Il 1° agosto, in una intervista con il sito Formiche, il sottosegretario agli Esteri Ivan Scalfarotto (Italia Viva) ha criticato la firma del Memorandum d’intesa tra Italia e Cina per la Nuova via della seta, avvenuto a marzo 2019 con il governo Lega-M5s.
Secondo Scalfarotto, la firma è stato un «errore marchiano», come dimostrerebbero i dati sull’import, cresciuto, e sull’export, diminuito, del nostro Paese con Pechino.
Al di là del giudizio politico del sottosegretario, qual è stato l’andamento degli scambi commerciali con la Cina dopo la firma del Memorandum? Abbiamo verificato e Scalfarotto ha quasi ragione.
Di che cosa stiamo parlando
Il 22 marzo 2019, nel corso di una visita di Stato del presidente cinese Xi Jinping a Roma, l’Italia e la Cina hanno firmato un Memorandum d’Intesa (Memorandum of understanding, MoU) con cui l’Italia ha aderito alla Belt and Road Initiative (Bri), più comunemente conosciuta come “Nuova via della seta”, lanciata dal governo di Pechino nel settembre 2013.
Il piano cinese, come abbiamo spiegato in passato, consiste in un insieme di progetti, pagati dalla Cina, al fine di potenziare o realizzare da nuovo infrastrutture di collegamento, comunicazione e sistemi di produzione di energia in Asia, Africa ed Europa. L’obiettivo è facilitare le relazioni e gli scambi fra la Cina e il resto del mondo e in quest’ottica la “Nuova via della seta” diventerebbe un nuovo potente strumento di politica estera del governo cinese.
Sebbene il Memorandum d’intesa, come precisato dal Ministero dello Sviluppo Economico, non abbia valore di accordo internazionale e non produca dunque effetti giuridici vincolanti, la firma del documento da parte dell’Italia ha destato qualche perplessità negli Stati Uniti e nell’Unione Europea: il nostro Paese, infatti, è il solo Paese del G7 e il solo fra i fondatori dell’UE ad aver siglato un accordo politico di questo tipo con Pechino.
Come si legge in una nota pubblicata sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico, il governo italiano ha sottoscritto il Memorandum con gli obiettivi di «rafforzamento dell’export verso l’enorme mercato cinese, anche per allineare i nostri flussi commerciali e di investimenti diretti esteri a quelli di altri Paesi Europei quali la Germania, la Francia ed il Regno Unito, che sono nettamente superiori ai nostri; il coinvolgimento delle nostre imprese per la realizzazione di progetti infrastrutturali lungo la nuova via della Seta; l’inclusione dei nostri porti nelle rotte del commercio internazionale». Il miglioramento della bilancia commerciale con la Cina era dunque un obiettivo dichiarato del governo italiano da perseguire attraverso l’adesione del nostro Paese alla Bri.
Il commercio dopo il Memorandum
Per prima cosa occorre precisare che non si può stabilire un nesso di causalità fra firma del Memorandum e andamento di importazioni ed esportazioni: non si può sapere, ad esempio, se senza Memorandum la nostra bilancia commerciale con la Cina sarebbe stata migliore o peggiore, oppure se c’è semplicemente bisogno di più tempo affinché si manifestino gli effetti benefici di tali accordi o invece si sono già manifestati. Ciò che analizzeremo è quindi l’andamento di import ed export nei mesi successivi alla firma del MoU e qual era la situazione in precedenza. Il confronto, basato sui dati del Ministero degli Esteri, è pertanto soltanto dal punto di vista temporale e non può l’efficacia o meno degli accordi con la Cina.
I dati sull’export
Nel 2017 e nel 2018 e l’export italiano in Cina era stato rispettivamente di 13,49 e 13,13 miliardi di euro, mentre nel 2019, ovvero l’anno della firma del Memorandum of Understanding, il valore delle esportazioni italiane verso la Cina si è assestato a 12,99 miliardi. La Cina nel 2019 è stata il decimo partner commerciale delle nostre esportazioni: l’export verso Pechino nel 2019 ha rappresentato il 2,7 per cento delle esportazioni totali del nostro Paese.
Poiché il MoU è stato firmato a fine marzo 2019, proviamo a vedere qual è stato l’effetto sull’export da aprile 2019 a marzo 2020: non prendiamo in considerazione i mesi successivi poiché palesemente condizionati dall’emergenza Covid-19. I dati sono resi disponibili da Eurostat.
