In un post su Facebook dal battagliero incipit “post urticante per gufi e talk”, Matteo Renzi ha indicato una serie di cifre economiche invocando “La verità, vi prego, sui numeri”. Ci siamo già occupati di alcune di quelle cifre – ad esempio, parlare di un aumento del 97% dei mutui rischia di dare un’impressione assai sbagliata della situazione, come spiegavamo qui – ma per questa analisi ci concentriamo su un dato in apparenza molto facile da verificare: la crescita del Pil italiano nel corso del 2015. Come vedremo, non è una verifica così semplice.
Quanto è cresciuto il Pil italiano nel 2015?
Il dato più recente sulla crescita italiana nell’anno da poco concluso è stato pubblicato da Istat il 4 marzo, pochi giorni dopo il post di Renzi. In esso si legge: “Nel 2015 il Pil corretto per gli effetti di calendario è aumentato dello 0,6%”. La correzione si basa sul fatto che nel 2015 ci sono state tre giornate lavorative in più rispetto all’anno precedente.
Tuttavia, il 1° marzo, solo tre giorni prima, lo stesso Istat aveva reso noto un dato leggermente diverso: la crescita del Pil era stata dello 0,8% (corretta per l’inflazione; la crescita nominale è stata dell’1,5%). Subito dopo la diffusione di questo dato, alcuni economisti come Francesco Daveri avevano giudicato quei numeri come “strani” perché non coincidenti con i dati trimestrali. Come si spiega la differenza? Con tre fattori: una revisione leggermente al ribasso delle stime 2014, la correzione per i giorni lavorati e l’arrotondamento.
(Leggi anche: “La Svolta Buona”, due anni dopo: il promise-tracker di Matteo Renzi)
L’Istat, infatti, rivede periodicamente le stime del Pil per gli anni precedenti e, per quanto riguarda il 2014, il totale a marzo è stato abbassato leggermente, da 1.613 milioni di euro a 1.611 milioni. In secondo luogo, il dato del 4 marzo è “corretto per gli effetti di calendario” e tiene conto del fatto che, come abbiamo già ricordato, nel corso del 2015 ci sono stati più giorni lavorativi rispetto al precedente (254 contro 251). Infine, anche gli arrotondamenti ci hanno messo del loro: come spiegato dall’Istat, il dato non corretto per i giorni lavorati del 1° marzo era dello 0,759%, arrotondato all’insù in 0,8; il dato corretto del 4 marzo invece è dello 0,642%, arrotondato all’ingiù in 0,6. Poiché il dato “finale” comprende di solito anche le correzioni per il calendario, la cifra corretta da citare per indicare l’aumento del Pil dello scorso anno è piuttosto lo 0,6% che lo 0,8. Riassumendo:
Variazione Pil ’14/’15 | |||
Dati Istat | Valore | Arrotond. | Tipo dato |
1° marzo 2016 | +0,792% | +0,8% | Non corretto per i giorni lavorati |
4 marzo 2016 | +0,642% | +0,6% | Corretto per i giorni lavorati |
Quali erano le previsioni e i governi precedenti
Renzi dice che “a inizio anno” la crescita prevista era dello 0,7%: come informa la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza di settembre 2015, in effetti, il DEF di aprile prevedeva quella cifra, ma proprio a settembre – bisogna ricordare a onor di cronaca – la stima era stata rivista al rialzo e portata allo 0,9%.
Per quanto riguarda i predecessori di Renzi, si può consultare la serie storica dei conti economici trimestrali rilasciati dall’Istat (disponibile qui). Il governo Monti è stato in carica dal 16 novembre 2011 al 27 aprile 2013 e nel primo trimestre del 2013, quello più prossimo al termine, la variazione del Pil rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente fu del -2,4%, poco meno del -2,3 indicato da Renzi. Enrico Letta è rimasto in carica dal 28 aprile 2013 al 21 febbraio 2014 e, corso del 2013, il Pil era calato con un -1,8%, all’incirca la cifra indicata da Renzi.
Il verdetto
Renzi gioca sul filo dei decimali: quando scrive, il 1° marzo, il dato diffuso dall’Istat parla dello 0,8%, ma è già stato fatto notare che probabilmente deve andare incontro a leggere correzioni. Queste arrivano, e rivedono la cifra finale allo 0,6%. Inoltre, il Presidente del Consiglio dimentica di citare il fatto che solo sei mesi prima il suo governo aveva rivisto al rialzo le stime, dallo 0,7 allo 0,9%. Si tratta di piccole correzioni, che però rischiano di inficiare il ragionamento di Renzi. I dati citati a proposito di Monti e Letta sono, allo stesso modo, quasi corretti. Tutto considerato, e senza entrare nel merito della bontà del ragionamento, “C’eri quasi” per il Premier.