Il sostegno finanziario ai Paesi vittime della crisi del debito sovrano: sin da quando è iniziata la politica di sostegno finanziario prima alla Grecia, poi all’Irlanda ed il Portogallo, ed in ultimo alle banche spagnole ed a Cipro, l’Italia si è sempre trovata in prima linea in quanto terza economia dell’Eurozona. I fondi europei di intervento sono tra l’altro cambiati nel corso degli anni, passando dal veicolo temporaneo della European Financial Stability Facility (Efsf) – che ha erogato prestiti a Grecia, Irlanda e Portogallo per un totale di 188,3 miliardi di euro (dei quali l’Italia ha partecipato con 36,2 miliardi) – all’attuale European Stability Mechanism, che ha assorbito lo staff dell’Efsf e che si è invece incaricato dei prestiti alle banche spagnole e a Cipro (un totale di 45,9 miliardi di euro). Il contributo dell’Italia per quest’ultimo fondo ammonta al momento a 14,3 miliardi di “paid-in capital” (soldi già dati), ovvero il 17,9% del capitale del fondo. La terza quota in ordine di importanza.
In aggiunta ai 10 miliardi sborsati dall’Italia sotto forma di accordo bilaterale con la Grecia, prima ancora che fosse istituito il primo fondo Efsf nel 2010, il totale del contributo di Roma ai Paesi colpiti dalla crisi del debito sovrano supera i 50 miliardi di euro, come riportato a pagina 3 del bollettino statistico della Banca d’Italia su Finanza Pubblica, Fabbisogno e Debito (dicembre 2013).
Ma tutti questi soldi sono veramente da aggiungere al debito pubblico? La risposta è Nì.
Per quanto riguarda i prestiti effettuati dal primo fondo europeo (Efsf), l’agenzia statistica europea (Eurostat) aveva provveduto a diffondere un comunicato (aprile 2012) in cui si annunciava che, visti mancare i requisiti che potrebbero qualificare il fondo come istituzione internazionale (come lo è, per esempio, l’Fmi), tutti i prestiti erogati da quest’ultimo erano da ritenersi inseriti nei conti economici degli Stati membri. Questi ultimi, in particolare, prestano garanzie sui fondi erogati che, in ultimo, vanno a sommarsi al debito pubblico già esistente.
Diverso è invece il ragionamento per l’Esm, che secondo Eurostat soddisfaceva i criteri base per essere considerato come organizzazione internazionale a tutti gli effetti (istituzione di base permanente con trattato costitutivo e capitale sottoscritto molto ingente – fino a 700 miliardi di euro – struttura di governance, capacità di acquisto di titoli di Stato sui mercati primario e secondario). Secondo la stessa nota Eurostat, i prestiti futuri dell’Esm (e quindi la sua capitalizzazione) non avrebbero dovuto incidere sull’indebitamento netto dello Stato, come confermato anche da questo articolo de Il Sole 24 Ore del marzo del 2012.
La decisione finale dell’Eurostat è in seguito sopraggiunta nel gennaio del 2013, e specificava chiaramente come operazioni di indebitamento effettuate dallo stesso fondo e capitalizzazioni dell’esm da parte degli Stati membri dell’Eurozona non avrebbero avuto impatto sul deficit e quindi sul debito pubblico, a differenza di quanto avveniva in precedenza.
Un’unica sottigliezza è, però, necessario aggiungere a favore del premier Matteo Renzi. A leggere bene il citato articolo de Il Sole 24 Ore, infatti, si nota che: “La quota dell’Italia relativamente al capitale versato dell’Esm per il 2012, pari a 5,7 miliardi, non è computata nel limite massimo di emissione di titoli di Stato stabilito dalla legge di approvazione del bilancio e nel livello massimo del ricorso al mercato stabilito dalla legge di stabilità”. Insomma, le capitalizzazioni dell’Esm possono essere conteggiate nel debito pubblico nel caso in cui, per versarle, lo Stato debba superare il limite massimo di emissione di titoli previsti a bilancio per quell’anno. E’, tuttavia, un meccanismo completamente diverso da quello dell’Efsf ed è fuorviante creare un collegamento diretto tra il nuovo fondo e l’aumento del debito degli Stati che ne fanno parte in seguito ai prestiti internazionali, proprio in virtú di quanto stabilito dai comunicati Eurostat e deciso dalla Commissione.
Concludendo, ci pare una forzatura veramente un po’ esagerata, buona per le televisioni, che vale un “Ní”.