Il 18 febbraio a Ozieri (Sassari), in una tappa del suo tour elettorale in Sardegna in vista delle elezioni regionali del 24 febbraio prossimo, Matteo Salvini ha difeso i provvedimenti del governo in tema di pensioni.
Secondo il ministro dell’Interno, smontando «mattone per mattone» la riforma Fornero, «adesso un milione di persone andranno in pensione e al loro posto entreranno i giovani». Il riferimento del leader della Lega è alla cosiddetta “quota 100”, che – sulla base di alcuni criteri e vincoli specifici – consentirà di andare in pensione a chi ha 62 anni e 38 anni di contributi.
Ma i beneficiari sono davvero un milione? E si creeranno altrettanti posti di lavoro? Abbiamo verificato.
Che cos’è quota 100?
Quota 100 è uno dei provvedimenti bandiera dell’esecutivo Lega-M5s. Oltre a essere presente nel Contratto di governo, era contenuto anche in entrambi i programmi dei due partiti per l’ultima campagna elettorale delle politiche del 2018.
La misura è stata finanziata a dicembre dello scorso anno con la legge di Bilancio per il 2019, che ha introdotto (art. 1, comma 256) una dotazione di circa 3,9 miliardi di euro per quest’anno (8,3 per il 2020 e 8,6 per il 2021) «al fine di dare attuazione a interventi in materia pensionistica finalizzati all’introduzione di ulteriori modalità di pensionamento anticipato e misure per incentivare l’assunzione di lavoratori giovani».
Gli aspetti specifici di “quota 100” sono invece stati stabiliti all’inizio dell’anno, con il decreto legge n. 4 del 28 gennaio 2019 (art. 14).
Con questi interventi legislativi, per i prossimi tre anni – e in via sperimentale – potranno andare in pensione anticipata i cittadini con almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi. Rispetto alla normativa vigente, vengono quindi ridotti i criteri di accesso alla pensione di anzianità: in base alla riforma Fornero del 2011, per il 2019 gli anni minimi per andare in pensione erano circa 67.
In realtà, negli ultimi anni in Italia chi ha iniziato a lavorare a 16 o 18 anni ha raggiunto i requisiti per il pensionamento ben prima del limite anagrafico posto per legge. A luglio 2017, l’allora presidente dell’Inps Tito Boeri aveva sottolineato come l’età di pensionamento effettiva nel nostro Paese fosse appena sopra ai 62 anni – sotto la media degli Stati dell’Ocse – con uno scarto di oltre quattro anni rispetto a quanto previsto dalla normativa sulle pensioni di vecchiaia.
Quanti sono i beneficiari?
A febbraio 2019, il Servizio del Bilancio del Senato ha pubblicato una relazione tecnica sul decreto legge 4/2019, in cui, tra le altre cose, viene indicato il numero di chi potrà andare in pensione prima grazie al provvedimento del governo Conte.
Come si legge nel documento, «si può presumere che la platea di potenziali beneficiari ab initio ammonti a circa 365.000 persone, l’80 per cento circa dei quali decide di accedere già nel primo anno al trattamento pensionistico».
Secondo le previsioni del Senato, quindi, i beneficiari di “quota 100” per il 2019 potrebbero essere circa 290 mila, un terzo di quanto stimato da Salvini.
L’ex presidente dell’Inps Tito Boeri, in un’audizione alla Presidenza del Senato del 4 febbraio, ha invece stimato circa 650 mila beneficiari di “quota 100” per il triennio 2019-2021, una cifra anche in questo caso più bassa di quella indicata dal leader della Lega. A essere “premiati” saranno soprattutto lavoratori maschi del Nord Italia, con carriere contributive piene e dipendenti pubblici.
Al 18 febbraio 2019, le domande inviate all’Inps per usufruire di quota 100 sono state circa 53 mila, di cui circa 40 mila provenienti da uomini.
Quanto costa quota 100?
Il provvedimento, secondo il Servizio di bilancio del Senato, avrà un costo di oltre 20 miliardi di euro per i prossimi tre anni, e di circa 46 miliardi di euro in dieci anni.
Chi va in pensione anticipata prenderà una pensione più bassa, perché avrà versato meno anni di contributi rispetto all’età di pensionamento prevista. Ma percepirà una pensione per più anni, pesando maggiormente sulle casse dello Stato.
