Non é la prima volta che il candidato a sindaco di Roma del MoVimento 5 Stelle si sofferma sui problemi dell’abusivismo imperante per le strade di Roma. Secondo quanto riportato all’interno di una sua intervista con Micromega, infatti, De Vito allude ai numerosi ambulanti che si aggirano per il centro storico offrendo ombrelli, borse, braccialetti e portafogli.



Innegabilmente la questione della vendita di prodotti contraffatti, senza licenza alcuna, puó essere un danno per le attivitá commerciali che, invece, esercitano le loro funzioni nella legalitá. D’altronde é da anni che associazioni come la Confcommercio rivolgono appelli accorati alle autoritá affinché si ponga fine al problema. Veniamo peró all’analisi delle cifre divulgate dal candidato ”grillino”.



Per quanto riguarda l’impatto economico della pratica dell’abusivismo e della contraffazione sulle attivitá commerciali, abbiamo fatto molta fatica a trovare conferma di quanto affermato da De Vito. Sembra verosimile che si sia potuto riferire a delle stime divulgate dal Sole 24 Ore nel 2008. Il giornale titolava, all’epoca, che l’abusivismo commerciale sottraeva agli esercizi con licenza dal 27 al 35% del fatturato, rifacendosi a calcoli divulgati dalla Fiva-Confcommercio. Attenzione peró, perché non soltanto le stime si riferivano ad un’area circoscritta del Paese (centro nord), ma si riferivano probabilmente alla sola pratica del commercio ambulante, dato che la Fiva-Confcommercio rappresenta proprio quella categoria di settore.



Stime probabilmente piú affidabili si possono riscontrare all’interno dell’estesissimo rapporto Censis sulla contraffazione, presentato al Ministero dello Sviluppo Economico, stampato e pubblicato nel luglio del 2012. A pagina 57 possiamo riscontrare le quantificazioni, in termine di fatturato, del commercio abusivo, divise per categoria di settore. In tutto, quasi 7 miliardi di euro sull’intero territorio nazionale (dati 2010), come tra l’altro confermato a pagina 9 della relazione della Commissione parlamentare di Inchiesta sui Fenomeni della Contraffazione e della Pirateria in Campo Commerciale, all’interno della quale si riportano stime un po’ piú vecchie della Confesercenti (6,5 miliardi di euro) e di Confindustria (7 miliardi di euro).



Certo, confrontando i dati del rapporto Censis (sicuramente la fonte attualmente piú autorevole in materia) con i dati complessivi Istat sul fatturato delle stesse categorie di servizio, abbiamo una panoramica molto piú contenuta del fenomeno. Se, ad esempio, il fatturato complessivo del commercio al dettaglio di prodotti alimentari é di 17,8 miliardi di euro, contro una stima del fatturato illegale dello stesso settore di 1,2 miliardi di euro, la percentuale é molto inferiore al 30. Stessa cosa dicasi per il settore della moda e dell’abbigliamento: il fatturato complessivo del commercio al dettaglio ammonta infatti a piú di 26 miliardi di euro, contro un equivalente generato dall’abusivismo ammontante ad appena 2,7 miliardi di euro (é bene dire, tra l’altro, che il settore dell’abbigliamento é in assoluto il piú colpito dal fenomeno dell’illegalitá, visto che, secondo le stime del Censis, il 35% del fatturato generato da attivitá di vendita abusiva proviene proprio da questo settore).



Purtroppo non sono riscontrabili stime inerenti al terriotorio romano, ma l’enorme discrepanza tra i dati ”ufficiali” e quanto riportato da De Vito lascia pochi dubbi. Siamo ovviamente disponibili ad aggiornare l’analisi qualora ci venissero segnalati studi piú precisi a conferma di quanto affermato dal candidato del MoVimento.



Veniamo adesso al dato sulla chiusura degli esercizi commerciali. Abbiamo giá trattato l’argomento, su scala nazionale, in occasione di una precedente dichiarazione di Grillo effettuata durante la campagna elettorale di febbraio. All’epoca, come in questo caso, abbiamo fatto – e faremo – innanzitutto una precisazione riguardo alla terminologia. Molto spesso la cessazione di attività di un’azienda viene associata al fallimento della stessa. La maggior parte delle volte, in realtà, un’azienda cessa la propria attività per altre ragioni (ritiro dagli affari, trasferimento in altro Comune o altra Provincia, scioglimento, cessazione d’ufficio), come riportato dall’esaustiva definizione di Unioncamere.



Consultando i dati per il 2012 (anno di riferimento di De Vito) della Camera di Commercio di Roma (imprese registrate e attive – iscrizioni e cessazioni), e nello specifico quelli inerenti alle imprese operanti all’interno del settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio (immaginiamo che sia questo il settore a cui si riferisce De Vito, seguendo almeno la logica della sua dichiarazione), sembra che ci sia stato un totale di 4.676 cessazioni di esercizio nel corso dello scorso anno, contro 2.960 iscrizioni. Il totale delle imprese che hanno cessato la propria attività ammonta invece a 16.853 nel corso dell’anno, contro 22.626 iscrizioni. Quante saranno le imprese che avranno cessato le proprie attività per fallimento? Secondo l’ultimo rapporto Cerved ”Osservatorio sui fallimenti, procedure e chiusure di imprese” (pubblicato nel febbraio del 2013), sono 3.622 le imprese fallite nella Provincia di Roma nel corso del 2012. In realtà, il dato estrapolato da De Vito sembra rifarsi ad un articolo comparso sul Corriere della Sera nel settembre del 2012, che riporta le previsioni per la chiusura dell’anno. Diamo quindi un “C’eri quasi” riguardo alla seconda parte della dichiarazione sul dato della chiusura degli esercizi commerciali – il dato è inferiore a quanto menzionato dal candidato grillino, ma il saldo è comunque negativo di duemila unità.



Di contro, le stime cui De Vito fa riferimento sull’impatto dell’abusivismo commerciale nel settore risultano essere basate su fonti incomplete e non sufficientemente precise. In attesa di eventuali segnalazioni di dati che confermino quanto detto dal candidato pentastellato, il giudizio è quindi ”Pinocchio andante”.



Complessivamente diamo un “Ni'” all’esponente M5S!



P.S.: in relazione alla stima dell’impatto del commercio di merci contraffatte e dell’abusivismo in generale, il rapporto Censis fornisce una metodologia alternativa e decisamente più completa della ”sottrazione diretta di fatturato”. La ricerca divide gli effetti in due categorie, ”diretti” ed ”indiretti”, differenziando i primi (”risultati dell’azione intrapresa capaci di influire in maniera immediata sul sistema economico locale”) dai secondi (”produzione di beni e servizi utilizzati come input intermedi che servono alla realizzazione dell’intervento”). Per chi volesse approfondire, la spiegazione si trova alla fine della pagina 58 del rapporto.