Giannino affronta, con questa dichiarazione, il tema dell’armonizzazione dei bilanci delle amministrazioni pubbliche. Con “armonizzazione” si indica il processo che consente di rendere comparabili ed aggregabili i dati contabili di più amministrazioni pubbliche. In linea teorica, infatti, i bilanci dei singoli enti del sistema pubblico, pur adottando principi e regole di contabilità simili, sono difficilmente comparabili e richiedono una complessa attività di riclassificazione e consolidamento (Fonte: Irer 2010).


Le prime attività legislative che hanno tentato di armonizzare i bilanci pubblici, compresi quelli regionali, risalgono al 1976, un po’ prima dei 60 anni della Repubblica Italiana, che si sono festeggiati solo nel 2006. La legge n. 335 del 1976 si intitolava proprio “Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle Regioni” e stabiliva i criteri per consentire l’unificazione delle spese di stessa natura.


Sulla scia della legge del 1976, ha fatto seguito la legge n. 76 del 2000, che ha stabilito che le Regioni dovessero strutturare il proprio bilancio sulla falsa riga di quello nazionale. La disciplina è rimasta, tuttavia, in gran parte inattuata (Fonte: Irer 2010), così come è servita a poco la successiva legge, la n. 170 del 2006, che ha avuto una mera valenza ricognitiva dei principi fondamentali.


La svolta si è avuta nel 2009, con due leggi importanti: la prima – la legge n. 42 del 2009 (sul federalismo fiscale) – che ha delegato al governo la definizione dei “criteri predefiniti e uniformi” per la stesura del bilancio degli enti locali; la seconda – la n. 196 del 2009 – che all’articolo 2 prevede una delega al governo avente ad oggetto l’armonizzazione dei bilanci pubblici (anche in raccordo con i principi adottati a livello europeo).


Infine, nel 2011 – questo immaginiamo che sia il riferimento di Giannino quando parla di “due anni” – viene approvato un decreto legislativo (23 giugno 2001, n. 118), “recante disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni e degli enti locali, con la finalità di rendere i bilanci degli enti territoriali, ivi compresi i conti del settore sanitario, omogenei e confrontabili tra loro” (fonte: Camera.it). Si presume, quindi, che gli enti locali mettano a disposizione “dati contabili omogenei e confrontabili per il consolidamento dei conti delle pubbliche amministrazioni”, affiancando, alla contabilità finanziaria, un sistema di contabilità economico-patrimoniale. La complessità della procedura ha portato il governo ad attendersi una fase di sperimentazione della durata di due anni, al termine della quale verrano stabilite le linee contabili in vigore dal 2014. 


Un percorso lungo e in salita quello dell’armonizzazione, che ci aiuta a giustificare l’utilizzo di dati del 2010 per la verifica della seconda parte della dichiarazione di Giannino, sulla Sicilia e i costi del personale. Dobbiamo, infatti, fare riferimento ai dati sui conti pubblici territoriali del Ministero del Tesoro – disponibili per tutte le Regioni, in maniera armonizzata, solo fino al 2010 (non ci è, quindi, possibile fare un controllo su dati più recenti). A pagina 12 del documento linkato troviamo i dati sulla spesa per il personale (guardiamo ai pagamenti, ossia alle uscite di cassa effettive).


Come si può vedere, la Sicilia da sola spende effettivamente circa 1.700 milioni di euro a fronte di una spesa delle restanti Regioni di 2.867 milioni di euro (si sale a 4.620 milioni se si considerano le Province autonome di Trento e Bolzano, le quali sostengono spese particolarmente elevate). Giannino enfatizza un po’ parlando di “quello che spendono tutte le altre 19 Regioni italiane” ma è vero che il rapporto è elevato. La Sicilia ha la spesa per il personale più elevata, seguita dalla Campania che, però, spende solo 363 milioni di euro. Se si considerano le sole Regioni, la Sicilia rappresenta il 59% del totale.


Nel complesso, qualche esagerazione per Giannino che si porta a casa un “Nì”.