Il 19 febbraio il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano (M5s) ha condiviso su Facebook il video del suo intervento del giorno precedente alla trasmissione Cartabianca su Rai3, scrivendo che «il reddito di cittadinanza sta diventando la riforma più importante degli ultimi 50 anni con risultati incredibili certificati da Unione europea e Istat».

Al di là del giudizio politico sull’importanza di questo provvedimento, che cosa hanno davvero detto di recente l’Ue e l’Istituto nazionale di statistica sul reddito di cittadinanza? Abbiamo verificato e Di Stefano esagera. Vediamo perché.

Che cosa dice l’Ue

Il 13 febbraio 2020, la Commissione europea ha pubblicato le cosiddette “previsioni economiche d’inverno 2020”, con cui aggiorna, tra le altre cose, le sue stime di crescita per tutti gli Stati membri Ue.

Come si legge nella sezione del documento dedicata all’Italia, nel 2019 il Pil del nostro Paese è cresciuto dello 0,2 per cento, mentre per il 2020 e il 2021 le previsioni parlano rispettivamente di un +0,3 per cento e un +0,6 per cento. Questi dati, relativi all’ultimo anno e ai prossimi due, sono i peggiori di tutta l’Unione.

La Commissione Ue ha poi commentato in una riga anche gli effetti del reddito di cittadinanza (Rdc), diventato operativo da aprile 2019. «Si stima che i consumi privati, sostenuti dal nuovo reddito minimo, supportino la crescita lungo il periodo di previsione preso in esame», scrive l’Ue.

Possiamo definirlo un «risultato incredibile», come fa Di Stefano? Qui il sottosegretario del M5s esagera, per almeno tre motivi.

In primo luogo, subito dopo il riferimento al RdC, la Commissione scrive che «i redditi reali disponibili cresceranno però solo moderatamente».

In secondo luogo, nella conferenza stampa di presentazione delle previsioni, il commissario agli Affari economici e finanziari Paolo Gentiloni ha sottolineato che il reddito di cittadinanza «è una misura che produce effetti distributivi e dunque tecnicamente misurabili in termini di crescita; ma non confonderei questo con una valutazione positiva o negativa di questa misura o di altre».

Infine, come ha scritto Il Sole 24 Ore in un’analisi del 14 febbraio scorso, «il reddito di cittadinanza, introdotto dal governo Conte I per un costo annuo di circa sei miliardi di euro, contribuirà a circa metà della crescita attesa nel 2020, secondo calcoli comunitari».

Dunque stiamo parlando di poco più dello 0,1 per cento del Pil (quasi due miliardi di euro) su una spesa almeno tripla, relativa solo al 2019.

Che cosa (non) dice l’Istat

Durante la trasmissione Cartabianca, citando l’Istat, Di Stefano ha poi detto (min. -11:43) che tra i «dati clamorosi» di oggi del reddito di cittadinanza ci sono «44 mila posti di lavoro e -60 per cento di povertà assoluta in Italia» e «una riduzione del gap sociale che non si vedeva dagli anni Ottanta».

Analizziamo le tre questioni, punto per punto.

Occupazione

Se si guarda agli articoli più recenti pubblicati sul Blog delle stelle che citano sia l’Istat sia il reddito di cittadinanza, generalmente fanno riferimento ai dati sull’occupazione. Per esempio, il 9 gennaio 2020 il M5sparlava di una «occupazione record», grazie anche al reddito di cittadinanza:«Lo certifica l’Istat», si legge in un articolo sul Blog delle stelle.

Come abbiamo scritto però in un nostro fact-checking, le cose non stanno proprio così.

I dati Istat pubblicati a gennaio 2020 facevano riferimento ai 285 mila occupati in più registrati tra novembre 2018 e novembre 2019. Ma la cosiddetta “fase 2” del RdC – quella sulle politiche attive del lavoro – durante questo periodo non era nel pieno delle sue funzionalità: i centri per l’impiego hanno infatti iniziato a chiamare i beneficiari del Rdc soltanto all’inizio di settembre 2019.

Ma passiamo al dato dei «44 mila posti di lavoro», citato dal sottosegretario agli Esteri.

