Novello Giacinto Auriti, Francesco Storace – candidato a governatore del Lazio per il centrodestra – si lancia contro i poteri forti con una tripletta da brividi: a) l’Unione Europea non è un super Stato, ma un’insieme di Stati ancora sovrani; b) la politica monetaria viene decisa a livello centrale dalla Banca Centrale Europea e non dagli Stati membri; c) la Bce e le banche centrali del Sebc sono private. Storace torna, quindi, sul luogo del misfatto, dopo essersi già cimentato, senza troppa fortuna, su signoraggio e dintorni… Andiamo a verificare insieme se il suo ragionamento ha valore corrente o se è miseramente “fuori corso”.


L’Unione Europea non è un super Stato? Vero…


Come dice il nome stesso, l’Unione Europea è un’unione di Stati, “un partenariato economico e politico, unico nel suo genere, tra 27 Paesi che coprono buona parte del continente”. Benchè la responsabilità della formulazione e dell’attuazione di molte politiche sia stata progressivamente devoluta alle istituzioni che presiedono il governo dell’Ue (Consiglio, Commissione e Parlamento), gli Stati membri restano, di fatto, soggetti sovrani in tutta una serie di ambiti fondamentali, quali la politica estera, la politica di difesa, la politica fiscale e la politica economica. Senza contare che il ruolo dei parlamenti e dei governi nazionali è spesso ancora fondamentale per il recepimento della legislazione europea all’interno dei singoli ordinamenti nazionali.


La politica monetaria viene decisa a livello centrale dalla Bce? Vero…


La funzione principale della Banca Centrale Europea, oltre quella di emettere moneta, è di garantire la stabilità monetaria. Per stabilità monetaria si vuole indicare un contenimento dell’inflazione poco al di sotto del 2% annuo. Ricordiamo che per inflazione si intende l’erosione del potere d’acquisto della moneta, dovuto al fisiologico aumento dei prezzi dei beni e dei servizi, quindi, in ultima istanza, a un impoverimento delle persone (a parità di condizioni, ovviamente). Al fine di perseguire la stabilità monetaria, viene attuata la cosiddetta politica monetaria, che consiste essenzialmente nella manipolazione della quantità di moneta presente nel sistema economico (base monetaria) e nell’aggiustamento del tasso d’interesse a breve. Queste funzioni vengono espletate tramite tre strumenti principali: operazioni di mercato aperto, operazioni su iniziativa delle controparti per la gestione giornaliera della liquidità e modifiche del coefficiente di riserva obbligatorio delle banche. Tutto ciò avviene  perchè la Bce ha ereditato dalle banche centrali dei Paesi dell’Eurozona (i Paesi che aderiscono all’euro), il monopolio dell’emissione di moneta e la facoltà di stabilire il tasso d’interesse con cui presta denaro al sistema bancario per facilitarne il funzionamento giorno per giorno. Attenzione: il Sistema Europeo delle Banche Centrali (Sebc) comprende la Banca Centrale Europea e le banche centrali nazionali dei 27 Stati membri dell’Ue a prescindere dall’adozione della moneta unica; solo i governatori delle banche centrali dei Paesi appartenenti all’Eurozona, però, prendono parte al processo decisionale e attuativo della politica monetaria della Bce. Le banche centrali dei Paesi che non adottano l’euro (come il Regno Unito) conducono invece una politica monetaria nazionale autonoma.


La Bce e le banche centrali del Sebc sono private? Panzana Pazzesca…


Una moderna banca centrale dovrebbe essere indipendente (dal punto di vista gestionale) e pubblica (dal punto di vista patrimoniale). La Banca Centrale Europea, modellata sull’esempio della Bundesbank tedesca, rispecchia pienamente questo modello, non essendo infatti un ente privato, ma piuttosto un ente indipendente dal governo. Dal punto di vista dell’assetto gestionale, infatti, particolare rilievo assumono i meccanismi di nomina, la composizione degli organi, la durata e la rinnovabilità degli incarichi, i poteri decisionali e quelli ispettivi. Come accennato, il modello più noto di banca centrale indipendente, che ha ispirato la struttura ed il funzionamento della Bce e del Sebc, è quello della Bundesbank tedesca, nel quale il potere esecutivo non ha il potere di ratificare o di invalidare le decisioni prese dalla banca centrale.


