Il 24 aprile, in un’intervista a La Repubblica, il presidente del Parlamento europeo David Sassoli (Partito democratico) ha commentato le conclusioni del Consiglio europeo tenutosi in videoconferenza il giorno precedente.

Durante l’incontro è stata approvata anche la creazione di un fondo europeo per la ripresa (il cosiddetto Recovery fund), i cui dettagli devono essere però definiti in una proposta della Commissione europea.

«Non dimentichiamo che per sanità ed economia sono già disponibili i 540 miliardi di Bei, “Sure” e Mes», ha sottolineato Sassoli, commentando proprio le decisioni prese sul nuovo fondo per la ripresa.

Ma che cosa c’è dietro questi «540 miliardi»? È vero che sono «già disponibili» come dice il presidente del Parlamento Ue?

Abbiamo verificato e Sassoli è parecchio impreciso.

Da dove vengono i 540 miliardi

Nelle conclusioni del Consiglio europeo, presentate dal suo presidente Charles Michel, si leggono le seguenti parole: «A seguito dell’incontro dell’Eurogruppo tenutosi il 9 aprile 2020, abbiamo raggiunto un accordo su tre importanti strumenti di sicurezza per lavoratori, imprese e Stati, corrispondenti a un pacchetto per un valore totale di 540 miliardi di euro».

Sassoli sembra dunque citare una cifra corretta, ma nel discorso di Michel si legge anche che questo pacchetto «sarà operativo dal 1° giugno 2020». Quindi non da subito, come sostiene invece il presidente del Parlamento europeo.

Ma cerchiamo di capire a che cosa corrispondano davvero questi 540 miliardi di euro.

Il 9 aprile l’Eurogruppo aveva proposto al Consiglio europeo l’introduzione di tre strumenti (più il Recovery fund) per affrontare l’emergenza coronavirus, quelli a cui fa riferimento il Consiglio europeo e Sassoli nella sua intervista.

I soldi della Bei

Il primo provvedimento fa capo alla Banca europea per gli investimenti (Bei), un’istituzione comunitaria che eroga prestiti agli Stati membri per sostenere, tra le altre cose, la crescita e l’occupazione.

Il 16 aprile il Consiglio di amministrazione della Bei ha approvato la proposta di introdurre «una sorta di scudo protettivo per le imprese europee».

Gli Stati membri finanzieranno un fondo di garanzia da 25 miliardi di euro, in proporzione alle loro rispettive quote di azionariato nella Bei.

Con questo fondo la Bei farà da “garante” per le banche locali e gli intermediari finanziari che fanno prestiti alle imprese degli Stati membri, in modo che non vadano incontro a rischi di instabilità finanziaria. Secondo i calcoli della Bei, questi 25 miliardi di euro di garanzia saranno in grado di mobilitare in totale «fino a 200 miliardi di euro» per diversi tipi di operazioni.

Nelle intenzioni della Bei, i principali beneficiari di questo fondo saranno aziende del settore privato che «presentano un elevato livello di rischio ma che sono redditizie nel lungo periodo».

Ricapitolando: la cifra di 200 miliardi è una stima della Bei per quanto riguarda le risorse massime che potranno essere mobilitate grazie a una garanzia di 25 miliardi di euro.

I soldi del Sure

A inizio aprile la Commissione europea ha presentato Sure, una sigla che sta per Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency, traducibile in italiano come “Sostegno per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza”.

Nelle ultime settimane, a causa delle limitazioni dovute al nuovo coronavirus, molte imprese si sono trovate costrette a sospendere le proprie attività o a limitare la loro produzione.

Per fare fronte a questo problema, molti Stati membri hanno fatto ricorso allo strumento della riduzione degli orari di lavoro, per sostenere i redditi delle famiglie e preservare la capacità produttiva.

Sure – spiega la Commissione Ue – è uno strumento «pensato per aiutare a proteggere i posti di lavoro e i lavoratori che risentono della pandemia di coronavirus». In che modo?

Secondo le stime della Commissione Ue, grazie a 25 miliardi di euro di garanzie volontariamente impegnate dai singoli Stati membri, Sure sarà in grado di mobilitare prestiti a condizioni favorevoli (ma non ancora note) ai vari Paesi per un totale di 100 miliardi di euro.