Secondo i dati più aggiornati di Anpal (non dell’Istat, come dice Di Stefano), al 10 febbraio 2020 i percettori del RdC che hanno avuto un rapporto di lavoro dopo l’approvazione della domanda erano 39.760 (e non «44 mila», come sostiene il sottosegretario del M5s). Questi 40 mila lavoratori sono poi solo una frazione minima dei 908.198 beneficiari del Rdc «avviabili al lavoro», ossia tenuti a recarsi ai Centri per l’impiego. Poco più del 4 per cento.

Questi numeri di Anpal hanno comunque un problema di fondo: mostrano solo una correlazione, ossia quanti beneficiari che prendono il RdC hanno poi trovato lavoro, non un rapporto di causa-effetto. In ogni caso, da nessuna parte Istat ha «certificato» che l’aumento degli occupati sia stato merito del RdC.

Povertà assoluta

Passiamo ora al «-60 per cento di povertà assoluta in Italia» rivendicato da Di Stefano. Come abbiamo già verificato, questa percentuale è sbagliata.

Ad oggi, è ancora presto parlare degli effetti nel 2019 del reddito di cittadinanza sul fenomeno della povertà assoluta, monitorato dall’Istituto nazionale di statistica, che pubblica il suo rapporto sul tema solitamente intorno a giugno, relativamente all’anno precedente.

Nei mesi scorsi, il Movimento 5 stelle aveva più volte ripetuto che secondo l’Inps il numero dei poveri assoluti, grazie al reddito di cittadinanza, era sceso del 60 per cento, ma questo numero – come abbiamo spiegato più nel dettaglio in un altro fact-checking – fa riferimento alla percentuale dei poveri assoluti che possono potenzialmente essere beneficiari del RdC.

Secondo le stime relative al 2018 dell’Istat, in Italia ci sono infatti poco più di 5 milioni di poveri assoluti, mentre al 10 febbraio 2020 i beneficiari del reddito di cittadinanza erano poco più di 2,3 milioni (circa il 46 per cento dei poveri assoluti, assumendo che lo siano davvero tutti i percettori del RdC).

In ogni caso, guardando a queste percentuali, non è possibile stabilire senza uno studio metodologicamente fondato, o senza le rilevazioni Istat più aggiornate, l’impatto del reddito di cittadinanza sulla povertà assoluta.

Divario sociale

Infine, non è chiaro a quale studio dell’Istat faccia riferimento Di Stefano quando parla della «riduzione del gap sociale».

Il 17 febbraio 2020 – il giorno dell’ospitata di Di Stefano a Cartabianca – l’Istat ha pubblicato un rapporto che certifica l’aumento della spesa dei comuni per i servizi sociali, ma i dati sono relativi al 2017, quando il RdC non esisteva ancora.

L’ultimo rapporto in tema di disuguaglianze dell’Istat risale a fine dicembre 2019, ma su dati del 2018 (quando il RdC non c’era ancora).

Forse Di Stefano fa riferimento a una stima dell’Inps (e non dell’Istat), citata dal suo presidente Pasquale Tridico in un’intervista di dicembre 2019, ripresa dal Blog delle stelle.

Qui si legge che il RdC avrebbe ridotto il tasso di disuguaglianza (espresso con il cosiddetto “indice di Gini”) dell’«1,5 per cento», ma come ha spiegato a dicembre 2019 sul Foglio il giornalista Luciano Capone, stiamo parlando di stime, presentate a novembre 2019 dall’Inps alla Commissione Ue, e da nessuna parte si nominano record che non si vedevano dagli «anni Ottanta», come sostiene Di Stefano.

Il verdetto

Secondo Manlio Di Stefano, l’Unione europea e l’Istat hanno certificato «risultati incredibili» per il reddito di cittadinanza. Al netto del giudizio politico su questa misura, il sottosegretario agli Esteri del M5s esagera.

Da un lato, nelle sue previsioni macroeconomiche più recenti, la Commissione Ue ha detto che il RdC ha sostenuto i consumi privati, senza però esprimere un giudizio positivo (o negativo) sul provvedimento. Le stime di crescita del Pil italiano per il 2019, il 2020 e il 2021 restano le più basse in tutta l’Unione, mentre il contributo stimato all’aumento del Pil grazie al RdC è stimato essere circa tre volte più piccolo rispetto a quanto è costata la misura nel 2019.

Dall’altro lato, non è vero che l’Istat ha esplicitamente commentato in positivo quanto portato del RdC sia in termini di occupazione, sia di contrasto alla povertà assoluta, sia di riduzione delle disuguaglianze sociali.

In conclusione, Di Stefano si merita un “Pinocchio andante”.