Il 12 novembre, ospite a Otto e mezzo su La7, il leader di Italia viva Matteo Renzi ha duramente criticato (min. 32:14) il reddito di cittadinanza, definendolo «reddito di criminalità», in riferimento agli ultimi dati sulle truffe individuate dalle forze dell’ordine.

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Renzi ha poi rivendicato di aver ottenuto come risultato, quando era al governo, la creazione di «un milione e 300 mila posti di lavoro», grazie anche alla riforma del Jobs act. In passato l’ex presidente del Consiglio aveva riportato dati più o meno simili, che abbiamo verificato e ridimensionato in numerosi fact-checking (di recente anche in quello sul nuovo libro di Renzi).

Visto che il leader di Italia viva persevera nell’errore, vediamo ancora una volta perché esagera.

La crescita degli occupati con Renzi al governo

Come abbiamo spiegato in passato, il Jobs act fa riferimento a una serie di misure – alcune strutturali, altre temporanee – approvate dal 2014 in poi per far crescere l’occupazione e favorire la liberalizzazione del mercato. Calcolare con precisione le conseguenze di questo insieme di misure non è semplice: stiamo parlando infatti di diversi provvedimenti – come il “decreto Poletti”, diventato effettivo a marzo 2014 – con effetti diversi lungo i mesi e gli anni successivi.

Secondo i dati Istat, da febbraio 2014 (anno di insediamento del governo Renzi) alla fine del 2016 (data delle dimissioni del governo Renzi), il numero complessivo degli occupati in Italia è cresciuto da poco meno di 22 milioni a circa 22,9 milioni: un aumento inferiore alle 900 mila unità, più basso degli 1,3 milioni citati da Renzi. Usare questo dato a sostegno del Jobs act ha però almeno tre limiti.

Innanzitutto, l’ex presidente del Consiglio confonde molto probabilmente la categoria degli occupati con quella dei posti di lavoro. Secondo la definizione dell’Istat, la prima è infatti più ampia della seconda, perché fa riferimento anche a impieghi occasionali e temporanei, e non solo a lavori continuativi e stabili (quelli che comunemente si intendono con i “posti di lavoro”).

Il secondo limite riguarda il periodo che si prende in considerazione. Come abbiamo anticipato, i provvedimenti del Jobs act sono stati approvati in diversi momenti del governo Renzi. L’introduzione del contratto “a tutele crescenti”, per esempio, è del dicembre 2014: da quella data, fino alla fine del 2016, l’aumento degli occupati è stato di oltre 610 mila unità, meno della metà del dato indicato dal leader di Italia viva in tv.

Il limite principale del confronto di Renzi riguarda però il nesso causa-effetto. Stimare gli effetti di un intervento legislativo – ne abbiamo scritto più volte anche per altri provvedimenti, come il decreto “Dignità” – non è per nulla facile ed è un lavoro da ricercatori: bisogna infatti valutare la differenza tra come sarebbero andate le cose in assenza di quel provvedimento e la realtà.

Insomma, anche se durante il governo Renzi c’è stato un aumento degli occupati, non si può dire che siano “posti di lavoro” a tutti gli effetti, e il collegamento tra l’aumento e le misure legislative messe in atto è molto più dubbio di quanto fa intendere l’ex presidente del Consiglio.

Il verdetto

Secondo Matteo Renzi, quando era a capo del governo ha ottenuto il risultato di creare «un milione e 300 mila posti di lavoro». Come abbiamo scritto già più volte in passato, questo dato non è supportato dai fatti.

Quando Renzi è stato presidente del Consiglio, nel nostro Paese il numero degli occupati – un indicatore più ampio di quello dei “posti di lavoro” è cresciuto di circa 900 mila unità, ma non è possibile stabilire con precisione quanto di questo aumento sia merito delle riforma del Jobs act, che è costituita da diversi interventi. Per esempio, restringendo il periodo tra dicembre 2014 – mese dell’introduzione del contratto “a tutele crescenti” – e dicembre 2016 l’aumento è di circa 610 mila unità.

In conclusione, Renzi merita un “Pinocchio andante”.