Come si misura la competitività di un Paese?


La definizione stessa di competitività è complessa, e la sua misurazione richiede l’analisi di molteplici fattori che si ipotizzano possano impattare sulla performance di uno Stato e quindi dei suoi attori economici, tra cui l’industria. Premesso questo, per analizzare la dichiarazione di Monti abbiamo ritenuto opportuno prendere come riferimento alcuni dei principali indicatori utilizzati a livello internazionale i quali, essendo stati calcolati con la stessa metodologia nel corso del tempo, permettono un’effettiva comparazione tra diversi anni. Inoltre abbiamo pensato di citare alcuni studi riportati dall’Unione Europea e dal Ministero dell’Economia e della Finanza. Vediamo un po’ cosa dicono i dati. 


Il World Economic Forum è sicuramente uno dei riferimenti chiave in materia di competitività, grazie al suo Global Competitiveness Index (GCI). Il GCI ogni anno misura “il livello di competitività dei 144 Paesi tenuti sotto osservazione attraverso un indice che considera 12 fattori di tipo economico/istituzionale”.  Tali fattori “coprono tutte le fasi di sviluppo di un Paese (dalle economie guidate dall’abbondanza di fattori di produzione come il Bangladesh, a società che basano la propria crescita spingendo sull’innovazione come la Svizzera)”: si veda la nostra analisi qui per maggiori dettagli.


Così per verificare le parole di Monti siamo andati a rivedere i piazzamenti dell’Italia negli ultimi anni, ottenendo così un quadro piuttosto stabile (e poco felice) per il nostro Paese:



I dati mostrano una situazione stabile – nel corso degli ultimi 5 anni – che lascia intravedere alcuni deboli segnali di recupero solo negli ultimi due anni, con il recupero di 5/6 posizioni. Tuttavia restiamo fuori dalla top 40, e siamo il Paese del G7 con il peggiore piazziamento. 


Inoltre, al di là della classifica riassuntiva, a pagina 24 del report  – in un box dal titolo “Crisi del debito sovrano, disequilibri macroeconomici e mancanza di competitività nel Sud Europa”  – si legge come il GCI tenga presente i problemi della competitività italiana, in quanto “nonostate le origini di queste crisi siano diverse [crisi in corso in Grecia, Spagna, Italia e Portogallo] c’è una caratteristica condivisa da tutte queste economie: la persistente mancanza di competitività e, quindi, la loro incapacità a mantenere alti i livelli di prosperità [tradotto dall’inglese: Although the origins of these crises are diverse, one shared feature at the heart of the current situation in all these economies is their persistent lack of competitiveness and, therefore, their inability to maintain high levels of prosperity].



 


Continuando a pag. 26, con un riferimento più specifico all’Italia, il rapporto del WEF sottolinea che la performance della competitività italiana continua ad essere compromessa da alcune debolezze strutturale della sua economia, tra cui la rigidità del mercato del lavoro, il debolo sviluppo dei mercati finanziari e l’alto livello di corruzione e criminalità organizzata.


In seguito allo studio del GCI (e dato l’iniziale riferimento all’industria italiana) siamo andati a vedere non solo la competitività del sistema Paese fin qui presentata, ma anche quella del sistema manufatturiero, misurata dal Global Manufacturing Competitiveness Index (Gmci), presentato da Deloitte. La ricerca si basa su una serie di interviste condotte sugli “executive” di un campione selezionato di aziende in 38 Paesi. I risultati non sono molto più incoraggianti. Se si parla di competitività nel 2013, l’Italia ottiene un punteggio di 3.75 su 10, e un 32esimo posto su 38; è invece 34esima se si guarda alla competitività nel prossimo futuro, dove ottiene 3.45 punti su 10. Situazione ancor meno incoraggiante nel 2010, immediatamente post-crisi, in cui l’Italia si era classificata 21esima (ma su 26) con appena 2.42 punti percentuali.


Infine abbiamo recuperato il report “European competitiveness 2012“, redatto dall’Unione Europea e che delinea la situazione in termini di competitività dell’Ue e dei suoi singoli Stati membri. Ll’Italia – si legge – “ha mostrato una bassa performance in termini di crescita, principalmente a causa della bassa crescita della produttività” [tradotto dall’inglese: Finally, Portugal and Italy show a remarkably weak  growth performance, mostly because of low productivity growth]. Allo stesso modo, l’analisi della quota di esportazioni nell’Unione Europea evidenzia come “l’Italia e il Regno Unito stiano perdendo quote di mercato relativamente più velocemente rispetto ad altre nazioni Ue” [tradotto dall’inglese: “Some other long-term trends are also apparent: Italy and the UK are losing market share relatively faster than other EU countries […]]. Se a questo si aggiunge il basso posizionamento ottenuto all’interno della classifica Doing Business – che valuta la facilità di fare impresa nelle singole nazioni – la situazione non si può certo definire rosea (ricopriamo la 73esima posizione nel 2012, collocandoci penultimi, prima della Grecia tra i Paesi Oecd).


 


Insomma, nel panorama internazionale non siamo certamente considerati un esempio di “Paese competitivo” e in più casi le principali classifiche pubblicate ci collocano in posizioni più basse rispetto a quelle delle principali economie europee, con le quali ci confrontiamo a livello economico e politico. Tuttavia, non si può neanche dire che ci sia stata un’erosione della competitività, ma piuttosto una sua stagnazione: l’Italia non peggiora, ma neppure cresce, e si mantiene in fondo alla classifica! Monti ci prende, identificando nella competitività il nostro tallone di Achille, ma forse parlare di erosione è un po’ esagerato: C’eri quasi!