Di Battista, come tutto il Movimento5 Stelle, è sempre stato ferocemente critico nei confronti della presenza di truppe italiane su suolo straniero. Contrario all’intervento in Libia, il vicepresidente alla Commissione Affari Esteri e Comunitari critica anche il costo della presenza italiana in Afghanistan – effettivamente, 1 milione di euro al giorno sono una bella cifra, e bisognerebbe vedere quanto ci sia di vero in questa notizia. Andiamo con ordine.
L’11 settembre, l’Afghanistan e le Nazioni Unite
Sono anni ormai che l’Italia è presente con personale militare sul territorio del Paese centro-asiatico. In seguito all’attacco terroristico di Al Qaida alle Torri Gemelle di New York e all’autorizzazione, da parte del Congresso americano, di procedere militarmente contro chi era ritenuto responsabile dell’attacco, gli Stati Uniti avviarono un’operazione militare in Afghanistan, governato all’epoca dal regime dei talebani e Paese ospite di Osama Bin Laden (leader dell’organizzazione responsabile degli attacchi dell’11 settembre).
Alle operazioni di invasione seguì la risoluzione no. 1378 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che affermava la volontà dell’Onu di sostenere la transizione di potere afghana ed il radicamento del nuovo apparato statale che andava a sostituire il pre-esistente regime talebano. Poco dopo, a cinque giorni da Natale, lo stesso Consiglio di Sicurezza approvava la nascita della International Security Assistance Force, missione internazionale volta ad assistere le costituende forze di sicurezza afghane nel mantenimento e controllo del territorio.
L’Afghanistan e l’Italia
La missione, passata sotto il comando della Nato nell’agosto del 2003, ha visto la partecipazione di numerosi Paesi tra cui l’Italia. Il parlamento italiano autorizzò la partecipazione delle nostre truppe alla coalizione internazionale che si stava costituendo il primo dicembre 2001. L’Italia ha mantenuto truppe di supporto nel Paese centro-asiatico fino alla fine della missione, terminata il 31 dicembre 2014.
Dal primo gennaio di quest’anno infatti, la precedente missione è stata sostituita, come specifica il Ministero della Difesa, da “Resolute Support” (RS). La presenza dei militari italiani all’interno di questa missione si differenzia dalla precedente dal suo carattere specificamente “no combat”, come dice il Ministero, volta “all’addestramento, alla consulenza ed assistenza in favore delle Forze Armate (Afghan National Security Forces – ANSF) e le Istituzioni afgane”.
Allo stesso tempo procede il lavoro di Eupol, missione stabilita dall’Unione Europea nel 2007 finalizzata all’addestramento delle forze di polizia afghane e a compiti di consulenza nei confronti del Ministero dell’Interno di Kabul.
Quanto costerà nel 2015?
Un sacco di soldi, ma sembra meno di quanto dica Di Battista. Il decreto legge n.7 del 18 febbraio di quest’anno (per il prolungamento delle missioni Resolute Support e Eupol) prevede lo stanziamento – per il periodo che va dal primo gennaio al 30 settembre 2015 – di 126,4 milioni di euro, oltre ad un contributo di altri 120 milioni di euro a favore delle forze di sicurezza e di polizia afghane per tutto il 2015.
Insomma: 126,4 milioni di euro diviso 272 – che sono i giorni che trascorrono tra il primo gennaio ed il 30 settembre (attenendoci unicamente al contributo italiano alla missione di sicurezza in Afghanistan) – fa la bellezza di 464 mila euro al giorno. Una bella cifra, ma la metà di quanto citato da Di Battista. Se a questo ammontare sommiamo il contributo di 120 milioni di euro destinate alle forze di sicurezza afghane (altro rispetto al mantenimento della presenza militare sul territorio del Paese centro-asiatico), spalmandolo su tutto l’anno, otteniamo la spesa di 329 mila euro al giorno. Ribadiamo che quest’ultimo si tratta di un tributo ad un Paese e ad un governo “alleato” e non il finanziamento di una operazione di guerra. Inoltre, volendo scendere nello specifico, la missione cui si trova a partecipare attualmente l’Italia è, come specificato prima, di carattere “no combat” e difficilmente quindi può essere caratterizzata come operazione “di guerra”. “Nì”.