Secondo Scalfarotto, la firma è stato un «errore marchiano», come dimostrerebbero i dati sull’import, cresciuto, e sull’export, diminuito, del nostro Paese con Pechino.
Al di là del giudizio politico del sottosegretario, qual è stato l’andamento degli scambi commerciali con la Cina dopo la firma del Memorandum? Abbiamo verificato e Scalfarotto ha quasi ragione.
Di che cosa stiamo parlando
Il 22 marzo 2019, nel corso di una visita di Stato del presidente cinese Xi Jinping a Roma, l’Italia e la Cina hanno firmato un Memorandum d’Intesa (Memorandum of understanding, MoU) con cui l’Italia ha aderito alla Belt and Road Initiative (Bri), più comunemente conosciuta come “Nuova via della seta”, lanciata dal governo di Pechino nel settembre 2013.
Il piano cinese, come abbiamo spiegato in passato, consiste in un insieme di progetti, pagati dalla Cina, al fine di potenziare o realizzare da nuovo infrastrutture di collegamento, comunicazione e sistemi di produzione di energia in Asia, Africa ed Europa. L’obiettivo è facilitare le relazioni e gli scambi fra la Cina e il resto del mondo e in quest’ottica la “Nuova via della seta” diventerebbe un nuovo potente strumento di politica estera del governo cinese.
Sebbene il Memorandum d’intesa, come precisato dal Ministero dello Sviluppo Economico, non abbia valore di accordo internazionale e non produca dunque effetti giuridici vincolanti, la firma del documento da parte dell’Italia ha destato qualche perplessità negli Stati Uniti e nell’Unione Europea: il nostro Paese, infatti, è il solo Paese del G7 e il solo fra i fondatori dell’UE ad aver siglato un accordo politico di questo tipo con Pechino.
Come si legge in una nota pubblicata sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico, il governo italiano ha sottoscritto il Memorandum con gli obiettivi di «rafforzamento dell’export verso l’enorme mercato cinese, anche per allineare i nostri flussi commerciali e di investimenti diretti esteri a quelli di altri Paesi Europei quali la Germania, la Francia ed il Regno Unito, che sono nettamente superiori ai nostri; il coinvolgimento delle nostre imprese per la realizzazione di progetti infrastrutturali lungo la nuova via della Seta; l’inclusione dei nostri porti nelle rotte del commercio internazionale». Il miglioramento della bilancia commerciale con la Cina era dunque un obiettivo dichiarato del governo italiano da perseguire attraverso l’adesione del nostro Paese alla Bri.
Il commercio dopo il Memorandum
Per prima cosa occorre precisare che non si può stabilire un nesso di causalità fra firma del Memorandum e andamento di importazioni ed esportazioni: non si può sapere, ad esempio, se senza Memorandum la nostra bilancia commerciale con la Cina sarebbe stata migliore o peggiore, oppure se c’è semplicemente bisogno di più tempo affinché si manifestino gli effetti benefici di tali accordi o invece si sono già manifestati. Ciò che analizzeremo è quindi l’andamento di import ed export nei mesi successivi alla firma del MoU e qual era la situazione in precedenza. Il confronto, basato sui dati del Ministero degli Esteri, è pertanto soltanto dal punto di vista temporale e non può l’efficacia o meno degli accordi con la Cina.
I dati sull’export
Nel 2017 e nel 2018 e l’export italiano in Cina era stato rispettivamente di 13,49 e 13,13 miliardi di euro, mentre nel 2019, ovvero l’anno della firma del Memorandum of Understanding, il valore delle esportazioni italiane verso la Cina si è assestato a 12,99 miliardi. La Cina nel 2019 è stata il decimo partner commerciale delle nostre esportazioni: l’export verso Pechino nel 2019 ha rappresentato il 2,7 per cento delle esportazioni totali del nostro Paese.
Poiché il MoU è stato firmato a fine marzo 2019, proviamo a vedere qual è stato l’effetto sull’export da aprile 2019 a marzo 2020: non prendiamo in considerazione i mesi successivi poiché palesemente condizionati dall’emergenza Covid-19. I dati sono resi disponibili da Eurostat.