Al grido di “Abbattiamo il Fiscal Compact!” gli euroscettici d’Italia si stanno preparando per le elezioni europee. Il dato citato è ormai diventato virale, grazie anche alla ricorrenza con cui viene riportato sul blog di Grillo (per ultimo la settimana scorsa).
Il “trattatino” incriminato è il “Trattato sulla Stabilità, sul Coordinamento e sulla Governance nell’Unione Economica e Monetaria“, in particolare l’articolo 4 che dice “Quando il rapporto tra il debito pubblico e il Prodotto Interno Lordo di una parte contraente supera il valore di riferimento del 60% […] tale parte contraente opera una riduzione a un ritmo medio di un ventesimo all’anno come parametro di riferimento”. Il concetto non appare chiarissimo nell’articolo del trattato, ma è spiegato bene in questo articolo dell’Osservatorio Economico dell’Università di Sciences Po (Parigi) in cui si legge che la riduzione è pari a un ventesimo della differenza tra il debito pubblico attuale e il valore corrispondente al 60% del Pil.
Sulla questione abbiamo già dedicato tante (troppe?) parole in una precedente analisi dedicata alle parole di Grillo: qui ci limitiamo a riassumerla con l’aggiornamento dei dati dove opportuno. Il calcolo che sembra accomunare tutte le dichiarazioni è il seguente:
Debito 2014 (% debito/Pil) = 2.134 miliardi di euro (134,5%)
Differenza tra debito 2014 e 60% Pil = 2.134-(60%*1.586 miliardi) = 1.182 miliardi
1/20 della differenza = 59 miliardi
Il problema centrale di questo calcolo è che tralascia che la riduzione che deve avvenire non è del debito pubblico bensì del suo rapporto con il Pil. Qualsiasi crescita del Pil ridurrà negli anni il denominatore e quindi ridurrà il peso del debito pubblico; una crescita abbastanza ingente basterebbe da sola a far rispettare al nostro Paese i vincoli. Inoltre il Fiscal Compact entrerà in vigore non prima del 2016 – quindi non già da quest’anno – visto che ai Paesi dovrebbe essere concessa un periodo di “grazia” di 3 anni in seguito alla loro uscita dalla procedura di deficit eccessivo (avvenuta per l’Italia nel 2013).
Verifichiamo, attraverso due scenari diversi di crescita, di quanto si dovrà effettivamente tagliare a debito invariato, aggiornando i dati presenti nell’analisi della succitata dichiarazione di Beppe Grillo con le ultime stime di crescita del Pil e del debito pubblico del Fondo Monetario Internazionale.
Nello scenario “Debito B1” del nostro foglio di calcolo si apprende che se il debito pubblico rimanesse invariato dal 2016 in avanti, grazie alla sola crescita del Pil nominale (stimata dal Fondo Monetario Interanzionale nel link di cui sopra a +2,6%) rispetteremmo i vincoli del Fiscal Compact tutti gli anni tranne i primi tre, in cui sarebbe richiesta una correzione complessiva di circa 22 miliardi*. In questa ipotesi arriveremmo sotto all’agognato 60% nel 2047 e quasi senza bisogno di tagli aggiuntivi.
Con l’Europa ad apparente rischio deflazione, però, è realistico immaginare una crescita del Pil nominale così alta? Forse no, quindi abbiamo proiettato l’andamento del debito anche con una crescita nominale di un punto più bassa, ovvero pari all’1,6%. In questo caso ci sarebbe effettivamente bisogno di tagliare il debito ma in misura molto minore rispetto a quanto detto dalla leader di Fratelli d’Italia. I primi anni sarebbero richiesti tagli ingenti, che vanno via via diminuendo fino a non essere più necessari nel 2039. Il taglio medio sarebbe pari a circa 7,4 miliardi, e la soglia del debito pubblico sotto il 60% sarebbe quasi un miraggio, visto che la raggiungeremmo solo nel 2059.
(Ci teniamo a sottolineare che i nostri calcoli sono relativamente grossolani. Ci sono, infatti, altre variabili da tenere in considerazione, come i tassi d’interesse e l’avanzo primario. Un modello interattivo di Reuters permette ai più curiosi/masochisti di esplorare i vari scenari cambiando le variabili principali).
Entrambi gli scenari non considerano il costo del rientro dal deficit – che nel 2015 è previsto essere del -2,2%, ovvero 35 miliardi circa (per tenere fermo il debito bisognerà infatti riportare a 0 il nostro disavanzo). Tale costo è “one-off”, ossia da non effettuare ogni anno, e anche questo dipendente in gran parte dalla salute della nostra economia. Riassumiamo sotto le considerazioni di ciascun scenario e l’andamento dei tagli richiesti. Come si può vedere, anche nello scenario in cui la crescita è ben più modesta di quella prevista (se crescessimo dell’1,6% nominale per i prossimi 20 anni i nostri problemi sarebbero ben altri) il taglio complessivo ed annuo sono molto minori di quelli che paventa Giorgia Meloni.
Specifichiamo che è abbastanza incredibile che manterremo un pareggio di bilancio per numerosi decenni così come è altrettanto assurdo portare agli estremi il costo previsto del Fiscal Compact, come fa Meloni. E’ inoltre realistico sostenere che provocherà dei costi ingenti, qualora venisse implementato senza flessibilità. Ma il numero citato dalla Meloni è una grossolana esagerazione divenuta ormai una falsità virale: “Pinocchio andante”.
*Aprendo il foglio di calcolo si vedrà che agli anni in cui è necessario un taglio per raggiungere un calo del rapporto debito/Pil sono sempre seguiti anni in cui il rapporto è più che rispettato (causa crescita del Pil). Siccome il Fiscal Compact parla di “calo medio”, anche noi ci siamo attenuti al calo tendenziale piuttosto che collegare a ciascun anno il calo effettivo messo in luce nei nostri calcoli.