Il 19 aprile, in un intervento pubblicato su Il Fatto Quotidiano, l’ex deputato del Movimento 5 stelle Alessandro Di Battista ha difeso l’affidabilità delle finanze italiane, scrivendo che «l’Italia è il Paese numero uno al mondo per avanzo primario del proprio bilancio degli ultimi 30 anni».
Con il termine “avanzo primario” si intende una differenza positiva tra quanto lo Stato incassa (per esempio attraverso le tasse) e quanto spende (per esempio per finanziare i servizi pubblici), al netto di quanto gli costano gli interessi sul debito pubblico. Quando questa differenza è negativa, si parla invece di “disavanzo primario”.
Ma davvero l’Italia, negli ultimi 30 anni, è prima nella speciale classifica degli avanzi primari a livello mondiale? Abbiamo verificato e Di Battista ha quasi ragione.
La classifica a livello mondiale
Nel suo database il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha una sezione dedicata agli avanzi primari registrati in rapporto al Pil per 115 Paesi del mondo dal 1990 a oggi.
Abbiamo esportato e rielaborato i dati in un’unica tabella (qui consultabile) per calcolare qual è stata in media, negli ultimi 30 anni, la differenza tra entrate e uscite negli Stati in esame, esclusi i costi degli interessi sul debito pubblico.
In base a questa speciale classifica, l’Italia si piazza all’undicesimo posto, con un avanzo primario medio dell’1,75 per cento rispetto al Pil.
Al primo posto troviamo invece la Norvegia (6,1 per cento), seguita dal Qatar (5,88 per cento) e dalla Repubblica del Congo (4,4 per cento). Prima del nostro Paese ci sono poi gli Emirati Arabi Uniti (4,26 per cento), l’Azerbaijan (4,2 per cento), l’Angola (2,86 per cento), la Nuova Zelanda (2,83 per cento), le Filippine (2,59 per cento), il Belgio (2,46 per cento) e la Russia (1,78 per cento).
Il nostro Paese è dunque davanti agli altri grandi Paesi europei come Germania (o,36 per cento), Francia (-1,31 per cento), Spagna (-1,38 per cento) e Regno Unito (-2,07 per cento).
Tra i Paesi membri del G7 – oltre ai tre europei appena citati – dietro di noi ci sono Stati Uniti (-3,33 per cento), Canada (0,52 per cento) e Giappone (-4,12 per cento).
E al netto del ciclo economico?
Il Fondo monetario internazionale utilizza poi un altro indicatore, chiamato “avanzo primario al netto del ciclo economico” (in inglese ciclically adjusted primary balance, o Capb). Questo indicatore viene calcolato dal Fmi sulla base di una serie di assunzioni ed è utilizzato per correggere l’avanzo primario in base ad avvenimenti economici di natura ciclica come, per esempio, una recessione.
In questo caso un Paese potrebbe infatti avere registrato minori entrate tributarie per effetto della crisi oppure potrebbe avere utilizzato spesa pubblica aggiuntiva per controbilanciare la mancata crescita.
Durante una recessione, dunque, l’avanzo primario peggiorerebbe non tanto per scelte discrezionali del governo di natura fiscale quanto per un rallentamento dell’economia di natura ciclica.
Per questo motivo, il Fmi considera anche la differenza tra entrate e uscite al netto degli interessi rispetto al Pil potenziale, ossia il Pil che si sarebbe avuto se non ci fosse stata la crisi, invece che solo rispetto al Pil effettivamente registrato. In questo modo, è possibile quantificare come si sarebbe comportato l’avanzo primario se non ci fosse stata la crisi economica.
Tenuto conto di questi aggiustamenti, come cambia la classifica vista in precedenza?
In questo caso l’Italia scala alcune posizioni, salendo al quinto posto, con un avanzo primario corretto per il ciclo economico in media del 2,25 per cento rispetto al Pil potenziale, tra il 1990 e il 2019.
