Puntata di Piazzapulita su temi controversi per Pierluigi Bersani, che si ritrova a parlare a lungo di economia e finanza – dal caso MPS fino alla famigerata Tobin Tax, l’imposta sulle transazioni finanziarie. Quest’ultima è attualmente un tema centrale, per l’Italia, sia a livello europeo che nazionale.
A livello europeo, ricordiamo infatti che l’Italia è uno degli undici Paesi (insieme a Austria, Belgio, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna) che dall’ottobre 2012 si sono dichiarati d’accordo nel prendere parte alla cooperazione rafforzata per l’introduzione della Tobin tax in alcuni Stati Membri dell’UE. Il Consiglio ha approvato in via definitiva questa scelta il 22 gennaio 2013, e la Commissione europea dovrà ora rielaborare una proposta di regolamentazione da far sottoscrivere agli 11 Paesi firmatari (a tal proposito si ricorda che esiste già una proposta di regolamentazione avanzata dalla Commissione nel 2011, ed approvata dal Parlamento europeo il 23 maggio 2012).
A livello nazionale gli sviluppi sono più concreti: la legge di stabilità del 2013 (legge n. 228 del 24 dicembre 2012), prevede già all’articolo 1, commi 491-500, l’introduzione di una imposta sulle transazioni finanziarie per “il trasferimento della proprietà di azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi […] emessi da società residenti nel territorio dello Stato, nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente”.
Ma di cosa si tratta? Ha ragione il segretario del Pd quando parla di un’esclusione dei derivati da questo sistema di tassazione. La risposta è un “Nì”, ed ora vediamo perché.
Cominciamo da una piccola premessa. Per “derivato” si intende “un accordo finanziario che ha lo scopo di trasferire in tutto o in parte i rischi di variazione dei valori di mercato di titoli di credito o di beni reali (obbligazioni, azioni, prestiti bancari, commodity, ecc.), di mettere a disposizione degli operatori nuove opportunità di diversificazione dei loro portafogli o di speculare sui valori presi a riferimento o su grandezze a essi direttamente o indirettamente correlate (indici di borsa, statistiche macroeconomiche, ecc.)” (fonte: Treccani). In altre parole si tratta di accordi di carattere secondario, perché stipulati in seguito e sulla base di altri accordi “principali”, con lo scopo di coprirne il rischio (è un contratto derivato ad esempio l’accordo fatto a copertura del rischio di diminuzione del valore di mercato di determinate azioni). La legge italiana disciplina dettagliatamente le tipologie di derivati all’articolo 1, comma 3 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.58 (a coloro che vogliono approfondire le definizioni date dal nostro ordinamento in ambito finanziario consigliamo la lettura del primo articolo del decreto).
Nel caso della Tobin tax, nella proposta della Commissione i derivati compaiono all’articolo 2, comma 1, punto c, tra le transazioni oggetto di tassazione. Tuttavia, godono di un’aliquota minima pari a un decimo di quella prevista per le altre categorie di transazioni (l’aliquota minima per le azioni è pari allo 0.1% mentre quella sui derivati è lo 0.01% del valore nozionale del derivato al momento della transazione – si vedano articoli 6 e 8).
Anche secondo la legislazione nazionale ci sarà una differenza tra le transazioni finanziarie in senso generale e le transazioni aventi ad oggetto derivati. Secondo l’articolo 1, comma 491, l’aliquota sulle transazioni finanziarie per è applicata su “il trasferimento di proprietà di azioni e di altri strumenti partecipativi […] emessi da società residenti nel territorio dello Stato, nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti indipendentemente dalla richiesta del soggetto emittente”, è pari allo 0,2% del valore della transazione e deve essere corrisposta dal soggetto a favore del quale avviene il trasferimento (comma 494). L’imposta sui derivati invece dovrà essere corrisposta da ciascuna delle controparti delle operazioni; l’articolo 492 determina che tali tipologie di operazioni “sono soggette, al momento della conclusione, ad imposta in misura fissa, determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto, secondo la tabella 3″. Quest’ultima stabilisce tre categorie di derivati, a cui corrispondono tre categorie di imposta, che variano da 15 a 200 euro, se si guarda la fascia massima (ovvero quella che include le transazioni al di sopra del milione di euro). Le imposte qui presentate saranno in vigore dal primo marzo 2013, esclusa quella sui derivati che entrerà in vigore dal primo luglio 2013.
Come segnalatoci correttamente dall’Ufficio Stampa del Partito Democratico, però, i derivati di cui sopra sono strumenti che hanno “come sottostante prevalentemente uno o più strumenti finanziari di cui al comma 491, o il cui valore dipenda prevalentemente da uno o più degli strumenti finanziari di cui al medesimo comma”. Sono quindi solamente gli strumenti che hanno come strumento sottostante le azioni. Consultando brevemente i comunicati stampa della Banca d’Italia, scopriamo che i prodotti derivati OTC su azioni (e merci) rappresentano appena il 2,5% dell’ammontare totale di mercato, ovvero 263 miliardi di dollari su 10.555 miliardi. Sono quindi una proporzione minima delle transazioni su derivati che avvengono quotidianamente sul mercato italiano.
Insomma, non ci sembra che le transazioni di derivati non siano soggette a tassazione come dice Bersani. A livello europeo sarebbero però agevolate, e così pare pure a livello nazionale – nonostante la struttura dell’imposta renda la verifica su questo punto molto difficile. Infine, le tipologie di derivato coperte da tassazione rappresentano una quantità minima sul mercato. Conclusione: Bersani sbaglia a sostenere che i derivati non siano ricompresi nella Tobin Tax. Il segretario del Pd si salva però dal “Falso” in virtù della loro tassazione privilegiata a livello europeo, dell’entrata in vigore posticipata a livello nazionale e del numero limitato di contratti tassati. Insomma, un “Nì”.
P.S. Vi sono in ogni modo opinioni diverse riguardo l’assetto della legge (si veda qui, o qui per le reazioni alla prima versione della proposta di legge che equiparava i titoli).