Il 21 giugno 2020, ospite a Mezz’ora in più su Rai Tre, il leader di Azione Carlo Calenda, nel corso di una conversazione sulla pubblica istruzione italiana, ha dichiarato (min. -38:30) che l’Italia è «il Paese più ignorante d’Europa», aggiungendo poi, che questa condizione è «misurata» .
Non è la prima volta che Calenda rilascia esternazioni di questo tipo. Già il 27 luglio 2019, per esempio, il leader di Azione aveva scritto su Twitter: «Dobbiamo convincere gli italiani che essere il paese più ignorante tra i grandi paesi europei è la prima vera emergenza nazionale che pregiudica il futuro loro e dei loro figli».
Ma è vero che l’Italia è lo Stato «più ignorante» nel continente europeo? Dal momento che il concetto di “ignoranza” è abbastanza vago e sfumato, abbiamo verificato alcuni indicatori per vedere se Calenda ha ragione o meno.
La percezione distorta della realtà
Negli ultimi anni, diverse testate giornalistiche, fra cui ad esempio Il Sole 24 Ore e The Post Internazionale, hanno dato la notizia che l’Italia fosse «il Paese più ignorante d’Europa», citando come fonte un’indagine che ha lo scopo di quantificare l’ignoranza di vari Stati. In che modo?
L’indagine in questione si chiama The perils of perception 2017, è stata condotta da Ipsos su un campione di 30.000 individui provenienti da 38 diversi Paesi e studia il livello di coerenza tra la percezione soggettiva di determinati aspetti complessi della società e la realtà dei fatti descritta in numeri.
Ai partecipanti sono stati sottoposti 17 quesiti relativi a 14 grandi temi che riguardano il loro Paese di provenienza (fra cui figurano ad esempio il tasso di suicidi, il tasso di omicidi, l’incidenza di attentati terroristici, il numero di veicoli per persona, l’utilizzo dei profili social e via dicendo), le loro risposte sono poi state confrontate con i dati reali forniti dagli istituti di statistica dei singoli Stati.
Il risultato dell’inchiesta è una graduatoria dei Paesi analizzati: in cima ci sono le nazionalità dei partecipanti che hanno dato risposte più vicine alla realtà, scendendo la classifica si trovano, invece, le nazionalità dei partecipanti cui risposte si allontanano maggiormente dalle statistiche reali. Insomma, i partecipanti appartenenti alle nazionalità che si trovano in fondo sono quelli che hanno una percezione più distorta della realtà.
I partecipanti italiani risultano i peggiori fra gli intervistati di 15 Stati membri dell’Unione Europea. Nella classifica generale l’Italia, infatti, si classifica ventisettesima su 38, mentre le prime tre posizioni se le aggiudicano Svezia, Norvegia e Danimarca.
Nelle due edizioni successive della stessa indagine, che fanno riferimento al 2018 e al 2020, l’Italia ha ottenuto posizionamenti migliori all’interno delle graduatorie, risultando rispettivamente ventesima su 37 Paesi analizzati nel 2018, e venticinquesima su 32 Stati esaminati nel 2020.In nessuno di questi due casi, inoltre, l’Italia figura come ultima tra i Paesi membri Ue presenti nella classifica. Il campione di domande era, però, più ristretto nel 2018 (7 macrotemi, 13 quesiti), mentre lo studio del 2020 è settoriale, in quanto le domande riguardano solo le principali cause di morte nei vari Paesi di appartenenza dei partecipanti. Il rapporto del 2017 risulta, quindi, il più vasto fra quelli pubblicati negli ultimi anni da Ipsos Mori, anche se non l’unico né il più recente.
Una delle possibili cause della diffusa percezione distorta della realtà in un Paese potrebbe essere individuata nel tasso di analfabetismo funzionale presente sul territorio, come già fatto in passato dallo stesso Calenda.
L’analfabetismo funzionale in Italia e in Europa
L’analfabetismo funzionale viene definito dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) come l’incapacità di un soggetto di «prendere parte in tutte quelle attività in cui è richiesta l’alfabetizzazione per il funzionamento efficace del proprio gruppo o della propria comunità».
Secondo quanto affermato dall’ultimo rapporto Ocse-Piaac Skills matter – Further results from the Survey of Adult Skills (relativo al 2016), sulle competenze linguistiche e matematiche di calcolo degli individui provenienti dai 57 Stati membri dell’Ocse, il 27,7 per cento degli italiani fra i 16 e i 65 anni aveva il livello più basso di competenza linguistica – ovvero la minima capacità di analizzare correttamente testi scritti nella propria lingua – mentre la media degli altri Paesi esaminati era del 15,5 per cento.
