Se si potesse stilare una classifica precisa dei complotti globali, dal più misterioso e letale al meno importante, l’oscuro “signoraggio” occuperebbe certamente il primo posto. Un sottobosco impressionante di blog, siti web e personalità più o meno conosciute attacca il concetto del signoraggio come un metodo di arricchimento a favore di pochi privati a spese del resto della cittadinanza.



Le teorie alternative sul significato intrinseco del signoraggio abbondano, sono numerose e seguono tutte, più o meno, il filone logico rappresentato da questo sito: il diritto di emettere moneta beneficia pochi individui (gli azionisti delle banche centrali, tutti soggetti privati), che essenzialmente consegnano carta straccia (dal valore intrinseco determinato dai costi di produzione, un ammontare ridicolo di qualsiasi valuta si parli) allo Stato in cambio di interessi. I profitti ottenuti dalla Banca Centrale per l’emissione delle banconote sono quindi gli interessi guadagnati sul prestito meno i costi di produzione (praticamente nulli).



Esempio: una banconota da 100 “x”, la cui produzione (inchiostro, stampa) costi 3 centesimi di “x” e prestata allo Stato per un interesse del 2% frutterà alla Banca Centrale del Paese “y” (e quindi ai suoi malefici azionisti, tutte banche private) 2 – 0,03 = 1,97 “x”.



Lo Stato, per ripagare 102 “x”, dovrà tassare la cittadinanza ed indebitarsi sempre di più, costringendo i malcapitati cittadini a vivere una spirale senza fine di debito incontrollato ed in perenne aumento, oltre a tasse sempre più onerose, il tutto a beneficio di pochi singoli usurai.



Sono tanti i blog che denunciano questa pratica – sostanzialmente un processo irreversibile di schiavizzazione del popolo – e tanti sono anche i politici pronti ad appoggiare le loro teorie, come appunto Storace, o il discusso Scilipoti, protagonista di una variopinta battaglia contro il signoraggio “privatizzato” in compagnia dello scrittore Marra e della soubrette “finanziarizzata” Sara Tommasi.



Pure sciocchezze.



Una cosa giusta questa teoria – e di conseguenza Storace – la dice: ovvero che il signoraggio, effettivamente, è l’utile ottenuto dagli interessi sui titoli presi in contropartita alla moneta emessa, meno i costi operativi (quelli risibili per la produzione della carta o i costi del personale). Sbaglia però clamorosamente su due questioni essenziali:



1) gli utili da signoraggio sono intascati dalla Banca Centrale Europea (e quindi dalle banche nazionali che vi partecipano, e a cascata dalle banche private che compongono le quote delle rispettive banche nazionali e che, come dice Storace stesso nel video, “mangiano”);



2) la Banca Centrale Europea vende soldi e, conseguentemente, gli Stati si indebitano per coprire gli interessi sulle banconote che ricevono.



1) Falso, falso e falso. Se scorriamo innanzitutto lo Statuto della Banca Centrale Europea, articolo 33, è specificato chiaramente cosa può fare la Bce con i proventi da signoraggio, ovvero gli interessi attivi maturati dall’insieme di titoli detenuti in portafoglio:



“The net profit of the ECB shall be transferred in the following order” – gli utili della Bce saranno ripartiti secondo le seguenti modalità:



a) “an amount to be determined by the Governing Council, which may not exceed 20% of the net profit, shall be transferred to the general reserve fund subject to a limit equal to 100% of the capital” – il Consiglio Superiore determinerà l’ammontare degli utili da accantonare nel fondo di riserva, per una quota non superiore al 20% degli utili conseguiti e per un limite minimo del 100% del capitale;



b) “the remaining net profit shall be distributed to the shareholders of the ECB in proportion to their paid-up shares” – l’utile rimanente sarà distribuito ai partecipanti al capitale della Bce proporzionalmente alle quote detenute.



Questo vuol dire che, prendendo ad esempio la Relazione annuale 2011, i 728 milioni di euro di utile sono stati distribuiti equamente alle rispettive banche nazionali dell’Eurozona, dato che non si è verificato in quell’anno alcun accantonamento in riserva. La Banca d’Italia ha, quindi, ricevuto direttamente da Francoforte il 17,9% di quegli utili, percentuale corrispondente alla quota ricoperta da Palazzo Koch (1,3 miliardi di euro su un capitale totale di 7,5 miliardi di euro).



E cosa fa invece la Banca d’Italia dei suoi utili? Come viene ripartita l’attività monetaria della Bce, i cui utili sono trasferiti in Via Nazionale? Sorpresa: la stragrande parte degli utili d’esercizio, al netto di interessi passivi e spese operative (anche la Banca d’Italia ha un suo staff) va allo Stato, sotto forma di imposte. Basti vedere la Relazione di Bilancio per l’anno 2011, nella quale, a pagina 304, si potrà constatare come – dei 2,2 miliardi di euro – 1,1 siano stati pagati allo Stato come imposte sul reddito d’esercizio e sulle attività produttive, ovvero il 49% dell’utile d’esercizio va a rimpinguare le casse del tesoro. I 1,13 miliardi di euro che rimangono possono essere ripartiti, secondo lo Statuto (Artt. 38, 39 e 40) alle riserve ordinarie e straordinarie (per rispettive quote non superiori al 20% degli utili), oltre che ai partecipanti.