Come spiega Boeri, «il grosso del costo di “quota 100” graverà comunque sulle generazioni future». Nel caso in cui “quota 100” non fosse rinnovata al termine del periodo di sperimentazione, «l’aumento del debito implicito sarebbe di circa 38 miliardi. Se queste misure, invece, diventassero strutturali, l’aumento lieviterebbe a più di 90 miliardi».
Ci sarà un milione di posti di lavoro in più per i giovani?
I favorevoli di quota 100 sostengono che questa misura – e il suo costo – è giustificata perché, tra le altre cose, aumenterebbe la flessibilità in uscita dal mercato del lavoro. In sostanza, come mostra anche la dichiarazione di Salvini, se una persona va in pensione, ci sarebbe la possibilità immediata per un giovane lavoratore di sostituirlo.
In realtà, basta vedere chi ad oggi ha fatto domanda per accedere a quota 100 per scoprire che molte richieste vengono da «persone non occupate», che quindi non libererebbero alcun impegno lavorativo.
Oltre a questo, il problema è che, secondo la maggioranza degli economisti, non è comunque vero che abbassare l’età pensionabile crea posti di lavoro per i giovani, per almeno tre motivi – riassunti da un focus dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) pubblicato ad agosto 2016.
La prima ragione è che le forze di lavoro di diversa età non sono omogenee per capacità e vocazioni: le diverse generazioni sono complementari – più che sostituibili – all’interno degli organici.
Secondo Francesco Seghezzi (direttore della fondazione Adapt, l’Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali), «il mercato del lavoro è in costante evoluzione. È difficile pensare, ad esempio, che un tornitore entrato nel mercato negli anni ’80 possa essere oggi sostituito da un giovane: sono cambiate le tecnologie, magari il suo posto di lavoro verrà occupato da una macchina, oppure potrebbero essere diverse le commesse dell’azienda e quindi le esigenze occupazionali».
Il secondo motivo è che una spesa più alta per le pensioni si potrebbe tradurre «in maggiori imposte e/o contributi obbligatori, con effetti distorsivi sia sul lato dell’offerta di lavoro sia sul lato della domanda». In sostanza, abbassare l’età pensionabile aumenterebbe le tasse pagate da ogni occupato – inclusi i giovani – o un aumento del costo del lavoro, con una conseguente crescita della disoccupazione.
Infine, sottolinea l’Upb, se la spesa pubblica per il welfare fosse sbilanciata eccessivamente sulle pensioni – a causa di politiche di pensionamento anticipata – mancherebbe «di sufficienti risorse da dedicare agli altri istituti di welfare», come le politiche attive e passive del lavoro, la conciliazione vita-lavoro, le politiche per la famiglia e le non autosufficienze e la formazione.
Come già avvenuto in passato per la “staffetta generazionale” proposta dal governo Letta nel 2013, gli economisti sono in maggioranza concordi nel sostenere che non c’è un legame causale diretto e chiaro tra l’abbassamento dell’età pensionabile e l’aumento dell’occupazione giovanile. Secondo alcuni, potrebbe esserci un effetto positivo nel breve periodo; secondo altri nemmeno questo.
Il verdetto
Matteo Salvini ha dichiarato che grazie alle politiche economiche del governo sulla previdenza sociale, «adesso un milione di persone andranno in pensione e al loro posto entreranno i giovani».
Il ministro dell’Interno però sovrastima di tre volte il numero di beneficiari del provvedimento “quota 100”, previsto in circa 290 mila individui per il 2019 dal Servizio di Bilancio del Senato e in circa 650 mila (tra il 2019 e il 2021) dall’ex presidente dell’Inps Boeri.
In secondo luogo, e contrariamente a un diffuso luogo comune, nel mercato del lavoro non esiste un automatismo per cui ogni persona che va in pensione lascia libero un posto di lavoro per un giovane. Infine, secondo alcuni economisti, la sostenibilità del sistema pensionistico potrebbe essere finanziata anche con un aumento del costo del lavoro, che potrebbe avere l’effetto di aumentare la disoccupazione. In conclusione, Salvini merita un “Pinocchio andante”.
«Le agenzie di rating per la prima volta, due agenzie di rating, per la prima volta hanno rivisto in positivo le stime sull’Italia. Dal 1989 questa cosa è accaduta tre volte in Italia»
30 ottobre 2024
Fonte:
Porta a Porta – Rai 1