In un articolo pubblicato il 2 gennaio 2019 sul sito del Partito Democratico Luigi Marattin ha passato in rassegna alcuni dei punti principali della legge di Bilancio per il 2019. In particolare, parlando dell’aumento dell’Iva (punto 4), ha riportato che aumenterà di 23,1 miliardi nel 2020 e di 28,8 miliardi nel 2021, e che questi aumenti saranno molto superiori a quelli previsti dai governi guidati dal suo partito.
Ha ragione? Abbiamo verificato.
Che cos’è l’Iva?
L’Iva è un acronimo che sta per “Imposta sul valore aggiunto”. Questo tributo ha due caratteristiche: la prima è che è un’imposta indiretta, e quindi non colpisce i redditi ma i consumi; la seconda è che si scarica solo sui consumatori finali e non su chi acquista beni e servizi per reimpiegarli nella produzione o per la vendita al dettaglio (per loro l’imposta è neutrale, perché detraibile).
L’Iva è una delle principali imposte del sistema fiscale italiano, introdotta nel 1972 (con il d.p.R 633/1972): nel 2017, secondo quanto riportato dal ministero dell’Economia e delle Finanze, le entrate fiscali derivanti dall’Iva sono risultate pari a 129,6 miliardi di euro, circa il 28 per cento delle entrate totali dello Stato.
Attualmente questa imposta prevede tre aliquote: quella ordinaria al 22 per cento e le due agevolate al 10 per cento e al 4 per cento su particolari categorie di beni e servizi ritenuti essenziali – e di cui abbiamo scritto recentemente.
L’aumento di cui parla Marattin deriva da un possibile futuro ritocco di queste aliquote, a causa delle cosiddette clausole di salvaguardia.
Che cosa sono le clausole di salvaguardia?
Luigi Marattin parla di un aumento dell’Iva rifacendosi indirettamente alle clausole di salvaguardia, un meccanismo di finanza pubblica che ha acquisito sempre più importanza negli ultimi anni e che ha a che fare con le norme comunitarie. Secondo queste ultime, infatti, la legge di Bilancio viene sottoposta all’approvazione delle istituzioni europee prima di approdare nel Parlamento nazionale per essere discussa e approvata. Può accadere che la Commissione Europea non sia convinta dai saldi presentati e richieda correzioni.
Le clausole sono quindi lo strumento di finanza pubblica con cui i governi italiani, dal 2011 in poi, hanno “rassicurato” l’Ue circa il rispetto dei vincoli di bilancio. Queste clausole prevedono aumenti “automatici” delle entrate (come un aumento dell’Iva) o riduzioni delle spese (come tagli lineari ai ministeri) se i conti pubblici non raggiungono gli obiettivi previsti.
Iva ridotta e ordinaria: le previsioni del governo Gentiloni e Conte
Luigi Marattin ha messo a confronto i saldi previsti dall’ultima manovra del governo Gentiloni (approvata a fine 2017 e valida per il 2018) con i saldi previsti dal governo Conte.
Vediamo meglio nel dettaglio.
Prima dell’approvazione della legge di Bilancio 2019, l’Iva sarebbe dovuta cambiare secondo quanto stabilito dalla legge di Bilancio 2018 (legge 205/17, art. 1 comma 2). Questo documento aveva apportato delle modifiche alle aliquote Iva a loro volta fissate, in precedenza, dalla legge di Stabilità 2015 (legge 190/14, art. 1, comma 718).
La conformazione prevista dall’ultima legge di Bilancio approvata con il governo Gentiloni era questa:
Tab. 1: Effetti finanziari della clausola di salvaguardia introdotti dalla legge di bilancio 2018 – Fonte: Servizio studi della Camera dei Deputati
In sostanza: il governo Gentiloni aveva sterilizzato gli aumenti Iva che erano stati previsti per il 2018 e aveva poi previsto un aumento per l’aliquota agevolata al 10 per cento a partire dal 2019. Per quanto riguarda invece l’aliquota ordinaria, la legge di Bilancio per il 2018 imponeva una iniziale crescita di 3,4 punti percentuali (dal 22 per cento al 25,4 per cento) per il 2019 per poi assestarsi intorno al 25 per cento nei due anni successivi.
Guardiamo ora cosa prevede, per i prossimi anni, la legge di Bilancio 2019.
Anche in questo caso, per l’anno immediatamente successivo – il 2019 – non ci sono aumenti. Le cose cambiano a partire dal 2020. Per quell’anno si dispone un aumento dell’Iva agevolata al 10 per cento di tre punti percentuali, raggiungendo, il 13 per cento. Per quanto riguarda, poi, l’Iva ordinaria, la prima legge di Bilancio del governo Conte prevede aumenti sia per il 2020 che per il 2021: l’aliquota dovrebbe passare dal 25,2 per cento nel 2020 e al 26,5 per cento nel 2021.
Lo scenario è riassunto nella tabella sottostante.
Tab.2 Effetti finanziari della clausola di salvaguardia introdotti dalla legge di Bilancio 2019 – Fonte: Servizio studi della Camera dei Deputati
Il confronto le due manovre
La legge di Bilancio 2018 del governo Gentiloni prevedeva un aumento graduale dell’Iva agevolata stabilendo un valore pari all’11,5 per cento per il 2019 e al 13 per cento per il 2020 e il 2021. La manovra 2019 del governo Conte sterilizza l’aumento per il 2019 e prevede lo stesso valore dell’esecutivo precedente per il 2020 e il 2021 (appunto il 13 per cento).
