Luigi Di Maio, nel corso di un’intervista con la Revue de Politique Internationale anticipata in parte sul blog di Beppe Grillo, ha dato qualche numero sulla povertà in Italia. Anticipando le nostre conclusioni, Di Maio sembra utilizzare numeri non aggiornati. Vediamo la questione un po’ più da vicino.



Quanti sono i poveri in Italia



I numeri sulla povertà sono stati citati di recente da diversi politici, tra cui Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Sul tema abbiamo a disposizione i numeri dell’Istat, con l’importante precisazione che lo scorso anno l’istituto ha cambiato le modalità di rilevazione: ma su questo torneremo a breve.



In queste indagini, la povertà viene considerata “assoluta” se la spesa per consumi, nella famiglia, è inferiore alla cifra necessaria ad acquistare i beni e servizi inseriti in un paniere stabilito dall’Istat “per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile”. Per dare conto della diversità delle varie situazioni sociali ed economiche nel Paese, la cifra varia in base alle dimensioni e alla posizione della città di residenza, alla composizione della famiglia e all’età dei suoi componenti. La povertà “relativa” è calcolata invece in base al livello dei consumi familiari in tutto il paese: chi è molto sotto la media viene considerato relativamente povero.



Nel grafico seguente abbiamo riportato le cifre del fenomeno in Italia, secondo l’indagine dell’Istat più recente (pubblicata a luglio 2015 e riferita al 2014) e le serie storiche allegate.



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Come si vede, il numero di residenti in povertà assoluta è di poco superiore ai 4 milioni di abitanti, persino di più dei 3 milioni citati da Di Maio. La povertà relativa interessa invece 7,8 milioni di persone, forse la cifra a cui si riferisce Di Maio parlando delle “condizioni precarie”. Quest’ultimo numero comprende però anche i poveri “assoluti”, e dunque non è corretto sommarli per ottenere il totale di 10 milioni come potrebbe aver fatto l’esponente grillino.




Come si arriva a 10 milioni?



Di Maio, come dicevamo, cita un totale di 10 milioni di “poveri” in Italia, tra cui 7 milioni in condizioni “precarie”, anche se l’ultimo rapporto Istat presenta altri numeri. La differenza potrebbe venire proprio dal cambio della metodologia di rilevazione, da parte dell’Istat, citato all’inizio. Come avevamo spiegato lo scorso luglio, invece che dall’indagine sui consumi l’istituto di statistica si basa ora sulle spese delle famiglia. L’attuazione del nuovo metodo, oltre a rispondere all’esigenza di inserirsi meglio negli standard internazionali, secondo l’Istat “è stato effettuato al fine di rilevare con maggior precisione il comportamento di spesa di ciascuna famiglia e consentire analisi più robuste a livello micro.



Nell’ultimo rapporto sulla povertà effettuato secondo il vecchio metodo, pubblicato a luglio 2014 e basato sui dati 2013, il numero dei poveri in Italia era stimato in effetti in 10 milioni 48 mila persone: questa era la cifra dei residenti in Italia in povertà relativa, mentre la povertà assoluta riguardava 6 milioni 20 mila persone. Anche in questo caso si può vedere che i numeri citati da Di Maio non corrispondano esattamente, perché l’esponente M5S indica i residenti in Italia in povertà assoluta in 3 milioni.



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Povertà e lavoro: una stima



Di Maio ha anche dichiarato che “due terzi di questi 10 milioni di persone lavorano”. Tralasciando il fatto che, come abbiamo detto, il numero dei poveri relativi è 7,8 milioni e non 10, ci interessa verificare se è vero che due terzi di loro siano lavoratori. Nel report dell’Istat questa percentuale non è riportata, e l’istituto ci ha confermato che quel dato “non è oggetto di pubblicazione”.



Possiamo però arrivare a una stima di massima della proporzione che ci interessa. Aggiungiamo che, poiché il dato non è pubblico, non ne terremo conto per la valutazione finale della dichiarazione di Di Maio: ne svilupperemo il calcolo solo come esercizio statistico, come appendice di questa analisi.



Il verdetto



Luigi Di Maio ha detto che, su 60 milioni di abitanti, in Italia ci sono 10 milioni di poveri. Questo numero si basa probabilmente su dati non aggiornati diffusi a metà del 2014. Secondo la metodologia rivista, la povertà relativa interessa 7,8 milioni di residenti. Di questi, circa 4 milioni si trovano in una situazione di povertà assoluta, una cifra più alta rispetto ai 3 milioni citati da Di Maio. Non ci sono poi stime ufficiali della percentuale di persone povere che lavorano. “Nì” per l’esponente del M5S.



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Una stima dei lavoratori poveri



Il problema più difficile da aggirare è che, nel report dell’Istat, l’incidenza di povertà relativa per condizione professionale è riportata per persona di riferimento della famiglia e non in termini assoluti. Tuttavia, possiamo arrivare comunque a una stima di massima.



Partiamo dal totale delle persone in povertà relativa (7,8 milioni) e sottraiamo minori e anziani, cioè le due fasce di età in cui i lavoratori sono pochissimi. I minori di 18 anni in Italia, al 1° gennaio 2014, erano 10,7 milioni (tutti i dati demografici sono ricavabili da qui) e di questi il 19% è povero: dunque 2 milioni di minori poveri (relativi) circa. I maggiori di 65 anni erano 13 milioni e di questi il 9,8 per cento era povero: dunque 1,2 milioni (non consideriamo il piccolo numero di persone tra i 15 e i 18 anni che lavora e l’esiguo numero di persone oltre i 65 anni che non è ancora andato in pensione).



Possiamo dire, con un buon grado di approssimazione, che 4,6 milioni di persone sono in stato di povertà relativa e allo stesso tempo in età lavorativa, occupati o non occupati: circa il 58% del totale. Se tutte queste persone lavorassero, Di Maio non sarebbe andato lontano dal vero parlando di due terzi (66%) di working poors.



È chiaro però che non tutte le persone in difficoltà economica che stiamo considerando hanno un lavoro. Se all’interno del gruppo che abbiamo individuato – persone povere in età lavorativa – il rapporto tra occupati e disoccupati fosse lo stesso che nella popolazione generale a (12,9 per cento a dicembre 2014) i working poors citati da Di Maio sarebbero poco più del 50 per cento del totale dei poveri in Italia.



Ma la percentuale deve essere minore: l’Istat conferma la realtà intuitiva che, tra i disoccupati, la povertà relativa abbia un’incidenza molto maggiore. Non abbiamo, come si è detto, i numeri assoluti, ma tra le persone di riferimento nei nuclei familiari la povertà interessa il 23,9% di chi è in cerca di occupazione, mentre solo il 9,2% tra gli occupati: una percentuale quasi tripla.



Non possiamo quindi arrivare a una percentuale precisa, visto che ci sono molte altre variabili in gioco (numero di percettori di reddito nei nuclei familiari, numero di figli a carico, e così via) ma possiamo dire con discreta certezza che la proporzione di quanti si trovano in uno stato di povertà relativa e nel frattempo stanno lavorando deve essere sensibilmente al di sotto del 50 per cento del totale, ovvero molto meno dei “due terzi” citati da Di Maio.