Il capitale della Bce – che dal 2010 ammonta a circa 10,76 miliardi di euro – inoltre, non è posseduto da soggetti privati, ma sottoscritto dalle banche centrali nazionali (bcn) di tutti gli Stati membri dell’Ue, sia quelli che aderiscono all’Eurozona sia quelli che non ne fanno parte. Le quote di partecipazione delle bcn al capitale della Bce sono ponderate, cioè calcolate in base al peso demografico del rispettivo Stato membro e al suo Prodotto Interno Lordo all’interno dell’Ue: due determinanti che incidono in pari misura. Sulla base dei dati forniti dalla Commissione europea, la Bce adegua i coefficienti di ponderazione con cadenza quinquennale e ogni volta che un nuovo Paese entra a far parte dell’Ue. Quindi, nonostante il capitale sociale della Bce non sia detenuto direttamente dagli Stati membri, ma dalle rispettive banche centrali, non si può certamente sostenere che la Bce, in quanto tale, sia un ente privato. Indipendente sì, privato no.


Per quanto riguarda le bcn che fanno parte del Sebc, il loro assetto gestionale, in ossequio alla normativa europea, le rende indipendenti dal governo e il loro assetto proprietario – stabilito dai singoli Paesi membri – è generalmente pubblico, nel senso che il loro capitale sociale è di proprietà pubblica. Due esempi su tutti: Austria e Regno Unito. Nel caso della Banca Nazionale Austriaca, il capitale sociale di 12 milioni di euro è interamente detenuto dal Ggverno federale ed i diritti di azionariato sono detenuti esclusivamente dal ministro delle Finanze. Lo stesso vale per la Banca d’Inghilterra, nazionalizzata nel 1946 e di proprietà del Tesoro della Corona. 


Un caso apparentemente particolare è quello della Banca d’Italia, che potrebbe essere definita a “partecipazione mista”; il capitale sociale di 156.000 euro, infatti, è posseduto da 64 tra istituti di credito ed assicurativi; i primi cinque “azionisti” sono Intesa San Paolo, Unicredit, Assicurazioni Generali, Cassa di Risparmio e Inps, laddove quest’ultimo è chiaramente un ente pubblico. Teniamo inoltre presente come, nonostante la presenza di un capitale sociale, la Banca d’Italia non sia una normale S.p.A., bensì una S.p.A. di diritto pubblico, il cui funzionamento è regolato dal decreto Regio del 12 marzo 1936 (art. 20) e dalla legge n.262 del 28 dicembre 2005 (art.19). Secondo l’art. 3 dello Statuto della Banca, inoltre, i “partecipanti al capitale” (che non sono azionisti, dal momento che la Banca d’Italia non ha azioni) non possono vendere le proprie quote se non su proposta del Direttorio, e solo previo consenso del Consiglio Superiore. Quest’ultimo è diretto dal governatore, nominato non dall’Assemblea dei Partecipanti, bensì tramite decreto del Presidente della Repubblica (art. 19, comma 8 della legge n.262 del 2005). Insomma, non solo i “partecipanti” non hanno praticamente alcun potere, ma i dividendi che provengono dall’attività della Banca d’Italia sono una somma davvero marginale: l’art. 36 dello Statuto specifica infatti che “ai partecipanti sono distribuiti dividendi per un importo fino al 6% del capitale”. Può essere distribuito, inoltre, ad integrazione del dividendo, “un ulteriore importo non superiore al 4% del capitale”. La Relazione annuale 2011 comunica come l’ammontare di questa distribuzione fosse di ben 15.600 euro, cioè il 10% del capitale sociale di 156.000 euro (da distribuire inoltre tra i più di 30 istituti di credito partecipanti).


Insomma: nel sistema bancario europeo la ratio che sottende all’istituzione di banche centrali autonome dal governo, sia dal punto vista gestionale che da quello patrimoniale, si ricollega alla storia del nostro continente. Nel pensiero economico contemporaneo, infatti, l’indipendenza della banca centrale, assieme al monopolio nell’emissione di moneta, è generalmente considerata una caratteristica vantaggiosa per l’economia, poichè impedisce al governo di stampare moneta a piacimento per il finanziamento della spesa pubblica, misura che, a condizioni invariate, ha sempre avuto degli effetti perversi di natura iper-inflazionistica, come nel caso della Germania ai tempi della Repubblica di Weimar e dello Zimbawe di Robert Mugabe. Dire che le banche centrali europee siano private non ha quindi molto senso, oltre ad essere sbagliato.


Conclusione:


Con due “Vero” e una “Panzana pazzesca” Francesco Storace porta a casa un “Nì”, da integrarsi con un’avvertenza: la storia economica insegna che certi discorsi populisticamente critici verso la natura indipendente delle banche centrali, e finalizzati a riportarne l’operato nell’alveo delle prerogative e funzioni di governo, andrebbero sempre presi cum grano salis.