A chi non piacerebbe essere la Germania? Nonostante ultimamente anche la locomotiva tedesca abbia dato segnali di rallentamento per il 2012, la sua performance stupisce ancora i poveri, bistrattati Paesi della “periferia” europea. Decine di migliaia di giovani provenienti dai Paesi mediterranei sono oramai emigrati in Germania per cercare lavoro, mentre i corsi di tedesco al Goethe Institut sono letteralmente presi d’assalto.


Eppure c’era un tempo in cui la Germania non se la passava così bene. Neanche troppo tempo fa, nel 1999, l’Economist pungolava la maggiore economia europea con titoli come “The Sick Man of the euro” – Il “Grande Malato” dell’euro, richiamando l’epiteto affibbiato all’Impero Ottomano dalle maggiori potenze europee a metà diciannovesimo secolo.


All’epoca la Germania si trovava intrappolata in una spirale di bassa crescita, tassi di disoccupazione testardamente alti ed un persistente declino di competitività delle sue imprese a livello globale. Quasi quasi ricorda l’Italia di adesso. Giannino non mente quindi nel dipingere la Berlino dei primi anni 2000 a tinte fosche: una realtà drammaticamente diversa dal Paese potente, dinamico e sicuro che vediamo adesso. Andiamo però ad analizzare la dichiarazione nei numeri.


Quasi sei milioni di disoccupati ad inizio anni 2000? Se vediamo i dati Eurostat notiamo effettivamente che il numero massimo di disoccupati è stato raggiunto nel 2005 (approssimatamente 4,6 milioni). Lo Special Report 2006 dell’Economist “Waiting for a Wunder” comunicava, a pagina 9, che a gennaio di quell’anno i disoccupati avevano raggiunto la cifra record di 5 milioni, prevedendo una discesa nei trimestri a venire (cosa che effettivamente è avvenuta, se osserviamo il grafico). Insomma, non proprio i 6 milioni di Giannino, che non riusciamo a trovare da nessuna parte. Chissà, forse avrà aggiunto la porzione di scoraggiati oppure di lavoratori a termine. 


                                                


Giannino sembra aver ragione per quel che riguarda la spesa pubblica: ecco i dati Eurostat per i due Paesi (dal 2000 al 2011) – in percentuale sul Pil – che dimostrano non solo come la Germania fosse effettivamente sopra l’Italia agli inizi degli anni 2000, ma come la tendenza si sia poi drammaticamente invertita.


                                               


Sulla pressione fiscale (se è questo che voleva dire con “più tasse”), invece, sempre Eurostat smentisce Giannino, e il grafico qui di seguito lo dimostra.


                                               


Relativamente al tasso di disoccupazione, i dati non danno torto a Giannino:


                                               


E l’esponente di spicco di Fermare il Declino ci azzecca pure sul record storico del tasso di disoccupazione tedesco: sin dal 1992, anno successivo alla riunificazione tedesca, l’attuale stima per il 2012 (5.5%) è il livello più basso mai raggiunto dalla locomotiva europea.


                                               


Insomma, passa il messaggio: nonostante la Germania fosse in crisi agli inizi degli anni 2000, anche in confronto all’Italia per alcuni aspetti, il rilancio è stato impressionante e sarebbe utile seguirne gli esempi. “Vero”.