore giuridico. Dall’altro lato, dimostrano che l’obiettivo del nuovo Codice della strada è punire chi fa uso di droghe a scopo ricreativo, anche in situazioni in cui l’effetto alterante sia passato.

L’11 aprile, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha inviato alle prefetture una circolare, a cui è allegata una direttiva sulle modalità di esecuzione dei test tossicologici per individuare eventuali sostanze stupefacenti nella saliva dei guidatori fermati dalle forze dell’ordine. Qui si chiarisce che «è importante indicare i farmaci eventualmente dichiarati dal soggetto o riportati nella certificazione medica eventualmente esibita e acquisita dagli organi accertatori attestante una terapia farmacologica». «L’indicazione – prosegue la direttiva – potrà essere utile per consentire una più completa valutazione e interpretazione dei risultati degli accertamenti tossicologici di secondo livello». 

La precisazione fornita dalla circolare non può costituire una esenzione all’applicazione del nuovo articolo 187 del Codice della strada per i guidatori che assumono medicinali contenenti sostanze alteranti. Piuttosto, la circolare sembra suggerire che, in questo caso, si possa usare una qualche discrezionalità valutativa. Questo, però, rischia di portare a un’applicazione non uniforme dell’articolo 187.

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