Per quanto riguarda l’Iva ordinaria, il governo Gentiloni aveva optato per un aumento dell’aliquota dal 22 per cento al 25,4 per cento nel 2019, per poi abbassarla al 24,9 per cento nel 2020 e ritoccarla al 25 per cento nel 2021.
Il governo Conte invece sterilizza l’aumento per il 2019, fissa l’aliquota al 25,2 per cento nel 2020 e al 26,5 per cento nel 2021. Tra le aliquote decise dal governo precedente e quelle dell’attuale esecutivo, quindi, il governo Conte non aumenta nel 2019 – quando il governo Gentiloni prevedeva un “balzo” di 3,4 punti – e poi prevede uno 0,3 per cento in più nel 2020 (25,2 contro 24,9) e dell’1,5 per cento nel 2021 (26,5 di Conte contro il 25 di Gentiloni).
Stessa aliquota, ma gettito diverso
Entrambi i governi hanno fissato per il 2020 e per il 2021 l’Iva agevolata al 13 per cento. È però evidente – guardando alle rispettive tabelle – che gli esecutivi Conte e Gentiloni stimano il gettito in modo diverso.
Lo conferma il dossier relativo alla legge di Bilancio 2019, curato dai servizi studi di Camera e Senato, che specifica la differente modalità di calcolo del gettito. Nella manovra del governo Conte, «gli incrementi delle aliquote dell’IVA sono parametrati non ai valori storici utilizzati alla base dei calcoli nelle diverse clausole succedutesi nel tempo ma vengono calcolati sulla base degli ultimi dati del gettito IVA disponibili».
Con la stessa aliquota al 13 per cento, infatti, il governo Gentiloni prevedeva di poter incassare circa 7 miliardi di euro ogni anno, mentre il governo Conte stima entrate annuali pari a circa 8,7 miliardi di euro.
Il confronto diretto sull’Iva ordinaria è meno immediato, perché i due governi hanno fissato valori diversi. Anche in questo caso, però, le stime sono in proporzione diverse. Infatti, guardando nuovamente al 2020, per il governo Gentiloni il gettito previsto era di circa 4 miliardi di euro per punto percentuale. Il governo Conte, invece, stima circa 4,3 miliardi di euro.
Di conseguenza, i totali che i due esecutivi hanno stimato di ottenere dall’applicazione delle clausole di salvaguardia (che, oltre all’aumento dell’Iva, prevede aumenti nelle accise per il carburante) sono stati diversi: per il governo Gentiloni, le clausole per il 2020 valevano 19,2 miliardi e quelle per il 2021 più o meno lo stesso, 19,5 miliardi di euro.
Secondo le stime del governo Conte, invece, per il 2020 il totale delle clausole è pari a 23,1 miliardi di euro mentre, per il 2021, a 28,7 miliardi di euro.
Luigi Marattin riassume la situazione dicendo che, in seguito all’approvazione dell’ultima legge di Bilancio, nel 2020 sia previsto un aumento dell’Iva di «3,9 miliardi» rispetto a quanto stimato dal governo guidato dal Partito Democratico e, per il 2021, di «ben 9,2 miliardi». Le differenze, in effetti, sono corrette, ma come abbiamo visto dipendono anche da diverse stime dei risultati delle misure (e non per forza da un proporzionale aumento del carico fiscale).
Riassumendo
In conclusione, sugli aumenti dell’Iva si possono fare tre osservazioni principali.
In primis, i due governi stimano entrate diverse, in proporzione, per gli aumenti dell’Iva. Ad esempio l’aumento dell’Iva agevolata, fissata da entrambi gli esecutivi e per gli stessi anni (2020 e 2021) al 13 per cento, fornirà secondo le stime entrate differenti – 7 miliardi circa secondo il governo Gentiloni, 8,7 secondo il governo Conte. Per i contribuenti non ci sarà differenza – l’aliquota sarà comunque al 13 per cento – ma varia la previsione di entrate per lo Stato.
In secondo luogo, il governo Conte, rispetto al governo Gentiloni, prevede di aumentare l’Iva ordinaria in misura maggiore: di 0,3 punti percentuali in più per il 2020 e di un punto e mezzo percentuale in più per il 2021. Le differenze comportano anche un cambiamento del valore totale delle entrate per quei due anni.
Infine, l’aumento dell’Iva non è certo. Le clausole di salvaguardia, come visto sopra, sono infatti eventuali e sono state molte volte “sterilizzate” dai diversi governi. L’Iva, quindi, aumenterà solo nel caso in cui il governo non riesca a trovare risorse diversamente.
Il verdetto
Esaminando la legge di Bilancio 2019, Luigi Marattin ha scritto che per i prossimi due anni è previsto un aumento dell’Iva maggiore rispetto a quanto previsto dal Partito Democratico. Più 3,9 miliardi di euro per il 2020 e più 9,2 miliardi di euro per il 2021.
L’esponente del Partito Democratico riporta cifre corrette. Guardando alle percentuali e non ai numeri assoluti, è vero poi che il governo Conte prevede un aumento maggiore dell’aliquota Iva ordinaria, rispetto al governo Gentiloni, per il 2020 e il 2021. Marattin, però, non tiene conto del dettaglio non secondario che il governo Conte stima un gettito maggiore, in proporzione, per gli aumenti. Insomma: a parità di aumento Iva, l’ultima manovra prevede che entrino più soldi.
Luigi Marattin merita un “C’eri quasi”.