Ed è qui che arriviamo al nocciolo della questione: i complottisti affermano che basta guardare le quote del capitale sociale della Banca d’Italia, pubblica (a loro dire) solamente dal 2005, per vedere che questo è partecipato in maggior parte da banche private, che, in quanto azionisti, beneficiano degli utili di esercizio della Banca Centrale. Peccato però che la Banca d’Italia non sia una normale S.p.A., bensì una S.p.A. di diritto pubblico, il cui funzionamento è regolato dal decreto Regio del 12 marzo 1936 (Art. 20) e dalle più recenti modifiche della legge n.262 del 28 dicembre 2005 (Art.19). Secondo le disposizioni normative vigenti e lo Statuto (Art.3) dell’attuale banca, i “partecipanti” al capitale – e NON azionisti, giacché la Banca d’Italia non ha azioni – non possono vendere le proprie quote se non su proposta del Direttorio, e solo previo consenso del Consiglio Superiore. Quest’ultimo è diretto dal Governatore, nominato non dall’Assemblea dei Partecipanti, bensì tramite decreto del Presidente della Repubblica (Art. 19, comma 8 della legge n.262 del 2005) – cose che Storace dovrebbe sapere bene, dato che proprio quell’anno era ministro della Salute del terzo governo Berlusconi.



Insomma, non solo i “partecipanti” non hanno praticamente alcun potere, ma i dividendi che giungono loro tramite l’attività della Banca d’Italia sono una somma assolutamente ridicola. L’Articolo 36 dello Statuto specifica infatti che “ai partecipanti sono distribuiti dividendi per un importo fino al 6% del capitale”. Può essere distribuito, inoltre, ad integrazione del dividendo, “un ulteriore importo non superiore al 4% del capitale”. La Relazione annuale 2011, pagina 341, comunica lo spaventoso ammontare di questa distribuzione: 15.600 euro (sì, quindicimilaseicento euro), ovvero il 10% del capitale sociale di 156.000 euro. Una somma ridicola, 16.000 euro su un totale di 1,1 miliardo di utili al netto di imposte, distribuiti a più di 30 banche a seconda delle loro quote.



I partecipanti possono godere di un’integrazione dei loro utili proveniente dai frutti degli investimenti operati dalle somme in riserva, che secondo l’articolo 40 dello Statuto possono essere distribuiti per un ammontare del 4% del totale del capitale presente. Nel caso dell’esercizio 2011, si è trattato di un totale di 67 milioni di euro. Una somma comunque molto piccola, e, ricordiamo, distribuibile solamente su proposta del Consiglio Superiore ed a seguito dell’approvazione dell’Assemblea dei Partecipanti. Un evento, tra l’altro, assolutamente straordinario nella gestione della Banca.



2) Come specificato sopra, il 50% degli utili operativi della Banca d’Italia vanno allo Stato sotto forma di imposte. Inoltre, non è assolutamente vero che lo Stato si indebita per ottenere moneta. Sappiamo tutti, in tempi di spread, che quando lo Stato spende un po’ di più di quanto non riesca a guadagnare in tasse deve ricorrere al debito, organizzando aste pubbliche per emettere titoli (BOT, CCT, CTZ), i quali possono essere acquistati da banche, fondi pensione, fondi assicurativi. Il debito pubblico di uno Stato non è ASSOLUTAMENTE legato alla produzione di moneta. L’emissione di moneta non avviene mai, infatti, in contropartita di titoli acquistati sul mercato primario. Lo proibisce proprio l’articolo 104 del Trattato dell’Unione Europea, comma 1. La Bce agisce infatti unicamente sul mercato secondario, ovvero comprando titoli già in possesso di altri istituti (banche, fondi pensione, assicurazioni) e già emessi dallo Stato (recentemente si è spinta massicciamente su questo fronte, a supporto di Paesi come la Spagna o la stessa Italia). L’emissione di moneta non avviene MAI in concomitanza di più debito, perché non è concesso dalla legge.



Inoltre, se tutto questo fosse vero, e se la Bce intendesse lucrare sulla moneta emessa facendo indebitare gli Stati per più liquidità, dovrebbe incoraggiare più deficit, più spesa pubblica. Sembra, invece, che le ultime esternazioni di Draghi puntino proprio all’obiettivo opposto, ossia al contenimento dei deficit ed al mantenimento della politica di rigore sponsorizzata dall’attuale Fiscal Compact, contrariamente quindi alla logica di Storace.



Insomma, un disastro. Una Caporetto, una “Panzana pazzesca”.