Al primo posto qui troviamo l’Algeria (2,9 per cento), seguita da Brasile (2,66 per cento), Belgio (2,46 per cento) e Filippine (2,4 per cento).
Con il termine “avanzo primario” si intende una differenza positiva tra quanto lo Stato incassa (per esempio attraverso le tasse) e quanto spende (per esempio per finanziare i servizi pubblici), al netto di quanto gli costano gli interessi sul debito pubblico. Quando questa differenza è negativa, si parla invece di “disavanzo primario”.
Ma davvero l’Italia, negli ultimi 30 anni, è prima nella speciale classifica degli avanzi primari a livello mondiale? Abbiamo verificato e Di Battista ha quasi ragione.
La classifica a livello mondiale
Nel suo database il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha una sezione dedicata agli avanzi primari registrati in rapporto al Pil per 115 Paesi del mondo dal 1990 a oggi.
Abbiamo esportato e rielaborato i dati in un’unica tabella (qui consultabile) per calcolare qual è stata in media, negli ultimi 30 anni, la differenza tra entrate e uscite negli Stati in esame, esclusi i costi degli interessi sul debito pubblico.
In base a questa speciale classifica, l’Italia si piazza all’undicesimo posto, con un avanzo primario medio dell’1,75 per cento rispetto al Pil.
Al primo posto troviamo invece la Norvegia (6,1 per cento), seguita dal Qatar (5,88 per cento) e dalla Repubblica del Congo (4,4 per cento). Prima del nostro Paese ci sono poi gli Emirati Arabi Uniti (4,26 per cento), l’Azerbaijan (4,2 per cento), l’Angola (2,86 per cento), la Nuova Zelanda (2,83 per cento), le Filippine (2,59 per cento), il Belgio (2,46 per cento) e la Russia (1,78 per cento).
Il nostro Paese è dunque davanti agli altri grandi Paesi europei come Germania (o,36 per cento), Francia (-1,31 per cento), Spagna (-1,38 per cento) e Regno Unito (-2,07 per cento).
Tra i Paesi membri del G7 – oltre ai tre europei appena citati – dietro di noi ci sono Stati Uniti (-3,33 per cento), Canada (0,52 per cento) e Giappone (-4,12 per cento).
E al netto del ciclo economico?
Il Fondo monetario internazionale utilizza poi un altro indicatore, chiamato “avanzo primario al netto del ciclo economico” (in inglese ciclically adjusted primary balance, o Capb). Questo indicatore viene calcolato dal Fmi sulla base di una serie di assunzioni ed è utilizzato per correggere l’avanzo primario in base ad avvenimenti economici di natura ciclica come, per esempio, una recessione.
In questo caso un Paese potrebbe infatti avere registrato minori entrate tributarie per effetto della crisi oppure potrebbe avere utilizzato spesa pubblica aggiuntiva per controbilanciare la mancata crescita.
Durante una recessione, dunque, l’avanzo primario peggiorerebbe non tanto per scelte discrezionali del governo di natura fiscale quanto per un rallentamento dell’economia di natura ciclica.
Per questo motivo, il Fmi considera anche la differenza tra entrate e uscite al netto degli interessi rispetto al Pil potenziale, ossia il Pil che si sarebbe avuto se non ci fosse stata la crisi, invece che solo rispetto al Pil effettivamente registrato. In questo modo, è possibile quantificare come si sarebbe comportato l’avanzo primario se non ci fosse stata la crisi economica.
Tenuto conto di questi aggiustamenti, come cambia la classifica vista in precedenza?
In questo caso l’Italia scala alcune posizioni, salendo al quinto posto, con un avanzo primario corretto per il ciclo economico in media del 2,25 per cento rispetto al Pil potenziale, tra il 1990 e il 2019.
Al primo posto qui troviamo l’Algeria (2,9 per cento), seguita da Brasile (2,66 per cento), Belgio (2,46 per cento) e Filippine (2,4 per cento).