Inutile cercare di dimenticarlo: lo spread resta una costante di tutti i discorsi politici, anche durante questa campagna elettorale. Così, neppure il professor Monti si tira indietro e, con buona pace del nipotino e dei suoi compagni d’asilo, tira le somme dell’abbassamento dello spread al di sotto dei 300 punti.
Un po’ generico, a dire la verità, quando parla di “molti miliardi” in quanto di stime sul risparmio ne esistono, e la stessa Banca d’Italia ha ricordato nell’agosto del 2011 che “uno spostamento verso l’alto della curva dei rendimenti di 100 punti base comporta un incremento della spesa per interessi pari a circa 0,2 punti percentuali di Pil nel primo anno, e a 0,4 e 0,5 punti rispettivamente nel secondo e nel terzo anno“. Se rapportiamo questi valori al Pil stimato per il 2012 (aggiornamento DEF), come abbiamo già fatto in una nostra precedente analisi, vedremo che la riduzione di 100 punti percentuali vale circa 3.1 miliardi di euro:
Se moltiplichiamo per 3 questi 3.1 miliardi di euro si ottiene un valore di 9.3 miliardi, che corrisponde effettivamente ad una quota superiore rispetto al gettito dell’Imu, stimato dal conduttore – e non da Monti – a 5 miliardi di euro.
Alcune precisazioni, tuttavia, sono doverose: secondo i dati presentati da Cgia di Mestre e dal MEF, come abbiamo precedentemente esposto, la stima è un po’ inferiore a quella riportata di 5 miliardi (si aggira piuttosto intorno ai 4). Inoltre non ci stancheremo mai di dire che questo valore si riferisce al gettito dell’Imu sulla prima casa: il valore è di almeno 5 volte superiore se si considera il gettito totale (anche riguardo a questo dato esistono valori discordanti tra Cgia di Mestre e MEF, da 24.1 miliardi a “soli” 21.8). Se prendiamo in considerazione il gettito totale, quindi, l’affermazione del professor Monti non è del tutto vera, a meno che non si consideri il risparmio legato alla riduzione dello spread su almeno due anni ( 3*3.1 + 3*6.33 = 28.29).
Infine, spiega bene il professore, questa riduzione va effettivamente a vantaggio del debito pubblico attraverso la riduzione degli interessi pagati dallo Stato su quest’ultimo, ma anche delle imprese, che a loro volta pagano tassi di interesse più bassi sul capitale a prestito (per informazioni, consigliamo questo articolo de Il Sole 24 ore).
Un po’ generica la prima parte, senza sbilanciamenti sui numeri da parte di Monti: questa sua “prudenza” gli costa un “C’eri quasi”.