Nel novembre 2016, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (Isfol) ha rielaborato i dati Ocse-Piaac. Secondo questo report, nel 2016 l’Italia occupava l’ultimo posto, alle spalle di Grecia e Spagna, fra i 19 Stati europei analizzati, in termini di “literacy proficiency”, cioè «l’interesse, l’attitudine e l’abilità degli individui ad utilizzare in modo appropriato gli strumenti socio-culturali, per accedere a, gestire, integrare e valutare informazioni, costruire nuove conoscenze e comunicare con gli altri, al fine di partecipare più efficacemente alla vita sociale».
L’analfabetismo funzionale è, spesso, conseguenza di un basso livello di istruzione. E proprio il livello di istruzione è un altro parametro utile per valutare il grado di ignoranza (e di cultura) di un Paese.
Il livello di istruzione in Italia e in Europa
In un fact-checking precedente, sempre riferito ad una dichiarazione del leader di Azione, avevamo già analizzato i dati riguardanti l’istruzione terziaria in Italia rispetto al resto d’Europa. Tornando alle parole pronunciate da Calenda, infatti, con il termine “ignoranza” si intende normalmente la condizione di chi è privo di istruzione.
Attenendoci a questa definizione, osserviamo che cosa ci rivelano gli ultimi dati pubblicati da Eurostat, relativi al 2019, riguardo il livello d’istruzione degli italiani rispetto a quello degli abitanti degli altri Stati membri dell’Ue (i dati si riferiscono alla popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni di età).
Se si considera l’istruzione secondaria superiore (licei, istituti tecnici, corsi professionali) nel 2019 in Italia la percentuale di diplomati era del 42,8 per cento, un dato vicino al 45,6 per cento della media dei 28 Paesi dell’Ue (il Regno Unito era ancora Stato membro nel 2019). Questa statistica pone l’Italia al diciassettesimo posto in Europa, alle spalle di Francia (sedicesima con il 42,9 per cento) e Germania (ottava con il 54,5 per cento). In prima posizione c’è la Repubblica Ceca con il 66,1 per cento.
La situazione, però, peggiora quando si analizzano le statistiche riguardanti gli individui in possesso di una formazione universitaria.
Infatti, nel 2019 la percentuale media Ue di laureati, di età compresa fra i 25 e i 64 anni, tocca il 33,2 per cento, mentre in Italia è solo del 19,6 per cento, la seconda più bassa in Europa, alle spalle della Romania (18,4 per cento). Le posizioni più alte di questa particolare classifica sono occupate dall’Irlanda (47,3 per cento), dal Lussemburgo (47 per cento) e dalla Finlandia (46 per cento).
Il verdetto
Carlo Calenda ha dichiarato che l’Italia è «il Paese più ignorante d’Europa».
Premesso che l’ignoranza è un concetto vago, quindi non facile da misurare, abbiamo fatto riferimento a tre ambiti: la percezione della realtà, l’analfabetismo funzionale e i livelli di istruzione.
L’indagine condotta da Ipsos nel 2017 The perils of perceptions relega l’Italia all’ultimo posto fra i 15 Paesi europei partecipanti, per quanto riguarda la distanza tra percezione soggettiva della realtà e l’oggettività dei fatti presentati sotto forma di dati numerici.
Inoltre, secondo il rapporto Ocse-Piaac Skills matter – Further results from the Survey of Adult Skills, l’Italia, nel 2016, aveva una percentuale di individui con il minimo livello di competenze linguistiche (27,7 per cento) decisamente superiore alla media degli altri Stati analizzati (15,5 per cento). Ulteriori rielaborazioni di questi dati, prodotte dall’Isfol, mostravano come il nostro tasso di analfabetismo funzionale fosse il peggiore fra i 19 Stati membri dell’Ue presi in esame.
Infine, secondo i dati pubblicati da Eurostat nel 2019, l’Italia è il secondo Paese europeo, dopo la Romania (18,4 per cento) con la più bassa percentuale di laureati. Il 19,6 per cento, contro una media europea del 33,2 per cento.
Dunque, le due classifiche in cui l’Italia si piazza come ultima in Europa non comprendono tutti i 28 Paesi Ue. Mentre i dati Eurostat sull’istruzione universitaria, che fanno riferimento a tutti gli Stati membri dell’Unione, vedono gli italiani al penultimo posto.
In conclusione, secondo i parametri selezionati, Calenda si merita un “C’eri quasi”.
«Le agenzie di rating per la prima volta, due agenzie di rating, per la prima volta hanno rivisto in positivo le stime sull’Italia. Dal 1989 questa cosa è accaduta tre volte in Italia»
30 ottobre 2024
Fonte:
Porta a Porta – Rai 1