Non è vero che il Codice della strada è rimasto quello del 1992

Da mesi Salvini difende la sua riforma dicendo che rinnova le regole ferme da oltre trent’anni. Ma le cose non stanno così
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Da mesi il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini ripete che il disegno di legge per la riforma del Codice della strada, presentato in Parlamento dal governo, è la prima riforma del codice dal 1992, ossia da quando è entrato in vigore. Ma questo non è vero: negli ultimi tre decenni, infatti, le regole sulla circolazione stradale sono state cambiate molte volte.

Il 15 novembre, ospite dell’assemblea nazionale di Federmanager a Roma, il segretario della Lega ha detto (min. 1:32) che il Codice della strada «da 31 anni aspettava di essere rinnovato». Lo stesso giorno il ministro ha ripetuto (min. 1:32) la stessa cosa durante un’assemblea di Assoimmobiliare. Già negli scorsi mesi Salvini ha fatto dichiarazioni simili: per esempio il 4 gennaio, durante una conferenza stampa a Trento, Salvini aveva annunciato che il governo avrebbe modificato il Codice della strada, dato che «dopo 30 anni una rivisitazione la merita». 

Il disegno di legge per la riforma del Codice della Strada è stato approvato in via definitiva dal governo lo scorso 18 settembre e al momento è all’esame della Commissione Trasporti alla Camera. Il percorso di approvazione della riforma sarà lungo: il testo dovrà essere approvato dalla Camera e dal Senato nella stessa versione e comunque non entrerà subito in vigore. Il testo delega infatti il governo a riformare alcune norme sulla circolazione stradale, tracciando i principi generali da seguire.

Come detto, non è vero che quella del governo Meloni è la prima vera riforma del Codice della strada dalla sua entrata in vigore. In base alle verifiche di Pagella Politica, dal 1992 a oggi sono stati approvati 150 provvedimenti di modifica del Codice della strada, oltre a 22 sentenze con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di alcune norme e 12 decreti ministeriali che hanno adeguato le tariffe delle sanzioni previste dal codice. E alcune norme su cui interviene la riforma voluta da Salvini sono già state modificate in passato.

La nuova riforma

Una delle novità principali riguarda l’aumento delle sanzioni per chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Al momento la pena può arrivare fino a 6 mila euro di multa e all’arresto da sei mesi a un anno se il tasso alcolemico è superiore a 1,5 grammi per litro. Lo stesso vale per chi guida sotto l’effetto di droghe. 

In passato altri governi sono già intervenuti su questa materia. Per esempio nel 2003 il secondo governo Berlusconi ha completamente riscritto con un decreto-legge sia l’articolo 186, che stabilisce le sanzioni per chi guida in stato di ebbrezza, sia l’articolo 187, che fissa le sanzioni per chi guida sotto l’effetto di droghe, e altre modifiche sono state fatte nel 2007 e nel 2010, durante il quarto governo Berlusconi. Per esempio nel 2010 è stato introdotto l’articolo 186-bis, che ha aggiunto una serie di divieti per conducenti di età inferiore a ventuno anni, per i neopatentati e per chi guida autobus o mezzi pesanti per il trasporto merci. 

La riforma del Codice della strada voluta da Salvini prevede poi l’inasprimento delle sanzioni per chi supera i limiti di velocità nei centri abitati, modificando l’articolo 142 del codice. In passato questo articolo è già stato modificato nel 2007 e nel 2010, sempre dal quarto governo Berlusconi. Altre modifiche contenute nella riforma del governo Meloni riguardano i limiti per la circolazione nei centri abitati, previsti all’articolo 7 del Codice della strada, già integrato e modificato a settembre 2020 con un decreto-legge del secondo governo Conte. Prima ancora l’articolo in questione era stato modificato a ottobre 2018, con un decreto-legge del primo governo Conte.

Trent’anni di cambiamenti

Al di là delle modifiche previste dal governo Meloni, dal 1992 a oggi vari governi sono intervenuti sul Codice della strada, introducendo novità significative rispetto alla versione originaria. 

A marzo 2001 il Parlamento ha approvato un disegno di legge delega di riforma del Codice della strada, che ha affidato all’allora secondo governo Amato il compito di rivedere la normativa di settore. A giugno dello stesso anno il governo Amato è caduto e in seguito alle elezioni politiche è stato sostituito dal secondo governo Berlusconi, che ha attuato a tutti gli effetti la legge delega e la riforma del Codice della strada. A gennaio 2002 il governo ha approvato un decreto legislativo che ha introdotto per la prima volta la patente a punti, nuovi limiti di velocità sulle autostrade e regole più stringenti per la guida di ciclomotori.
Immagine 1. L’articolo de La Stampa dopo il via libera al disegno di legge delega per la riforma del codice della strada del secondo governo Amato, 8 marzo 2001 – Fonte: Archivio storico La Stampa
Immagine 1. L’articolo de La Stampa dopo il via libera al disegno di legge delega per la riforma del codice della strada del secondo governo Amato, 8 marzo 2001 – Fonte: Archivio storico La Stampa
Dieci anni più tardi, nel 2011, il quarto governo Berlusconi ha approvato un decreto legislativo per attuare due direttive europee sulla patente di guida, rispettivamente del 2006 e del 2009, a cui l’Italia non si era ancora adeguata. Il provvedimento ha riformato le regole per gli esami di guida, le norme di validità, durata e revisione delle patenti, la circolazione con patenti rilasciate da Stati esteri, la conversione di patenti rilasciate da Stati dell’Unione europea, i documenti di circolazione e il regime di sospensione e revoca delle patenti e dei certificati di idoneità alla guida. 

Più di recente, anche il governo guidato da Mario Draghi, sostenuto dalla Lega, ha modificato alcune norme del Codice della strada. Con un decreto-legge approvato a novembre 2021, il governo Draghi ha esteso per esempio la validità del foglio rosa per chi sta conseguendo la patente da sei mesi a un anno e ha inasprito le sanzioni per gli automobilisti che abbandonano rifiuti per strada e per chi occupa gli spazi dedicati alla sosta delle persone disabili.

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