Questi soldi potranno essere spesi, a livello dei singoli Stati, per finanziare gli strumenti come la cassa integrazione (o altri simili) e le misure a sostegno dei lavoratori autonomi. In base alla proposta della Commissione Ue, non ci sono dotazioni prestabilite per i singoli Stati membri.

Ricapitolando: i 100 miliardi di euro corrispondono al valore massimo di prestiti che Sure potrà fare agli Stati membri per sostenere gli interventi di riduzione degli orari di lavoro, partendo da una garanzia di 25 miliardi di euro.

I soldi del Mes

Se sommiamo i 200 miliardi di euro della Bei con i 100 miliardi di euro di Sure, otteniamo 300 miliardi di euro. Gli altri 240 miliardi per arrivare a 540 miliardi da dove vengono?

Il 9 aprile scorso l’Eurogruppo ha proposto l’introduzione di una nuova forma di aiuto gestita dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes), pensata appositamente per l’emergenza coronavirus.

In breve: attraverso il Mes, gli Stati membri all’area euro potranno accedere a una nuova linea di credito, a tassi di interesse vantaggiosi e senza la condizione di introdurre immediate misure correttive sui bilanci statali (mentre per il futuro le cose sono più incerte), per «finanziare l’assistenza sanitaria diretta e indiretta, e i costi relativi alla cura e alla prevenzione» legati all’emergenza coronavirus.

In base alla proposta accettata dal Consiglio europeo, ogni Stato membro dell’area euro potrebbe ottenere aiuti per un valore massimo pari al 2 per cento del loro Pil del 2019.

Secondo i dati Eurostat, lo scorso anno il Pil dell’intera area euro (19 Paesi) è stato pari a circa 11.900 miliardi di euro. Se calcoliamo il 2 per cento di questa cifra, otteniamo circa 240 miliardi di euro, che sommati ai 200 della Bei e ai 100 di Sure danno i 540 miliardi di euro citati da Sassoli.

Al di là dei dibattiti se convenga o meno all’Italia (o altri Paesi) accedere ai nuovi aiuti del Mes, vanno però sottolineate due cose.

Da un lato, questi 240 miliardi del Mes sono calcolati dal Consiglio europeo e da Sassoli come se tutti i Paesi dell’area euro ne facessero richiesta, ad oggi uno scenario molto improbabile. Si pensi per esempio a Paesi come la Germania, che già spendono poco oggi per finanziare il proprio debito sui mercati e a cui poco converrebbero i prestiti del Mes.

Dall’altro lato, come abbiamo già visto in precedenza, questi aiuti del Mes – così come quelli di Bei e Sure – non sono ancora attivi. L’auspicio del Consiglio europeo è che questo pacchetto sia operativo dal 1° giugno, ma proprio sul Mes non è ancora del tutto chiaro come funzionerà la nuova linea di credito (per esempio, sui tassi di interesse dei prestiti e sulla loro scadenza), come hanno sottolineato il 27 aprile su La Repubblica l’economista Carlo Cottarelli e l’ex ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi.

Il verdetto

Secondo David Sassoli, «per sanità ed economia sono già disponibili i 540 miliardi di Bei, Sure e Mes». Abbiamo verificato e il presidente del Parlamento europeo è parecchio impreciso.

Da un lato, è vero che la “potenza di fuoco” delle tre misure messe in campo dalla Banca europea per gli investimenti (Bei), dalla Commissione europea (Sure) e dall’Eurogruppo con il Mes ha un valore pari a circa 540 miliardi euro. Ma questa cifra contiene i 240 miliardi di euro che il Mes potrebbe dare in aiuto – su cui mancano ancora dettagli – come se tutti i 19 Paesi dell’area euro ne facessero richiesta. Ipotesi oggi molto improbabile.

Dall’altro lato, in ogni caso non è vero che questi soldi sono «già disponibili». In base a quanto emerso dal Consiglio europeo del 23 aprile, l’Ue ha in programma di rendere operativo questo pacchetto di risorse a partire dal 1° giugno prossimo.

In conclusione, Sassoli si merita un “Nì”.